Il muro
Oggi e' festa nazionale in Germania. Sono al lavoro nell'istituto deserto, con solo qualche italiano che si ostina a festeggiare il 25 Aprile. Si ricorda l'unificazione ufficiale dei cinque stati federali già esistenti nella Repubblica Democratica Tedesca dell'est che si ricostituirono e aderirono formalmente alla Repubblica Federale di Germania.
Se e' vero che ancora oggi molti tedeschi non vedono di buon occhio la riunificazione (il 19% dei tedeschi, mentre all'est la percentuale aumenta arrivando al 21%), la situazione e' simile a quella fra il nord e il sud in Italia. I 74% dei tedeschi dell'est si ritengono svantaggiati rispetto a quelli dell'ovest, e si sentono considerati come cittadini di seconda classe. Insomma, la via dell'integrazione vera e ancora lunga, e un muro da abbattere rimane ancora parzialmente in piedi, anche se non fatto di mattoni.
Eppure l'abbattimento di quel muro mi colpi' profondamente da ragazzino, cosi' come vederne i resti molti anni piu' tardi a Berlino. Era il 1989, ai TG imperversavano i baffoni di Lech Walesa e la voglia di Gorbačëv. La cortina di ferro si andava sgretolando, si parlava di rinnovamento, di trasparenza, di Perestrojka. Per un disguido nella comunicazione delle nuove disposizioni in fatto di permessi per raggiungere l'ovest dalla DDR, improvvisamente il 9 Novembre 1989 migliaia di tedeschi dell'est si riversarono ai posti di blocco per raggiungere, finalmente, l'ovest.
Come pochi mesi prima per quel ragazzo che fermava i carri armati, capii qualcosa di importante. Che i muri non durano per sempre, e vale la pena darsi da fare per farli cadere. "La verita' e' che cadono, sempre", diceva Gandhi, nato proprio il 2 Ottobre 1869. Per questo, oggi, siamo col popolo Birmano, e con tutti coloro che lottano contro l'oppressione. Contro muri di pietra, come in Palestina, o meno tangibili e per questo piu' difficili da abbattere.
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