lunedì 30 novembre 2009

Our Hero


Finalmente riconosciuti a Beffatotale i meriti che gli spettano. Almeno dalla TV svedese. Qui lo spot che annuncia a tutti gli svedesi di chi si possono veramente fidare.

Come nota Marcello, in realtà gli eroi siamo noi che paghiamo il canone alla Rai, vista la qualità dei programmi. Almeno gli svedesi ti ringraziano con questo bello spot interattivo....

domenica 29 novembre 2009

Sussurri e Grida

Stasera al Porto di Mare, locale di riferimento a Firenze per la musica di autore, mi sono gustato con Cosimo un concerto per pochi intimi dell'ottimo Andrea Parodi. In un atmosfera a tratti surreale, e la sensazione di essere a strimpellare fra amici, si susseguono le ballate di Andrea, bravissimo nel disegnare le difficoltà, le solitudini ma anche quel senso di libertà che ognuno rincorre ma assapora soltanto. Senza contare che ad applaudire tra i pochi intimi c'era anche il parroco, che tra un miserere e un estrema unzione mostra di apprezzare anche il bene effimero di un buon concerto! E in chiusura arriva anche la mia preferita...



... cadranno nella pioggia
le diversità come ogni foglia
che cercava di volare
...

martedì 24 novembre 2009

Don Alessandro vs Betori


Lettera di Enrico Peyretti, Torino, al quindicinale Rocca, della Pro Civitate Christiana:

La chiesa, la disciplina, sono buone cose. La bontà è di più. Non conosco di persona il prete Santoro. Non ho alcuna simpatia, anzi una istintiva ritrosia tradizionalissima davanti a questi slittamenti di identità sessuale che oggi vanno forte. Li considero una sfortuna, ma temo di offenderli. Ho sentito alla radio l'essenziale della notizia, mi sono trovato sul monitor davanti alla tastiera un messaggio di solidarietà, ho pensato: è un prete che ha rotto una disciplina per bontà verso degli "esclusi". Non sostengo affatto di avere tutta la ragione. Non ci ho pensato molto, né mi pare una cosa tanto grave.

Si danno battesimi e matrimoni ben fuori dal campo della fede cristiana, come semplici riti sociali di buon augurio, e - assai peggio - si fanno messe militari con grida bestiali di "Folgore!" dentro la chiesa-edificio (basilica di san Paolo, funerale dei soldati mandati e andati a morire a Kabul), davanti al tavolo della Cena e alla Croce, e così si benedice la guerra sporcando Dio e la sua Parola. Cosa vuoi che sia, al confronto, un prete che chiama sacramento - ma tutto è sacramento! "tutto è grazia"! - una preghiera e una benedizione su due persone che appoggiano l'una all'altra le loro povere vite, povere come tutte le nostre, di vescovi e non-vescovi.

Il vescovo, principe della disciplina più che della bontà, faccia il suo mestiere, ma allora scagli la sua disciplina anche contro esercito e governo che sacrilegano assai di più l'eucaristia di Gesù, per rafforzare le loro armi e i loro profitti a danno dei poveri ingannati con la falsa retorica militare, tacendo ben bene sulla popolazione afghana che subisce la guerra.

Non sappiamo dove arriva la grazia, la chiesa «senza confini» (come proclamava sorella Maria di Campello), e stiamo lì col centimetro della disciplina. Santoro forse faceva bene a non sacramentalizzare quel gesto, e piuttosto dirgli che la loro vita era già un sacramento. E fa male il vescovo-disciplina a non dare lui questo annuncio, che amore e amicizia sono l'unico universale sacramento di Dio, in qualunque sesso e trans-sesso, roba di cui Dio - oso immaginare - non è ossessionato come le gerarchie cattoliche.

Per "es-agerare" ancora un po' (spesso la verità sta "ex-agro", fuori dal campo), mi verrebbe voglia di parafrasare il profeta e il vangelo: "Misericordia voglio, e non sacramenti!"

domenica 22 novembre 2009

Numeri migranti


Mentre in Italia si urla all'invasione, si attiva la delazione tra vicini (gia' attiva vicino a Mantova e a Cantu'), si premiano i cacciatori di immigrati e gli agghiaccianti bus-galera, qualcuno si mette al tavolino confrontare i numeri. E si scopre che gli italiani che da tutto questo sono fuggiti e vivono all'estero (fonte rapporto Italiani nel Mondo 2009, fondazione Migrantes), sono lo stesso numero degli stranieri regolari che vivono in Italia (fonte Rapporto Caritas 2009). E' vero che tra gli italiani nel mondo ci sono anche le seconde generazioni italiane nate all'estero, e che non si conteggia il numero di immigrati non regolari. Ma mi pare che l'unica emergenza in questo paese sia la deriva razzista che continua a individuare capri espiatori per i problemi che non si sanno o non si vogliono affrontare.

giovedì 19 novembre 2009

No alla vendita dei beni confiscati


Ho appena firmato e invito a firmare questo appello promosso da Libera contro la norma contenuta in finanziaria per la vendita dei beni confiscati alla mafia per fare cassa, anziche' destinarli con forte significato simbolico e pratico a progetti sociali.

Tredici anni fa, oltre un milione di cittadini firmarono la petizione che chiedeva al Parlamento di approvare la legge per l'uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Un appello raccolto da tutte le forze politiche, che votarono all'unanimità le legge 109/96. Si coronava, così, il sogno di chi, a cominciare da Pio La Torre, aveva pagato con la propria vita l'impegno per sottrarre ai clan le ricchezze accumulate illegalmente.

Oggi quell 'impegno rischia di essere tradito. Un emendamento introdotto in Senato alla legge finanziaria, infatti, prevede la vendita dei beni confiscati che non si riescono a destinare entro tre o sei mesi. E' facile immaginare, grazie alle note capacità delle organizzazioni mafiose di mascherare la loro presenza, chi si farà avanti per comprare ville, case e terreni appartenuti ai boss e che rappresentavano altrettanti simboli del loro potere, costruito con la violenza, il sangue, i soprusi, fino all'intervento dello Stato.

La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti, grazie al lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura, avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle istituzioni.

Per queste ragioni chiediamo al governo e al Parlamento di ripensarci e di ritirare l'emendamento sulla vendita dei beni confiscati.
Si rafforzi, piuttosto, l'azione di chi indaga per individuare le ricchezze dei clan. S'introducano norme che facilitano il riutilizzo sociale dei beni e venga data concreta attuazione alla norma che stabilisce la confisca di beni ai corrotti. E vengano destinate innanzitutto ai familiari delle vittime di mafia e ai testimoni di giustizia i soldi e le risorse finanziarie sottratte alle mafie. Ma non vendiamo quei beni confiscati che rappresentano il segno del riscatto di un'Italia civile, onesta e coraggiosa. Perché quei beni sono davvero tutti "cosa nostra"

don Luigi Ciotti
presidente di Libera e Gruppo Abele


Tra i primi firmatari: Andrea Campinoti, presidente di Avviso Pubblico - Paolo Beni, presidente Arci - Vittorio Cogliati Dezza, presidente Legambiente - Andrea Olivero, presidente ACLI - Guglielmo Epifani, segretario CGIL - Luigi Angeletti, segretario UIL - Filippo Fossati, presidente UISP - Marco Galdiolo - presidente US Acli, Paola Stroppiana e Alberto Fantuzzo, presidenti del comitato nazionale Agesci - Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace - Loretta Mussi, presidente di "Un ponte Per" - Michele Curto, presidente di FLARE (Freedom, Legality and Rights in Europe) - Michele Mangano, presidente Auser - Oliviero Alotto, presidente di Terra del Fuoco, - Giuliana Ortolan, Donne in Nero di Padova - Giulio Marcon, portavoce campagna Sbilanciamoci - Tito Russo, coordinatore nazionale UDS (Unione degli Studenti), Claudio Riccio, referente Link-coordinamento universitario, Sara Martini e Emanuele Bordello - presidenti FUCI.

E inoltre: Nando Dalla Chiesa, Salvo Vitale, Rita Borsellino, Sandro Ruotolo, Roberto Morrione, Enrico Fontana, Tonio Dell'Olio, on. Pina Picerno, Francesco Forgione, Luigi De Magistris, Raffaele Sardo, David Sassoli, sen. Francesco Ferrante, sen. Rita Ghedini, Petra Reski...

mercoledì 18 novembre 2009

Lettera di Natale


Di seguito la lettera che ho spedito a Franco Claretti (sindaco@comunedicoccaglio.it), architetto 38enne nella foto qui accanto, sindaco leghista del comune di Coccaglio (BS) e fiero ideatore con l'Assessore alla Sicurezza Claudio Abiendi (assessore.abiendi@comunedicoccaglio.it) dell'inimmaginabile operazione "Bianco Natale":

Gentile Franco Claretti,
e Gentile Claudio Abiendi, Assessore alla Sicurezza,

ho appreso dai giornali dell'iniziativa lanciata dalla vostra giunta comunale per disincentivare la presenza di cittadini stranieri nel vostro Comune. Leggo anche, perche' altrimenti avrei fatto fatica a crederlo, che l'operazione e' stata nominata "White Christmas", dal momento che terminera' proprio il giorno di Natale, e perche' evidentemente mira a restituire ai circa settemila abitanti del vostro paese un unico e rassicurante colore di pelle. Leggo che, in nome di una malintesa sicurezza, i vigili andranno casa per casa dei circa 1500 stranieri che vivono sul territorio comunale, controllando i documenti per "fare piazza pulita" degli "irregolari" revocando loro la residenza. Lo scenario e' quello, purtroppo ultimamente abusato sia a livello locale che nazionale, di una campagna ideologica che ha messo in competizione la sicurezza con i diritti, individuando come capro espiatorio di problemi piu’ gravi che non si sanno o non si vogliono risolvere proprio i piu' deboli e diseredati.
Tuttavia in questo caso quello che sconcerta ulteriormente e' l'accostamento con il Natale, festa per eccellenza della manifestazione del divino nei piu' piccoli e piu' poveri. Invece l'Assessore alla Sicurezza Claudio Abiendi (Lega Nord) ci tiene a far sapere ai giornali che "per me il Natale non è la festa dell'accoglienza, ma della tradizione cristiana, della nostra identità". Dimostrando chiaramente di non aver capito nulla, o semplicemente di approfittarsi senza scrupoli di un fruttuosa quanto poco faticosa adesione di facciata alla tradizione cristiana. Di non aver inteso che l'ospitalità al pellegrino e allo straniero, l'apertura al viandante, sono al centro dell'etica cristiana: lo straniero è infatti, a partire dell'episodio biblico di Abramo alle Querce di Mamre (Genesi 18), una figura da accogliere ma anche, come lo è stato il popolo di Israele in Egitto, una figura capace di metterci in discussione, un'occasione per interrogarci su noi stessi, la nostra cultura, la nostra verità. Senza contare che e' proprio sull'accoglienza riservata agli stranieri che quel Signore che tanto va di moda, specialmente dalle vostre parti, appendere a destra e a manca ha promesso di giudicarci alla fine dei tempi: "ero forestiero e mi avete ospitato nella vostra casa" (Matteo 25,35). Leggo anche che a tutti i credenti indignati l'assessore Abiendi ha fatto sapere che "io sono credente, ho frequentato il collegio dai Salesiani. Questa gente dov'era domenica scorsa? Io a Brescia dal Papa". Avrebbe allora forse fatto meglio ad ascoltare le parole di quello stesso Papa in tema di accoglienza dello straniero: "La Chiesa invita i fedeli ad aprire il cuore ai migranti e alle loro famiglie, sapendo che non sono solo un problema ma costituiscono una risorsa da saper valorizzare opportunamente per il cammino dell'umanità e per il suo autentico sviluppo". Nonche' quelle del solito Signore appeso in ogni scuola del vostro comune che ammoniva: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio" (Matteo 7,21).
A meno che non ci siamo sbagliati tutti, e l'intenzione della giunta non fosse proprio quella di far rivivere in pieno l'atmosfera di quel Natale di 2000 anni fa, in cui Maria "diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo" (Luca 2,7). E allora chissa' che anche a Coccaccaglio, la notte di Natale, i vostri vigili non trovino in una qualche baracca un piccolo e scurissimo clandestino appena nato. Senza documenti, lui e i suoi genitori.

Con la sincera speranza che l'operazione sia al più presto interrotta, attendendo con curiosità di conoscere il vostro punto di vista.

Distinti (e distanti) saluti,

Giovanni Cresci

L'oro blu


Per evitare troppe attenzioni e lungaggini burocratiche, il governo ha posto la fiducia sul decreto salva-infrazioni, che contiene nascosto nelle sue pieghe la privatizzazione dell'acqua e dei rifiiuti, spacciata per una norma europea, che pero' europea non e'. Il ministro definisce la polemica sull’acqua «inesistente», in quanto «il bene resta pubblico, mentre la gestione andrà affidata a chi, «soggetto pubblico o privato, offre condizioni di efficienza e di costo più convenienti per il cittadino. Servizio che, peraltro, richiede investimenti infrastrutturali consistenti». Se davvero fosse così, non ci sarebbe stato bisogno di un intervento legislativo, visto che già oggi il servizio si può affidare a gara. Stessa cosa per gli altri servizi, come la gestione dei rifiuti, altro capitolo delicato del decreto. Il testo Ronchi invece di fatto obbliga gli enti a dare in gestione i servizi, escludendo la possibilità della gestione diretta e imponendo limiti alla presenza pubblica in caso di società quotate (il 40% che diventa 30% tra 5 anni). Solo in casi particolarissimi si potrà mantenere la gestione cosiddetta «in-hoise», casi da dimostrare attraverso un iter particolare, sottoposto all’autorizzazione dell’Antitrust. La scelta è invece chiarissima: aprire un nuovo ricco mercato ai privati, e scrollarsi di dosso una voragine impressionante nelle infrastrutture della rete idrica. I lavori necessari necessari ammonterebbero a 62 miliardi di euro, come dieci ponti sullo Stretto. Questo mentre 8 milioni di cittadini non hanno accesso all' acqua potabile, 18 milioni bevono acqua non depurata e le perdite del sistema sono salite al 37%, con punte apocalittiche al Sud. Sono più di vent' anni che si investe al lumicino, non si costruiscono acquedotti e la manutenzione di quelli esistenti è quasi scomparsa dai bilanci. Cosa c'e' di meglio che scaricare finalmente sugli utenti anche i giganteschi costi di decennali carenze infrastutturali? E nessuno ci dice che abbiamo le tariffe dell'acqua piu' basse d'Europa, ma quelle di luce e gas sono le piu' alte del continente... Si inizia alle 15, mentre il voto finale è previsto per le ore 13 di giovedì, dopo le dichiarazioni di voto in diretta tv. Cosi' Paolo Rumiz su Repubblica:

Dunque oggi alla Camera si va alla fiducia sull'acqua. Che bisogno aveva il governo di questo mezzo estremo per trasformare in legge un decreto, avendo i numeri di una larga maggioranza? Che fretta c'è su un tema di simile portata? È abbastanza intuibile. Se si affronta un iter normale, le cose vanno per le lunghe visto che il Pd è intenzionato a dar battaglia con l'Italia dei valori.

Entrambi i partiti hanno annunciato un fuoco di sbarramento a suon di emendamenti. Ma se accade, la storia comincia a far rumore; e se fa rumore c'è il rischio che gli italiani mangino la foglia. Cadrebbe la cortina di silenzio che negli ultimi anni ha avvolto il business legato alla distribuzione del più universale e strategico dei beni nazionali.

Il nodo è semplice. Lo Stato è in bolletta, da vent'anni non investe più come si deve sulla rete e oggi meno che mai ha soldi per un'azione di ammodernamento che costerebbe come otto ponti sullo stretto di Messina. Meglio dunque lasciare la patata calda ai privati, che con meno remore politiche potrebbero scaricare sulle tariffe il costo di un'operazione indilazionabile, e che per la mano pubblica è una delle ultime ghiotte occasioni di far cassa. Da qui un decreto che, caso unico in Europa, obbliga a mettere in gara tutti i servizi legati all'acqua e accelerarne la trasformazione in Spa, dimenticando che, quasi ovunque le grandi società sono entrate nel gioco, le tariffe sono aumentate in assenza di investimenti sulla rete.

Ovvio che meno se ne parla, meglio è. Se in Parlamento scatta la bagarre, c'è il rischio che i Comuni virtuosi (inclusi quelli con i colori della maggioranza), che hanno tenuto duro nel non cedere i loro servizi alle società di Milano, Genova, Bologna e Roma, creino un'alleanza per proteggere "l'acqua del sindaco", cioè il loro ultimo territorio di autogoverno e autonomia dopo la perdita dell'Ici.
Se se ne parla, può succedere che gli utenti apprendano che, laddove le grandi società sono entrate in campo, le perdite della rete sono rimaste le stesse, i controlli di qualità sono spesso diminuiti e magari le tariffe sono aumentate . Magari si capisce che vi sono servizi che non possono essere privatizzati oltre un certo limite, perché allora l'acqua passa al mercato finanziario, diventa quotazione in borsa, e il cittadino non ha più un sindaco con cui protestare dei disservizi, ma solo un sordo "call center" piazzato magari a Sydney, Pechino o New York. No, non si deve sapere che siamo di fronte a un passaggio epocale, di quelli che cambiano tutto, come la recinzione dei pascoli liberi nell'Inghilterra del Settecento.

Non è un caso che si sia tentato di buttare una riforma simile nel pentolone di un decreto omnibus riguardante tutti i pubblici servizi, e non è un caso che - durante la discussione - si sia scorporato dal decreto medesimo il discorso il gas, i trasporti e il nodo delle farmacie. Gas, trasporti e farmacie erano la foglia di fico. Se oggi nel decreto su cui si pone la fiducia rimane solo l'acqua con i rifiuti, significa che l'acqua e i rifiuti sono il grande affare indilazionabile, l'accoppiata perfetta su cui si reggono i profitti delle multi-utility, e parallelamente le ingordigie della criminalità organizzata. Non è un caso che si parli tanto di "oro blu".

La storia dell'umanità lo dice chiaro. Chi governa l'acqua, comanda. Le prime forme di compartecipazione democratica dal basso sono nate in Italia attorno all'uso delle sorgenti, quando i paesi e le frazioni hanno pensato ad affrancarsi grazie all'acqua. Lo scontro non è tra pubblico e privato, ma tra controllo delle risorse dal basso e delega totale dei servizi, con conseguente, lucroso monopolio di alcuni. Oggi potremmo dover rinunciare a un pezzo della nostra sovranità.

martedì 17 novembre 2009

Menomale



... uguale si' tuo nonno, la sardina non e' un tonno,
e menomale menomale ...

venerdì 13 novembre 2009

Attuare la Costituzione


Il provvedimento intende attuare il principio della ragionevole durata dei processi, sancito sia nella convenzione europea dei diritti dell’uomo (art.6), che nella Costituzione (art.111).
(Dalla relazione accompagnatoria al disegno di legge sulla durata dei processi)

Cosi' recita la relazione accompagnatoria all'ennesima legge ad personam varata dalla destra e che sta per approdare alle Camere per la discussione, il disegno di legge sulla durata dei processi (qua il testo completo). L'ennesima vergogna spacciata per altro per applicazione della carta costituzionale.
In pratica il disegno di legge prevede che dopo due anni per ogni grado di giudizio i reati si estinguano per prescrizione se l'accusato e' incensurato (ma non se questi ha una qualsivoglia condanna minore di qualunque genere) e se la pena e' inferiori ai dieci anni. Sono previste una serie di eccezioni per reati particolarmente gravi e dannosi per la collettivita', tra i quali non figura, guarda caso, nessuno di quelli relativi ai processi di Berlusconi quali corruzioni e reati fiscali e finanziari, ma ad esempio fanno bella mostra di se' i reati previsti nel testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero: al razzismo non si rinuncia neanche per le leggi ad personam.
Quello che indigna piu' di tutto, ancora piu' del fatto che per salvare se stesso Berlusconi e' pronto a mandare a monte migliaia di processi anche gia' in corso, e' che questo disegno di legge venga giustificato con la volonta' di accorciare i tempi dei processi. Peccato pero' che il testo non preveda in alcuna parte una riforma delle procedure processuali: se il processo non fa in tempo, si straccia e tutti a casa. E' lo stesso procedimento delle ferrovie svizzere, a cui ho assistito qualche anno fa a Briga: un treno che accumula troppo ritardo (1 ora e mezzo nel mio caso) non e' tollerabile. Si fa fermare alla prima stazione e si fanno scendere tutti i passeggeri. Chi si e' visto si e' visto, pazienza se quello era l'ultimo treno della giornata, i passeggeri si arrangeranno. Almeno nessuno potra' dire che in Svizzera i treni non vanno in orario. Una follia assoluta.
Mi rifaccio alle parole dell'Associazione Nazionale Magistrati per ogni ulteriore commento a questa nuova vergogna:

Gli unici processi che potranno essere portati a termine saranno quelli nei confronti dei recidivi e quelli relativi ai fatti indicati in un elenco di eccezioni (articolo 2, comma 5 del disegno di legge) che pone forti dubbi di costituzionalità. È impensabile, infatti, che il processo per una truffa di milioni di euro nei confronti dell’imputato incensurato si estingua, mentre debba proseguire il processo per una truffa da pochi euro, commessa da una persona già condannata, magari anni prima, per altro reato.

Saranno invece destinati a inevitabile prescrizione tutti i processi per reati gravi, quali abuso d’ufficio, corruzione semplice e in atti giudiziari, rivelazione di segreti d’ufficio, truffa semplice o aggravata, frodi comunitarie, frodi fiscali, falsi in bilancio, bancarotta preferenziale, intercettazioni illecite, reati informatici, ricettazione, vendita di prodotti con marchi contraffatti; traffico di rifiuti, vendita di prodotti in violazione del diritto d’autore, sfruttamento della prostituzione, violenza privata, falsificazione di documenti pubblici, calunnia e falsa testimonianza, lesioni personali, omicidio colposo per colpa medica, maltrattamenti in famiglia, incendio, aborto clandestino.

Per tutti questi reati sarà impossibile arrivare a una sentenza di primo grado entro due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, quindi sarà sempre impossibile accertare i fatti. Più che di una amnistia, si tratta di una sostanziale depenalizzazione di fatti di rilevante e oggettiva gravità. Truffatori di professione, evasori fiscali, ricettatori, corrotti e pubblici amministratori infedeli, che non abbiano già riportato una condanna, avranno la certezza dell’impunità.

Infine la norma transitoria, che estende ai processi in corso l’applicazione delle nuove disposizioni, è destinata a determinare l’immediata estinzione di decine di migliaia di processi, anche per fatti gravi. Per limitarci a qualche esempio, la legge provocherà l’immediata estinzione di gran parte dei reati nei processi per i crac Cirio e Parmalat, per le scalate alle banche Antonveneta e Bnl, per corruzione nel processo Eni-Power.

Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati

Giuseppe Cascini, segretario generale

Roma, 12 novembre 2009

E io pago


Riporto l'articolo di Tito Boeri pubblicato su La Repubblica l’11 novembre. Nulla da eccepire sulle tre cose da fare subito. Particolarmente interessante, oltre al contyratto unico di cui si parla da tempo ma per il quale non si fa nulla, la terza proposta. Ecco il testo:

«Finché ci sono io non ci saranno tagli alle pensioni». Non se n´è accorto, ma con queste parole Tremonti ha annunciato l´intenzione di terminare il suo mandato prima della fine della legislatura. Oppure ha deciso di riformare domani, subito, il nostro mercato del lavoro. Il fatto è che la crisi sta già tagliando le pensioni. Non quelle in essere. Ma quelle di chi è entrato, meglio è rimasto, in attesa di entrare nel mercato del lavoro, da quando la crisi è iniziata. Certo, non possiamo dare la colpa della crisi al governo. Ma quella di non aver fatto sin qui nulla per evitare ai giovani un futuro pensionistico grigio, anzi grigissimo, non possiamo proprio risparmiargliela. Con tutta la buona volontà.
La crisi del lavoro ha sin qui colpito quasi solo i giovani in Italia. A differenza di crisi precedenti, non c´è stato solo il congelamento delle assunzioni, comunque diminuite del 30%. Ci sono anche stati licenziamenti massicci (tra il 10 e il 15 per cento del loro numero a inizio della crisi) tra chi aveva contratti a tempo determinato, collaborazioni a progetto o partite Iva. Accade così che oggi un disoccupato su tre ha meno di 25 anni contro uno su quattro prima dell´inizio della crisi. Siamo il paese Ocse in cui il rapporto fra il tasso di disoccupazione dei giovani e il tasso di disoccupazione complessivo è più alto (più di tre volte più alto) ed è aumentato di più dall´inizio della recessione. Significa che il rischio di perdere il lavoro è diventato ancora più concentrato sui giovani. Non era un paese per giovani, il nostro. Lo sarà ancora meno se non si fa qualcosa. Non sono danni transitori quelli che stiamo facendo ai giovani, non sono danni destinati ad evaporare dopo la recessione. Diversi studi documentano che chi inizia la propria carriera con un periodo di disoccupazione (e chi non inizia del tutto pur cercando attivamente un lavoro), ha una vita lavorativa caratterizzata da frequenti periodi senza lavoro e con salari più bassi al contrario di chi non ha vissuto questa esperienza (inizialmente i salari sono fino al 20% più bassi, poi il divario si riduce al 5%, ma solo nel caso in cui non si perda nuovamente il lavoro). È, quindi, una condanna che ci si porta dietro per tutta la vita, fatta di salari più bassi, rischi più alti di perdere il posto di lavoro e anche peggiori condizioni di salute di chi il lavoro non l´ha mai perso. A questi danni bisogna poi aggiungere quello di ricevere una pensione molto più bassa al termine della propria vita lavorativa. Perché chi entra oggi nel mercato del lavoro avrà una pensione dettata dalle regole del sistema contributivo, quindi legata ai salari che ha ricevuto durante l´intero arco della vita lavorativa. E chi oggi perde un lavoro precario non si vede riconoscere i cosiddetti oneri figurativi, non c´è qualcuno, lo Stato, che gli versa i contributi mentre cerca un impiego alternativo. In altre parole, assiste impotente ad un ulteriore assottigliamento della sua pensione.
Continuare a ignorare i problemi dell´ingresso nel mercato del lavoro e non concedere l´estensione di ammortizzatori sociali e oneri figurativi ai lavoratori temporanei vuol dire quindi tagliare le pensioni del domani in modo molto consistente, contando sul fatto che le vittime di questo taglio se ne accorgeranno quando ormai sarà troppo tardi e quando i responsabili di questi tagli sono, loro sì, da tempo andati in pensione. Il nostro ministro dell´Economia si vanta spesso di avere previsto l´imprevedibile. Solo lui avrebbe avvistato il cigno nero sulle coste australiane. Gli chiediamo questa volta di vedere ciò che noi tutti vediamo: un futuro pensionistico difficilissimo per i nostri figli e di agire di conseguenza. Ci sono tre cose da fare subito. Primo riformare i percorsi di ingresso nel mercato del lavoro, superando il suo stridente dualismo, con innovazioni come il contratto unico a tempo indeterminato a tutele progressive, ormai condivise da ampi settori dell´opposizione e del sindacato. Secondo estendere la copertura dei nostri ammortizzatori sociali, che sono oggi i meno generosi tra i paesi dell´Ocse, tra cui figura anche la Turchia, come certificato recentemente da questa organizzazione spesso citata dal ministro dell´Economia. Terzo, mandare a tutti i lavoratori un estratto conto previdenziale che, come in Svezia, li informi su quale sarà la loro pensione futura, sulla base di proiezioni realistiche sui loro guadagni futuri. Se non lo fa, nonostante glielo sia stato chiesto da anni (e lo stesso ministro Sacconi si sia impegnato in questo senso ufficialmente all´ultima assemblea della Covip), sarà solo perché ha paura di dire agli italiani la verità sui tagli che sta operando alle loro pensioni rinunciando a riformare il mercato del lavoro.

giovedì 12 novembre 2009

Rieducazione


Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Costituzione Italiana, Art. 27

La realta' pero' e' ben diversa. Cosi' Francesco Costa per l'Unita':

«Che non accada mai più! Che serva da lezione!». È un copione amaro e comune quello per cui a seguito di un fatto molto grave si alzi il più scontato e disperato degli auspici. Per quanto il gesto possa dare una qualche temporanea e illusoria sensazione di speranza, dovremmo ormai aver capito che desiderarlo non basta e che forse giova di più raccontare per filo e per segno quel che succede, osservare e analizzare senza sosta le relazioni tra i fatti, coltivare l’abitudine di ricordare quel che è accaduto e si vuole non accada più.

Quando si parla di quel succede nelle carceri italiane, infatti, un ottimo punto di partenza può essere la presa d’atto che il cosiddetto “caso Cucchi” è stato tutto meno che un caso. Nelle carceri italiane muoiono in media 150 detenuti l’anno: un terzo per suicidio, un terzo per “cause naturali” e la restante parte per “cause da accertare”. I morti per suicidio sono una cifra impressionante: con 1005 casi accertati dal 1990 a oggi, in carcere ci si suicida ventuno volte di più che fuori. Si tratta inoltre di un dato che aumenta in modo esponenziale con l’aumentare del sovraffolamento: nell’ultimo anno, a un incremento del venti per cento della popolazione carceraria è corrisposto un incremento dei suicidi vicino al 50 per cento. Il numero delle morti per “cause da accertare”, poi, nasconde spesso realtà drammatiche e inquietanti sulle quali fare luce è praticamente impossibile, anche a fronte di perizie e documentazioni inequivocabili, specie senza le attenzioni dei mezzi di comunicazione e la presenza di famiglie determinate come quella di Stefano Cucchi.

Il centro studi Ristretti orizzonti, che da anni si occupa della questione carceraria con precisione e competenza, presenta un quadro da dittatura sudamericana. «Morti per “infarto” con la testa spaccata, per “suicidio” con con ematomi e contusioni in varie parti del corpo. Quello che non è possibile vedere, ma a volte emerge dalle perizie mediche (quando vengono disposte e poi è dato conoscerne l’esito), sono costole spezzate, milze e fegati “spappolati”, lesioni ed emorragie interne. Questo è quanto emerge dalle cronache, dalle perizie, dalle fotografie (quando ci arrivano) e questo è quanto ci limitiamo a testimoniare». Un rapporto mette insieme trenta casi di morti dalle dubbie circostanze avvenuti dal 2002 a oggi.

Si va da Stefano Guidotti, 32 anni, trovato impiccato alle sbarre del bagno ma col volto ricoperto escoriazioni e una serie di macchie di sangue sul pavimento, a Kolica Andon, 30 anni, albanese, che si uccide dopo 35 giorni di sciopero della fame. «Preferisco morire», aveva detto, «piuttosto che restare qui dentro da innocente». Da Mauro Fedele, detenuto nel carcere di Cuneo, al quale viene diagnosticata la morte per “arresto cardiocircolatorio” mentre suo padre denuncia un «corpo di pieno di lividi, con la testa fasciata e segni blu su collo, sul petto, sui fianchi e all’interno delle cosce, sia a destra sia a sinistra», a Marco De Simone, con problemi psichici, che viene dichiarato “incompatibile con il regime carcerario” ma viene ugualmente detenuto e si impicca 48 ore dopo essere arrivato a Rebibbia.

Poi c’è Marcello Lonzi, ufficialmente morto “per collasso cardiaco”, le cui foto raccontano di un corpo inequivocabilmente martoriato di lividi. Stessa sorte di Habteab Eyasu, 36 anni, eritreo, che si uccide impiccandosi in una cella di isolamento della Casa Circondariale di Civitavecchia. Le foto mostrano una ferita in fronte e una grande macchia di sangue dietro la nuca. C’è il caso di Aldo Bianzino, uno dei pochi che è riuscito ad avere una qualche attenzione dai mezzi di comunicazione. Bianzino viene arrestato il venerdì 13 ottobre 2007 e muore domenica 15. Quando trovano il suo corpo, i medici riscontrano quattro emorragie cerebrali, almeno due costole rotte e lesioni a fegato e milza. C’è Manuel Eliantonio, 22 anni, che scriveva: «Cara mamma, qui mi ammazzano di botte almeno una volta la settimana e mi riempiono di psicofarmaci…». Lo trovano morto in un bagno del carcere di Marassi, a Genova, con il volto coperto di ecchimosi.

In alcuni di questi casi il dramma ha persino dei risvolti paradossali, come nel caso di Gianluca Frani, 31 anni, che si sarebbe suicidato impiccandosi a un tubo dello scarico del water, nel carcere di Bari. C’è un dettaglio, però: Frani era paraplegico e semiparalizzato. Oppure il caso di Sotaj Satoj, 40 anni, albanese, che muore nel reparto Rianimazione dell’Ospedale di Lecce dopo tre mesi di sciopero della fame. Dopo la sua morte, gli agenti continuarono a piantonarlo per ore: credevano stesse fingendo, per tentare la fuga. Anche Andrea Mazzariello, 50 anni, paraplegico e costretto su una sedia rotelle, si toglie la vita impiccandosi a un tubo del water col cordone dell’accappatoio. Il suo medico di base gli aveva prescritto delle dosi di morfina, per combattere il dolore lancinante alla schiena che lo costringeva sulla carrozzella. Morfina che gli veniva inspiegabilmente negata: secondo il suo medico «per questo si è tolto la vita». E poi decine di altri casi di morti misteriose, di ragazzi in piena salute morti a causa di generici «malori», di suicidi inspiegabili e comportamenti irresponsabili da parte delle autorità. Storie orribilmente frequenti in quegli inferni in terra che sono le carceri italiane: da ricordare, raccontare e denunciare senza pause perché davvero, una volta per tutte, non accadano più.

mercoledì 11 novembre 2009

Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri


Di seguito il testo del documento discusso e approvato ieri sera dall'Assemblea di Zona Firenze Ovest dei capi scout AGESCI, che riprende con leggere modifiche il testo gia' approvato a Pistoia, Brescia e in una zona di Milano, riguardo al DDL sicurezza approvato dal Parlamento.


Ero straniero e mi avete accolto
Mt 25,35

Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso; io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.
Don Milani, lettera ai cappellani militari

Alla luce della nostra identità scout vogliamo esprimere il nostro disagio a fronte di quello che sta accadendo intorno a noi, con particolare riferimento al mondo degli stranieri che vivono nel nostro paese e alle recenti norme varate dal governo per garantire la sicurezza dei cittadini italiani. Il Patto Associativo, condiviso da tutti gli educatori e gli assistenti ecclesiastici dell’Associazione, al quale costantemente ci riferiamo nel nostro servizio educativo, così si esprime: “la diversità di opinioni presenti nell’Associazione… non deve impedirci di prendere posizione in quelle scelte politiche che riteniamo irrinunciabili per la promozione umana”. Denunciamo quindi e non accettiamo un clima sociale repressivo molto diffuso nel nostro paese, sostenuto da una forte pressione mediatica che attribuisce la maggior parte dei reati commessi in Italia solamente agli stranieri. Una campagna ideologica che ha messo in competizione la sicurezza con i diritti, individuando come capro espiatorio di problemi piu’ gravi i piu' deboli e diseredati. Condividiamo le affermazioni forti ed incisive riportate da “Famiglia Cristiana” (n. 7 del 15 febbraio 2009): “L’Italia precipita, unico paese occidentale, verso il baratro di leggi razziali. Il soffio ringhioso di una politica miope e xenofoba che spira nelle osterie padane è stato sdoganato nell’aula del senato”.
Ancora nel Patto Associativo leggiamo: “Ci impegniamo a rifiutare decisamente, nel rispetto delle radici storiche e delle scelte democratiche e antifasciste espresse nella Costituzione del nostro Paese, tutte le forme di violenza, palesi ed occulte, che hanno lo scopo di uccidere la libertà e di instaurare l'autoritarismo e il totalitarismo a tutti i livelli, di imporre il diritto del forte sul debole, di dare spazio alle discriminazioni razziali”.
Siamo consapevoli che i grandi fenomeni sociali, come l’immigrazione, trascinano con sé problemi di violenza, sfruttamento e illegalità. L’immigrazione non può essere presentata solo come un problema; a nostro avviso è invece una grande opportunità di incontro di popoli e culture, di crescita umana e sociale, di arricchimento spirituale. La condivisione fra tutti gli uomini dei principi di giustizia, pace e diritti umani è irrinunciabile in un mondo che si fa ogni giorno più piccolo e globale. Certamente la legalità è una condizione imprescindibile per uno stato di diritto, tuttavia occorre avere sempre presente la Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo e il testo della nostra Costituzione repubblicana. “La responsabilità penale è personale” ed in tale prospettiva i comportamenti del singolo non possono fare esprimere giudizi negativi su un intero gruppo o popolo. La paura del diverso, spesso cavalcata per convenienza politica, non deve farci perdere il senso del rapporto umano e del diritto: la dignità dell’uomo va posta al di sopra di qualsiasi calcolo di convenienza. Per questo e per altro ancora ci appaiono non condivisibili le decisioni del governo italiano che hanno già previsto un inasprimento delle sanzioni relative alla clandestinità, e gli orientamenti del ‘pacchetto sicurezza’ che prevedono
ad esempio l‘incarcerazione fino a 180 giorni nei centri di identificazione senza processo e senza colpa, o l’impossibilita’ per gli stranieri senza permesso di soggiorno di registrare all’anagrafe e riconoscere i propri figli. Non vediamo anche in questa occasione quell’attenzione e quella cura della vita così sbandierata in altri casi.
Altri drammatici eventi concomitanti interpellano fortemente la nostra fede cristiana e il nostro
laico impegno civile, come i ripetuti “respingimenti”di migranti intercettati nel canale di Sicilia e
rispediti in Libia, che non aderisce alla Convenzione internazionale dei diritti umani, e presentato come “svolta storica “ dal Ministro dell’Interno ma respinto come preoccupante da organismi dell’ONU e già sanzionato dalla Corte europea nel 2005.
Se poi ci confrontiamo con il Vangelo per noi la strada da seguire è quella della accoglienza di ogni persona, indipendentemente dalla sua condizione economica sociale o culturale, soprattutto dei più poveri e indigenti.Il Patto Associativo ci ricorda: “Ci impegniamo pertanto a qualificare la nostra scelta educativa in senso alternativo a quei modelli di comportamento della società attuale che avviliscono e strumentalizzano la persona umana (…) Ci impegniamo a spenderci particolarmente là dove esistono situazioni di marginalità e sfruttamento (…)”
Noi capi Agesci continueremo a investire la nostra intelligenza e la nostra passione per l’educazione dei ragazzi convinti che il metodo scout non sia il nostalgico ripetersi di formule centenarie, ma un attualissimo modo di educare che con le attività dei gruppi, le route e i campi estivi, il servizio sempre gioioso e gratuito, contribuisce a formare “…cittadini del mondo e operatori di pace affinché il dialogo e il confronto con ciò che è diverso da noi diventi forza promotrice di fratellanza universale”.
La grande sfida del nostro futuro non è tanto costruire barriere per la sicurezza, ma vivere il pluralismo come occasione di incontro e integrazione di popoli.

martedì 10 novembre 2009

Senza parole



Questo "editoriale" del direttore del TG1 Augusto Minzolini e' andato in onda ieri al telegiornale delle 20, in vista delle manovre di Berlusconi per scampare in qualche modo ai processi dopo la bocciatura del lodo Alfano. Senza parole, credo ormai che il limite piu' che essere stato passato e' stato del tutto abbattuto.

Senza parole anche per la volonta' del sottosegretario all'economia Nicola Cosentino, accusato da intercettazioni e pentiti di essere in buoni rapporti con il clan camorristico dei Casalesi e per il quale e' arrivata finalmente la richiesta di arresto alla Camera per concorso esterno in associazione mafiosa, di andare avanti nella campagna elettorale per la presidenza della regione Campania. Sostenuto dal centro-destra che subito ha cominciato a gridare senza vergogna e senso del decoro all'ennesima "persecuzione" giudiziaria.

Senza parole lasciano anche le dichiarazioni di Giovanardi sulla morte di Stefano Cucchi, che appare ormai dovuta al pestaggio selvaggio da parte delle guardie carcerarie. Qualche parola la trova Francesco Merlo su Repubblica:

Ma questo non è lo stesso Giovanardi che straparlava dell'aborto e del peccato di omosessualità? Non è quello che difendeva la vita dell'embrione? È proprio diverso il Dio di Giovanardi dal Cristo addolorato di cui si professa devoto. Con la mano sul mento, il gomito sul ginocchio e due occhi rassegnati, il Cristo degli italiani è ben più turbato dai Giovanardi che dai Cucchi

Cantava De Andre' "non mi uccise la morte / ma due guardie bigotte / mi cavarono l'anima / a forza di botte"...

lunedì 9 novembre 2009

Die Mauer ist weg


Venti anni fa, il 9 Novembre 1989, si apriva in maniera rocambolesca (peraltro innescata da una domanda di un giornalista fiorentino) la prima breccia nel muro che circondava Berlino Ovest. Erano gli anni in cui le cortine di ferro si sgretolavano fra i baffoni di Walesa e la voglia di Gorbačëv, tra i giovani che ovunque nei paesi di influenza sovietica chiedevano liberta', trasparenza e rinnovamento. Solo pochi anni dopo le cartine degli atlanti e quelle appese nelle classi erano da buttare, carta straccia trascinata dal vento di cambiamento che soffiava da est. Ma la stessa cancelliera tedesca avverte che se l'unificazione e' da tempo su quelle cartine, e' ancora incompiuta nella testa e nelle tasche dei tedeschi.
Qui una bella storia fotografica del muro, e alcuni interessanti link per chi mastica il tedesco si trova su Concausa. Sperando che questo anniversario possa servire a ricordarci che esistono ancora nel mondo migliaia di chilometri di muri a separarci, dalla Palestina al Saharawi, senza contare quelli fatti non di pietra ma da braccia di mare, odio e intolleranza.

domenica 8 novembre 2009

Sorpassi


Raul Minetti spiega perche' la storia del sorpasso ai danni della Gran Bretagna sul PIL strombazzato da Berlusconi sia in realta' una panzana merito esclusivamente di Prodi. Qualche informazione in piu' anche su noisefromamerika.

Mi sono svegliato stamane e ho trovato scritto a caratteri cubitali come prima notizia della prima pagina del Corriere della Sera online che il premier Silvio Berlusconi ha annunciato in conferenza stampa che l’economia italiana non solo “galoppa” ma ha superato quella del Regno Unito e si colloca ora al sesto posto al mondo nella classifica del PIL nominale. Quella dei sorpassi nella classifica del PIL è storia (barzelletta?) vecchia, e qui bisogna dire che Berlusconi non è più colpevole o ingenuo di tanti suoi predecessori italiani e internazionali. Si sa che gli esempi sono sempre più utili di mille spiegazioni e allora per capire la inutilità di questa notizia che riempie oggi i nostri maggiori giornali riporto qui questo divertente aneddoto dalla edizione inglese del People’s Daily (uno dei maggiori quotidiani cinesi).

Anche i bambini sanno che la Cina sperimenta ormai da anni tassi di crescita dell’economia fenomenali, da prime pagine dei giornali. Durante il 2003 il PIL della Cina crebbe ad un tasso spettacolare del 9.1%; la nostra lumachella Italia sperimentò sempre nel 2003 una modestissima crescita del suo PIL dello 0.3%. Lo riscrivo per chiarezza in formato calcistico: Cina +9.1%-Italia +0.3%, cioè nel 2003 l’economia cinese crebbe 30 volte (30) più di quella Italiana. Eppure, alla fine del 2002 la Cina era al sesto posto nella classifica mondiale del PIL davanti all’Italia e, incredibilmente, alla fine del 2003 l’Italia (che in quell’anno era cresciuta 30 volte meno) sorpassò la Cina e divenne di nuovo la sesta economia del mondo davanti alla Cina! A cosa fu dovuto questo miracoloso sorpasso della lumachella Italia ai danni del dragone Cina? Come ci spiega nell’articolo il bravo Mr. Zhu (executive director per la Cina presso la Banca Mondiale), il “sorpasso dopato” fu dovuto ai forti cambiamenti dei tassi di cambio durante il 2003. Quando confrontati a livello internazionale i PIL dei vari paesi vengono convertiti in dollari USA al tasso di cambio corrente. Durante il 2003 l’Euro (in cui si misura il PIL nominale italiano) si apprezzo’ del 20% rispetto al dollaro mentre il tasso di cambio RMB (la valuta cinese) rispetto al dollaro rimase praticamente invariato durante il 2003. In sintesi: a causa del massiccio apprezzamento dell’Euro, nonostante il suo PIL fosse cresciuto solo dello 0.3% rispetto all’anno precedente, l’Italia si trovo’ ad avere un tasso di crescita del suo PIL valutato in dollari di circa il 20%. Il drago cinese sperimento sì una crescita fenomenale del PIL del 9.1% rispetto all’anno precedente ma essendo il tasso di cambio RMB/Dollaro rimasto invariato quella fu anche la crescita del suo PIL stimato in dollari. Morale: grazie alle fluttuazioni del tasso di cambio la lumaca Italia crebbe in termini di dollari USA al 20% e il drago Cina al 9%. E l’Italia sorpassò temporaneamente la Cina nella classifica mondiale del PIL (poi il drago ha continuato la corsa e recentemente ha superato anche il Giappone…).

L’estenuante storia-barzelletta dei sorpassi del PIL Italia su UK e viceversa che ci raccontano da ormai 25 anni è in buona parte spiegabile proprio con le vistose fluttuazioni nei tassi di cambio dell’Euro rispetto alla Sterlina. La Sterlina è da tempo molto debole rispetto all’Euro e questo trascina al ribasso il valore del PIL del Regno Unito rispetto a quello dell’Italia. Ovviamente il discorso vale anche al contrario: quando negli anni ’90 i giornali inglesi trionfalmente annunciavano il sorpasso del PIL inglese su quello italiano esso era dovuto non solo ad una brillante performance al tempo dell’economia inglese ma anche ad una forza notevole della Sterlina rispetto alla Lira. La verità più amara per entrambi i paesi è che (al netto delle illusioni ottiche dei tassi di cambio) la crescita dell’economia italiana è mediocre (vergognosa?) da 20 anni, e quella inglese dopo una buona performance negli anni ’90 segna anch’essa da qualche tempo il passo (il Regno Unito è anche uno dei paesi che piu’ ha risentito della crisi globale).

Tre riflessioni in conclusione: 1) Berlusconi potrebbe al limite fare una telefonata di ringraziamento a Prodi per aver aiutato a suo tempo l’Italia ad entrare nell’Euro, se oggi annuncia l’ennesimo ri-sorpasso; 2) Se e quando il Regno Unito adotterà l’Euro, ci libereremo per sempre di questa barzelletta dei reciproci sorpassi Italia-Uk; 3) I nostri maggiori quotidiani potrebbe fare un uso più accurato delle loro prime pagine.

giovedì 5 novembre 2009

Eutanasia della Repubblica


Per sviare l'attenzione da problemi e scandali ben piu' seri, ormai nel paese si discute solo della sentenza UE sui crocifissi, peraltro esiste gia' un precedente della Cassazione italiana nel 2000 che bollava come incostituzionale il tutto. Tralascio considerazioni sugli effetti deliranti della discussione su membri "autorevoli" del governo, mi limito a notare come questa sia una di quelle classiche polemiche inventate di proposito per sviare, provocare lacerazioni profonde in seno alle chiese cristiane e nella società italiana, e per essere strumentalizzate da chi si erge a parole a paladino della cristianita'. Lo scopo è quello di strumentalizzare sentimenti e simboli che sono molto lontani da ciò che i partiti sostenitori della campagna sul crocifisso praticano quotidianamente nelle loro azioni di governo, con leggi in radice anticristiane, come la legge sull’immigrazione e il pacchetto sicurezza, che anziché cercare il bene comune e in speciale modo quello dei deboli e degli ultimi preferiscono tutelare e proteggere gli interessi dei forti e potenti. E poi la Croce non dovrebbe essere proprio “scandalo per i Giudei e stoltezza per i gentili” (1 Cor 1,23)?
Per fortuna qualcuno anche in seno alla chiesa continua a ricordare queste contraddizioni: all'annuale cerimonia organizzata dall'Anpi in memoria dei caduti partigiani al Campo della gloria del cimitero Maggiore di Milano qualche giorno fa, l'intervento più applaudito è stato quello di monsignor Gianfranco Bottoni, responsabile delle relazioni ecumeniche e interreligiose della Diocesi di Milano. Ha spiegato che "si assiste in questo periodo a una caduta senza precedenti della democrazia e dell'etica pubblica" e ha parlato di "continui colpi al sistema democratico" oltre che di "uno stato padrone a gestione personale". "È in corso - ha aggiunto - una morte lenta e indolore della democrazia, una progressiva eutanasia della repubblica nata dalla Resistenza". L'intervento di don Gianfranco Bottoni ha provocato la reazione ringhiosa della destra di Milano con una aggressione verbale virulenta, e commenti fortemente negativi da parte della giunta.
Chi volesse comunicare il proprio sostegno a don Gianfranco Bottoni - in un momento in cui nella "chiesa gerarchica" rifulge invece il silenzio, o peggio la complicita', come metodo - può scrivere a: ecumenismo@diocesi.milano.it. Di seguito il testo integrale dell'intervento:

La memoria dei morti qui, al Campo della Gloria, esige che ci interroghiamo sempre su come abbiamo raccolto l'eredità spirituale che Caduti e Combattenti per la Liberazione ci hanno lasciato. Rispetto a questo interrogativo mai, finora, ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Siamo di fronte, nel nostro paese, ad una caduta senza precedenti della democrazia e dell'etica pubblica. Non è per me facile prendere la parola e dare voce al sentimento di chi nella propria coscienza intende coniugare fede e impegno civile. Preferirei tacere, ma è l'evangelo che chiede di vigilare e di non perdere la speranza. È giusto riconoscere che la nostra carenza del senso delle istituzioni pubbliche e della loro etica viene da lontano. Affonda le sue radici nella storia di un¹Italia frammentata tra signorie e dominazioni, divisa tra guelfi e ghibellini. In essa tentativi di riforma spirituale non hanno potuto imprimere, come invece in altri paesi europei, un alto senso dello stato e della moralità pubblica. Infine, in questi ultimi 150 anni di storia della sua unità, l'Italia si è sempre ritrovata con la "questione democratica" aperta e irrisolta, anche se solo con il fascismo l¹involuzione giunse alla morte della democrazia. La Liberazione e l'avvento della Costituzione repubblicana hanno invece fatto rinascere un¹Italia democratica, che, per quanto segnata dal noto limite politico di una "democrazia bloccata" (come fu definito), è stata comunque democrazia a sovranità popolare. La caduta del muro di Berlino aveva creato condizioni favorevoli per superare questo limite posto alla nostra sovranità popolare fin dai tempi di Yalta. Infatti la normale fisiologia di una libera democrazia comporta la reale possibilità di alternanze politiche nel governo della cosa pubblica. Ma proprio questo risulta sgradito a poteri che, già prima e ancora oggi, sottopongono a continui contraccolpi le istituzioni democratiche. L'elenco dei fatti che l¹attestano sarebbe lungo ma è noto. Tutti comunque riconosciamo che ad indebolire la tenuta democratica del paese possono, ad esempio, contribuire: campagne di discredito della cultura politica dei partiti; illecite operazioni dei poteri occulti; monopolizzazioni private dei mezzi di comunicazione sociale; mancanza di rigorose norme per sancire incompatibilità e regolare i cosiddetti conflitti di interesse; alleanze segrete con le potenti mafie in cambio della loro sempre più capillare e garantita penetrazione economica e sociale; mito della governabilità a scapito della funzione parlamentare della rappresentanza; progressiva riduzione dello stato di diritto a favore dello stato padrone a conduzione tendenzialmente personale; sconfinamenti di potere dalle proprie competenze da parte di organi statali e conseguenti scontri tra istituzioni; tentativi di imbavagliare la giustizia e di piegarla a interessi privati; devastazione del costume sociale e dell'etica pubblica attraverso corruzioni, legittimazioni dell'illecito, spettacolari esibizioni della trasgressione quale liberatoria opportunità per tutti di dare stura ai più diversi appetiti. Di questo degrado che indebolisce la democrazia dobbiamo sentirci tutti corresponsabili; nessuno è esente da colpe, neppure le istituzioni religiose. Differente invece resta la valutazione politica se oggi in Italia possiamo ancora, o non più, dire di essere in una reale democrazia. È una valutazione che non compete a questo mio intervento, che intende restare estraneo alla dialettica delle parti e delle opinioni. Al di là delle diverse e opinabili diagnosi, c¹è il fatto che oggi molti, forse i più, non si accorgono del processo, comunque in atto, di morte lenta e indolore della democrazia, del processo che potremmo definire di progressiva "eutanasia" della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista. Fascismo di ieri e populismo di oggi sono fenomeni storicamente differenti, ma hanno in comune la necessità di disfarsi di tutto ciò che è democratico, ritenuto ingombro inutile e avverso. Allo scopo può persino servire la ridicola volgarità dell¹ignoranza o della malafede di chi pensa di liquidare come "comunista" o "cattocomunista" ogni forma di difesa dei principi e delle regole della democrazia, ogni denuncia dei soprusi che sono sotto gli occhi di chiunque non sia affetto da miopia e che, non a caso, preoccupano la stampa democratica mondiale. Il senso della realtà deve però condurci a prendere atto che non serve restare ancorati ad atteggiamenti nostalgici e recriminatori, ignorando i cambiamenti irreversibili avvenuti negli ultimi decenni. Servono invece proposte positivamente innovative e democraticamente qualificate, capaci di rispondere ai reali problemi, alle giuste attese della gente e, negli attuali tempi di crisi, ai sempre più gravi e urgenti bisogni del paese. Perché finisca la deriva dell¹antipolitica e della sua abile strumentalizzazione è necessaria una politica nuova e intelligente. Ci attendiamo non una politica che dica "cose nuove ma non giuste", secondo la prassi oggi dominante. Neppure ci può bastare la retorica petulante che ripete "cose giuste ma non nuove". È invece indispensabile che "giusto e nuovo" stiano insieme. Urge perciò progettualità politica, capacità di dire parole e realizzare fatti che sappiano coniugare novità e rettitudine, etica e cultura, unità nazionale e pluralismi, ecc. nel costruire libertà e democrazia, giustizia e pace. Solo così, nella vita civile, può rinascere la speranza. Certamente la speranza cristiana guarda oltre le contingenza della città terrena. E desidero dirlo proprio pensando ai morti che ricordiamo in questi giorni. La fede ne attende la risurrezione dei corpi alla pienezza della vita e dello shalom biblico. Ma questa grande attesa alimenta anche la speranza umana per l'oggi della storia e per il suo prossimo futuro. Pertanto, perché questa speranza resti accesa, vorrei che idealmente qui, dal Campo della Gloria, si levasse come un appello a tutte le donne e gli uomini di buona volontà. Vorrei che l'appello si rivolgesse in particolare a coloro che, nell'una e nell'altra parte dei diversi e opposti schieramenti politici, dentro la maggioranza e l¹opposizione, si richiamano ai principi della libertà e della democrazia e non hanno del tutto perso il senso delle istituzioni e dell¹etica pubblica. A voi diciamo che dinanzi alla storia - e, per chi crede, dinanzi a Dio - avete la responsabilità di fermare l'eutanasia della Repubblica democratica. L'appello è invito a dialogare al di là della dialettica e conflittualità politica, a unirvi nel difendere e rilanciare la democrazia nei suoi fondamenti costituzionali. Non è tempo di contrapposizioni propagandistiche, né di beghe di basso profilo. L'attuale emergenza e la memoria di chi ha combattuto per la Liberazione vi chiedono di cercare politicamente insieme come uscire, prima che sia troppo tardi, dal rischio di una possibile deriva delle istituzioni repubblicane. Prima delle giuste e necessarie battaglie politiche, ci sta a cuore la salute costituzionale della Repubblica, il bene supremo di un¹Italia unitaria e pluralista, che insieme vogliamo "libera e democratica".

mercoledì 4 novembre 2009

4 Novembre 1966



Dopo giorni di pioggia, Firenze si sveglio' nel fango.

Prestigio internazionale



E infatti esattamente un anno fa, mentre Silvio e Patrizia erano nel lettone di Putin, succedeva questo...

martedì 3 novembre 2009

Crocifissi


Nel Duomo vecchio di Molfetta c'è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l'ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell'opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non so quella di Cristo. Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell'abbandono. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre "collocazione provvisoria". Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce. C'è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo. "Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra". Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell'uomo. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell'orario, c'è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio, fratello che soffri. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.

da “Alla finestra la speranza”, Don Antonio Bello, Vescovo di Molfetta

lunedì 2 novembre 2009

Tra il dire e il fare


E' in arrivo in Parlamento il DDL del ministro Gelmini sulla "riforma" dell'Universita'. Non e' ben chiaro dove sia la riforma, visto che in pratica manca il finanziamento (ah no, e' una delle mille cose che il governo finanziera' con lo scudo fiscale...). Dal testo, disponibile qui, si capisce gia' a prima vista che si parla parecchio di merito, ma nei fatti ce ne sara' molto molto poco. Difficile aspettarsi altro da una ministra che ando' a Reggio Calabria per superare un piu' accessibile esame di avvocato e che fu sfiduciata da presidente del consiglio comunale di Desenzano sul Garda dalla sua stessa maggioranza per "manifesta incapacita' ed improduttività politica ed organizzativa". Di seguito il comunicato del coordinamento dei ricercatori universitari fiorentini in merito.

La montagna ha partorito il topolino, ovvero la bella e la bestia …


Il 28 ottobre il ministro Gelmini (la bella) ha illustrato al governo (la montagna) il DDL (la bestia) che verrà presentato in Parlamento per ottenere le deleghe necessarie alla riforma del sistema universitario nazionale (il topolino).
Il DDL è stranamente molto minuzioso su alcune materie ed assai vago su altre. Ad es. si sofferma nel dettaglio su governance, articolazione organizzativa, reclutamento e carriere, modifiche di fatto dello stato giuridico dei ricercatori, ecc., mentre è assai generico ed evasivo su altri temi, come il finanziamento del sistema universitario, la premialità nei trasferimenti di risorse agli atenei e nel trattamento economico dei docenti, ecc. Soprattutto il DDL continua ad essere evanescente, al di là delle petizioni meritocratiche di principio ormai abusate, a proposito dell’introduzione dei meccanismi di valutazione della ricerca e della didattica, istituzionali e individuali, nei termini di procedure ex ante, in itinere ed ex post. Ci sarà modo e tempo di approfondire tutti questi elementi, sperando che si apra finalmente e davvero un dibattito sull’università italiana, sul futuro della ricerca scientifica e della costruzione dei saperi nel nostro paese, sull’alta formazione. Noi qui però vogliamo intanto segnalare un fatto che ci coinvolge tutti quanti come ricercatori e che è emblematico dell’idea di università che sta dietro questo progetto, presentato alla chetichella in un DDL che, nella sua versione attuale, è assai diverso dalla prima ipotesi uscita alla fine di maggio. Nessuno, né il CUN né la CRUI, né tanto meno tutti coloro che vivono e lavorano e studiano all’università, aveva idea di cosa il governo stesse preparando realmente dopo maggio né ha avuto modo di discuterne. E’ vera però una cosa: noi non siamo stati eletti dal popolo … Nella riforma manca qualunque criterio di valutazione della attuale classe dirigente dell'università Italiana, i professori ordinari, anzi si confonde gli effetti del dissesto con le cause, indicando i ricercatori a tempo indeterminato come capri espiatori. Ai ricercatori non è concessa la dignità del ruolo docente (la famosa “terza fascia”), ma questo ce lo aspettavamo. Tuttavia, visto che i ricercatori contano nei requisiti minimi per l’offerta didattica e sono mano d’opera a basso costo, il DDL cambia di fatto il loro stato giuridico, prevedendo anche per essi l’impegno complessivo didattico analogo a quello dei docenti di ruolo. A quando l’obbligo formale di attività didattica, dopo l’obbligo di fatto? Ovviamente il trattamento economico resta lo stesso. Ma non solo di questo si tratta. Siamo di fronte ad una vera e propria restaurazione dell’università delle baronie, una riproposizione nuda e cruda dell’antico potere accademico concentrato solo nelle mani dei professori ordinari (quelli che la vulgata anche governativa accusava di familismo, nepotismo, localismo, ecc.). Un solo esempio, legato alla nuova normativa dei concorsi per I e II fascia. Ci sono due passaggi: è prevista un’abilitazione nazionale (ma i prerequisiti qualitativi per l’accesso sono indeterminati), concessa da una commissione nazionale di soli ordinari estratti a sorte; vi è poi la valutazione comparativa fra i soli abilitati per la messa a ruolo a livello di singolo ateneo, ove la commissione non è più composta per estrazione a sorte nazionale dei suoi membri fra tutti gli ordinari del SSD (come nel decreto di maggio), ma direttamente e solo dagli ordinari della sede locale che bandisce il concorso: ovvero il massimo potenziale del familismo, del nepotismo, del localismo, ecc., per quanto mitigato dal filtro dell’abilitazione nazionale. Questo sistema riesce a mettere insieme il peggio del vecchio concorso nazionale con il peggio del concorso locale. Una volta approvato il DDL, la figura del ricercatore a tempo indeterminato sparisce diventando ben prima del 2013 un ruolo ad esaurimento. Resta solo il ricercatore a tempo determinato, il cui reclutamento è in mano ai professori ordinari che compongono la famosa commissione locale, analogamente che per la I e la II fascia. Per il ricercatore a tempo determinato non è prevista abilitazione nazionale, ma solo la selezione localistica. Nei requisiti di accesso, il titolo di dottore di ricerca, di fatto, è equiparato alla laurea magistrale. Questo ricercatore precario in ingresso può avere un contratto di tre anni, rinnovabile per altri tre. Se nel secondo triennio ottiene l’abilitazione nazionale per le altre fasce di docenza, alla fine dei sei anni può passare di ruolo per chiamata diretta, senza nessun’altra procedura valutativa. Più localistico di così si muore. Sembra quasi uno scherzo … Per i ricercatori a tempo indeterminato, ormai esauriti sotto tutti i punti di vista e segnati al pubblico ludibrio come i veri parassiti dell’università pubblica, viene riservato uno zuccherino, però assai vagamente definito: una corsia preferenziale per concorsi riservati a loro finalizzati nel passaggio di fascia. In altri termini una sanatoria mascherata, un’ope legis non detta, uno scudo accademico che intaserà l’università del futuro, una volta combinato con le procedure di selezione interna e localistica dei ricercatori a tempo determinato. E’ uno scandalo, dove la meritocrazia rischia di essere una parola vuota, specchietto per le allodole di vecchie pratiche di potere. Un’università così fatta a chi serve?

IL COORDINAMENTO d’ATENEO dei RICERCATORI FIORENTINI

Raccomando a tutti di fare molta attenzione a quello che dite in merito, perche' e' gia' partito l'attacco a quelli che criticano solo per difendere gli sprechi...