venerdì 30 novembre 2007

Generazione P, Europa precaria


Ricevo una segnalazione di Generazione 1000 euro riguardo a un'iniziativa di Generazione P presso il Parlamento Europeo sulla regolamentazione del lavoro precario e temporaneo. Con una petizione da sottoscrivere. Il precariato e' un problema non solo italiano, ma globale. Se siamo tutti sulla stessa barca, e' ora di darci una mano a svuotare la stiva...

ciao a tutti! vi segnalo che dal 21 novembre scorso è attiva sul sito di Generation P (http://www.generation-p.dgbj.org/eng/) una petizione europea contro l’abuso di Lavoro Temporaneo in Europa, che chiede che vengano regolamentati su scala comunitaria la durata dei contratti a termine, lo stipendio minimo e le tutele/garanzie sociali per i “dipendenti atipici”.

la petizione è già stata sottoposta al Parlamento Europeo, sempre il 21 novembre scorso, da una rappresentanza di Generation P, il network che riunisce, attraverso la Rete, alcune associazioni/organizzazioni/community che si occupano di sensibilizzazione, denuncia e lotta al Precariato (Génération Précaire per la Francia, DGB-Jugend per la Germania, Fairwork e.V. e Germany Plattform Generation Praktikum per l’Austria, European Parliament Stagiaires Association per il Belgio e Generazione Mille Euro per l’Italia), e naturalmente ha bisogno di raccogliere quante più adesioni possibile per poter diventare in qualche modo “operativa”.
in Italia, sollecitati sull’argomento, i media non hanno dato alcuna risposta, quindi - tanto per cambiare - tocca arrangiarsi da soli col passaparola…

potete trovare:

- il testo della petizione

- il resoconto del dibattito al Parlamento Europeo del 21 novembre

- il form per sottoscrivere la petizione

sono sufficienti pochi secondi, e la speranza è ovviamente che i risultati possano essere migliori di quelli che ottenemmo noi l’anno scorso con la petizione al Ministro Damiano (del resto, quando non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire…).

grazie a tutti,
buona giornata e a presto
Antonio

giovedì 29 novembre 2007

Anzi no

Non sospirate più, donne. Non sospirate;/Da sempre gli uomini sono ingannatori./ Con un piede in due staffe,/ A nulla rimangono costanti. / Cessate dunque di lamentarvi così / E lasciateli andare. / Siate serene e felici / Mutando i vostri canti di dolore / in un gioioso trallallerollalà. (W. Shakespeare, Molto rumore per nulla)

Mi sciolgo, anzi no. Voleva dire che la rete, i circoli, la liberta': tutto come se fosse antani. Che qualcuno alla fine abbia protestato davvero? Ormai anche la Fenice e' alla frutta. Ma brematurata la supercazzola o scherziamo?

mercoledì 28 novembre 2007

Due popoli, una terra


Due i fatti positivi della conferenza che si e' aperta in Maryland: la presenza di tutti gli stati Arabi, inclusa la Siria ma con l'eccezione del solo Iran, e un'apertura maggiore del passato che traspare da parte di Israele nei confronti delle richieste Palestinesi. Eppure molti, forse ancora troppi, sono i problemi da sciogliere e i punti da discutere. Nonostante i giochi di simulazione distribuiti dai giornali e nelle scuole dei due paesi, la strada della pace sembra ancora decisamente in salita. L'amministrazione Bush con l'organizzazione del vertice cerca allo stesso tempo di rifarsi un'immagine dopo le avventure in Afghanistan e Iraq e di tutelare i suoi interessi nell'area, nel tentativo di disinnescare la polveriera piu' esplosiva del Medio Oriente. Ma sono arrivati puntuali i segni delle maggiore difficolta' e incognita da superare nel lungo processo di pace: Hamas, vincitrice delle elezioni e in pieno controllo della striscia di Gaza dopo la scissione di qualche mese fa, non invitata alla conferenza in quanto considerata dagli americani un'organizzazione terroristica, ha fatto sapere il suo dissenso a un accordo organizzando un'imponente manifestazione a Gaza, e ricordando che Abu Mazen non ha il mandato del popolo. I dissensi per altro non mancano neanche in Israele, dove si sono svolte manifestazioni per protestare contro il possibile arretramento delle posizioni del proprio governo. Ma nonostante ulteriori scontri che soltanto ieri hanno portato a una decina di morti nei territori occupati, e' giunta in serata la prima stretta di mano: Palestinesi e Israele si impegnano ad avviare immediati negoziati bilaterali "in buona fede" per raggiungere un accordo di pace che risolva tutti i problemi in sospeso entro il 2008, scadenza del mandato di Bush. Solo parole per il momento, che potrebbero pero' comunque avvicinare di qualche passettino le due parti. Resta infatti da risolvere i problema degli insediamenti Israeliani, delle centinaia di migliaia di profughi Palestinesi che ancora conservano le chiavi delle loro case che furono costretti ad abbandonare, dello status di Gerusalemme, simbolo imprescindibile per entrambi i popoli. Mentre si tratta, tra mille difficolta', anche per il Kossovo, mentre nel cuore dell'Europa unita pure il Belgio sembra sia sul punto di dividersi, ad Annapolis potrebbe almeno brillare un lumicino di speranza in direzione opposta. Magari piccolo, ma nel buio brillera' lo stesso.

martedì 27 novembre 2007

Spregio a Livorno



Nominato il nuovo Vescovo di Livorno. Sorpresa e sgomento nella citta': dal Vernacoliere, lo spregio di Papa Ratzinger alla citta' labronica.

Ottobre 2007: con un atto senza precedenti, Papa Benedetto XVI nomina un pisano vescovo di Livorno, dove il posto era vacante da dieci mesi e ben altre erano le candidature in gioco. Grande la sorpresa in tutti, specialmente per la notissima rivalità campanilistica fra la città dei Quattro Mori e quella della Torre pendente. E in tanti è forte anche l’impressione che il papa tedesco, frequente bersaglio della satira labronica, abbia così voluto sfottere a sua volta la città del Vernacoliere. Ed anche umiliarla, secondo altri, nella sua ex nomea di comunità rossa e mangiapreti. Poteva sottrarsi il Vernacoliere a tanta sfida? Poteva ignorare l’immediata attesa di tanti livornesi per un’adeguata nostra reazione? No di certo! Ed eccoci allora a satireggiare che…

Le prime barriate l’hanno fatte a norde, propio dalla parte di Pisa. Che è propio di lì che ‘r due dicembre deve arrivà ‘r novo vescovo di Livorno. Ma mia un vescovo qualunque! Un vescovo pisano! Roba che a dillo pare tutta un’invenzione, così tanto per ride’! E ‘nvece è tutto vero, potessi morì, è roba da piange’!
Sicché dé, i livornesi l’aspettano a bracci aperti! E generosi come sempre! Sulle barriate ‘nfatti c’è di tutto: reti del letto arrugginite, materassi rotti, armadi vecchi, televisori sfatti, batterie scàrie, sòcere che rompano ‘ ‘oglioni… tutta la roba ‘nzomma che di solito finisce per la strada accanto a’ ‘assonetti, così ora ‘un ciavranno più da ammattì nemmeno li spazzini!
Eppoi i posti di brocco! Ce n’è digià una decina, co’ portuali di guardia belli grossi, e come vedano quarcuno che arriva di lassù, deve tirà fori un doumento! Se putaàso c’è scritto nato a Pisa, lo rimandano addietro a gollettoni!
E questo sortanto per la periferia! In città poi, c’è un’aria pesa da morì! Saracinesche abbassate, atobussi fermi, scole chiuse, l’impiegati der Comune già fori alle dieci di mattina ‘nvece dell’undici, l’impiegati della Provincia che restano tutti ar barre senza nemmeno rifà capolino nell’uffici, i cani che i su’ padroni li portano a caà dappertutto come sempre ma ora anche dipiù davanti ar vescovado…
E dappertutto cortei di gente ‘mbervita che si sgola a urlà “Pisamerda”, “Ràzzinghe t’attacchi ar tramme”, “A messa cor pisano ‘un ci si viene più”...
No, mia per nulla, ma uno spregio peggio ‘r papa ‘un ce lo poteva fa’! Te lo ‘mmagini i livornesi ‘n chiesa che s’inginocchiano davanti a un vescovo di Pisa?!
Piuttosto, a buoritto davanti a un aiatollà! Che lui è arabo, n’importassai se quando dice Allà ni rispondi ‘r budello di tu’ ma’! Che difatti c’è già un fottìo di gristiani che si vogliano sbattezzà per doventà propio mussurmani! No perché ni garbi dipiù Maometto di Gesù, ma l’importante è ‘un dalla vinta a quello spregioso di Ràzzinghe! Che già è antepatio di suo con quella ghigna propio a tedesco ‘ndigesto, che a sentillo ragionà con quell’accento ti par di ritornà ar tempo della guerra, eppoi ora s’è messo co’ pisani…
Tanto parlano ammodino, anche loro! C’è un sacco di mamme hanno già ritirato i su’ bimbi dar catechismo perapposta, hanno paura che ora nelo ‘mparino in pisano! Ir su’ padrenostro presempio fa’ «Padrenostro che sei ne’ celi, gaò, o guarda un popoìno se ci dai ‘r nostro pane cotidiano senza fallo rincarà troppo, arrigaò, e già che ci sei mettici anche un popò di mortatella, gaò e arrigaò un’artra vorta!…»
Però sai, nelle proteste religiose ‘un si mai dove si va a finì! Che difatti, colla scusa d’esse’ doventati mussurmani, c’è gente che rincorre le sore per tromballe! Che spavento, poverine! Speciarmente quelle affriane! Una sorina tutta nera presempio l’hanno rinchiusa ‘n un cantino, un troiaio s’è aperto i pantaloni e n’ha detto sorella guardi vì, lei cià guardato e è doventata bianca! I preti poi, c’è chi rincorre anche loro per arzanni ‘r gonnellone! Lì però è perioloso! Se ‘ntoppi varche prete sviluppato bene, rischi di restacci male! Come ni dici che te rivòi l’ottopermille che n’hai dato colle tasse, è propio cor cazzo che te lo ridà!
E ‘nzomma la situazione è propio brutta, perfino la Madonna di Montinero è ‘mpenzierita! Dice dé, se arriva i pisani mi mangiano ‘r Bimbino! E dettofatto è ascesa dar quadro e s’è rimpiattata cor bimbo nelle grotte, ‘un vole corre’ rischi!
Menomale però c’è ‘r Sindao ha detto ora ci penza lui, ha mandato un messaggio urgente ar papa! Che difatti ir Primo Cittadino s’è affacciato ar Municipio, e a tutta vella gente sotto che tumurtuava n’ha urlato «Carma, livornesi! A nome di tutta la nostra civilissima città ho scritto ar papa per dinni di ripenzacci! N’ho detto: Santità…» E la folla in coro: «Ir budello di tu’ ma’!»

lunedì 26 novembre 2007

Un abbraccio a Cesare


Se n'e' andata Manuela Prandelli, la compagna di una vita del nostro Mister. Uno che a Firenze si e' subito fatto amare, non solo per i risultati, ma soprattutto per il modo di lavorare, la correttezza, la serieta', la fiducia che sa trasmettere. Per il fatto di essere una persona vera in un mondo, quello del calcio, pieno di personaggi all'eccesso. Ed e' riuscito a mettere tutti d'accordo a Firenze, una citta' dove se chiedi un consiglio a due amici ottieni 5 pareri diversi. Nel 2004 arrivo' alla Roma in estate, salvo poi decidere di fermarsi dopo solo pochi giorni per stare vicino alla moglie che si era ammalata gravemente. Una scelta davvero in controtendenza in mondo dove "the show must go on". Quando torno', scelse Firenze, salva per miracolo, mettendo insieme una squadra di giovani che per 3 anni consecutivi sta raggiungendo risultati inaspettati. Soprattutto facendolo con uno stile che l'allenatore ha saputo trasmettere a tutto l'ambiente. Ora Manuela se n'e' andata, e mi unisco all'abbraccio della citta' al suo Mister in questo momento cosi' doloroso. Forza Cesare.

Neve a go go


Nevica fitto. Come dice Hobbes, il mondo sembra nuovo di zecca, una pagina bianca su cui ricominciare a scrivere. Avrei proprio voglia di una bella sciatina o una discesa in slittino, magari il piu' lontano possibile dalla collinetta da cui scende di solito Calvin...
Senza contare che a Garching, in mezzo al boffice bianco, hanno gia' messo gli addobbi e l'alberone di natale con le lucine. Mi sento gia' quasi piu' buono.

domenica 25 novembre 2007

Una giornata uggiosa


Giornata grigia qui a Garching, come sempre da qualche settimana. Una giornata che si consuma lentamente e pigramente, lavoricchiando a un articolo, leggendo Bobbio e ascoltando l'ultimo lavoro di Vecchioni. Che, per altro, funziona. Dopo la delusione di Rotary Club, il livello non e' alto come lo splendido Lanciatore di Coltelli, ma e' Vecchioni vero. Anche piuttosto incavolato: "Mandali a coltivare funghi in Val di Non o a scelta il riso di Canton, a fare gli orsi per turisti a Yellowstone, comunque fuori dai coglion". E scorrendo il libro di Bobbio leggo queste righe, e penso alla manifestazione di ieri a Roma:

[...] la rivoluzione silenziosa del nostro tempo, la prima rivoluzione non cruenta della storia, e' quella che conduce alla lenta ma inesorabile attenuazione, sino alla totale eliminazione, della discriminazione fra i sessi: la parificazione delle donne agli uomini, prima nella piu' piccola societa' familiare, poi nella piu' grande societa' civile attraverso l'eguaglianza in gran parte richiesta e in parte, seppure in piccola parte, gia' conquistata nei rapporti economici e politici, e' uno dei segni piu' certi e piu' incoraggianti della marcia della storia umana verso l'uguaglianza dei diseguali.
(N. Bobbio, Eguaglianza e Liberta', 1978)

Seppure perfettamente d'accordo con il Professore sulla conclusione, mi permetto di dissentire su due punti. Credo, che come dimostrano i cartelli e le denunce della manifestazione di ieri, in massima parte l'eguaglianza nella societa' civile precede la parita' nell'ambito familiare, dove ancora troppi sono non solo le prevaricazioni, ma anche i soprusi e le violenze. E soprattutto credo che non la parificazione del ruolo tra uomini e donne sia da ricercare, come sempre di piu' si cerca di fare, ma la parita' nella dignita' e nelle possibilita'. Sogno infatti una societa' non di quote rosa, ma dove i ruoli di responsabilita' siano sempre condivisi da un uomo e una donna, cosi' come avviene, con grande successo secondo me, in un'associazione cui ho fatto parte per tanti tanti anni. Le differenze di visione, di sensibilita', di modalita', sono tante e tali da rendere assolutamente complementari i due approcci.
Certo pero' che una manifestazione violenta contro al violenza ha sempre poco senso. Senza contare che sui giornali e in TV si parla solo dei fischi e degli spintoni, azzerando al visibilita' delle sacrosante motivazioni.

venerdì 23 novembre 2007

Aspettando Godot o preparando la valigia


C'e' un'altra fuga di cervelli dalle nostre Universita' e Istituti di Ricerca. Non solo chi, come me, e' costretto a spostarsi all'estero per vedere riconosciute le sue qualita' e competenze. Per avere anche solo la possibilita' di mettere in pratica, in un paese estero, la formazione che ha avuto la fortuna di ricevere grazie al gentile sostegno dei contribuenti italiani. Molti altri invece non possono permettersi di emigrare, e sono costretti a cercare un'altra strada visto che l'alternativa sono anni precari in attesa di un concorso o di un finanziamento che non arriva mai, che forse, ma anche, eppure. In questo campo, nonostante mille promesse, si continua ad improvvisare da troppo tempo, tra blocchi delle assunzioni e stabilizzazioni di massa che non fanno che aumentare le code, il precariato, il baronismo. Sarebbe necessario invece che le opportunità di carriera di un giovane fossero definite in largo anticipo, come avviene in molti paesi, e che il merito piu' che l'anzianita' e il servilismo fossero premiati al momento dell'assunzione di nuovo personale. Ad esempio mediante la distribuzione di risorse in base alla produttivita' degli istituti e dei singoli gruppi, come avviene qua in Germania. Ma ormai nelle nostre Universita' e Istituti non c'e' piu' posto neppure per i raccomandati, figuriamoci per i capaci.
Suro, gia' intervenuto piu' volte su questo blog, mi invia a questo proposito il suo intervento al ritiro del premio dell'Associazione Termotecnica Italiana:

Innanzitutto un doveroso ringraziamento per un riconoscimento gradito quanto inatteso, proprio oggi che è il mio compleanno. Non capita spesso nell'università italiana di ricevere un premio per una pubblicazione. E per di più davanti ad una così rinomata platea che mostra ciò che, fino a meno di un anno fa, ho talvolta sperato - ingenuamente - di diventare.
Non posso certo nascondere che quando ho scoperto di essere il vincitore, ho provato un velo di amarezza: meritavo un premio per la miglior pubblicazione su rivista degli ultimi 2 anni ma non un contratto di lavoro. Le due affermazioni, apparentemente antitetiche, sono ahimè specchio della nostra nazione: forse sono nato nel paese sbagliato, o forse il destino si muove sustrade imprevedibili - "le vie del Signore sono infinite" direbbe il Prof. Facchini. [...]
Personalmente, non provo alcun rancore per un mondo accademico che mi ha costretto ad allontanarmi. Ho comunque avuto per 6 anni la possibilità di imparare moltissimo e di crearmi un vasto bagaglio di competenze che vanno ben oltre i criteri di progettazione delle macchine.
Credo infatti che l'università non debba sentirsi in debito con chi come me ha avuto comunque occasione di una formazione elevata, ma con chi questa occasione non l'ha avuta ne l'avrà - penso ai tanti manovali ventenni che trovo nei cantieri dove svolgo ora la mia attività ispettiva - e con le cui tasse sopravvivono (male) le nostre facoltà. A loro dedico questo premio.

Auguri di Buon Compleanno al Suro!

giovedì 22 novembre 2007

Beata ignoranza


Leggo su tutti i giornali dell'ira dei giornalisti RAI, che evidentemente scoprono solo adesso dell'inciucio tra RAI e Mediaset. Evidente a chiunque avesse soltanto osato guardare un Tiggi' o, per i piu' coraggiosi, Porta a Porta e simili. Chi faceva i servizi? Chi eseguiva le direttive dei vertici intercettati? Perche' oggi tutti si indignano, e ieri tutti tacevano? Non sanno forse che l'obbedienza ormai non e' piu' una virtu'? Beata ignoranza.
In compenso la Fenice e' impagabile. Dopo aver utilizzato per i suoi fini la televisione pubblica e il Parlamento, dopo aver piegato anche la morte del Papa per i suoi scopi, adesso grida allo sciacallaggio, proprio lui che approfittando del suo ruolo istituzionale fece allontanare dalla RAI chi non gli era gradito. "Sono andati fuori di testa, siamo ai limiti della comica. Queste telefonate sono la normalità per chi fa televisione". Se lo dice lui che di comiche e' un esperto. E prosegue: "Quando si parla al telefono si entra come in una dimensione onirica. Si dicono cose che poi nella realtà sono molto diverse". Certo, sono molto peggio. Di solito esce solo la punta dell'iceberg. Quando distribuivano il pudore, la Fenice era al bagno.

Bello da barrare


Il tricolore che ci sta sempre bene, che non si puo' lasciarlo alle destre e almeno un po' di rosso di straforo entra. Il ramoscello d'Ulivo, per richiamare i passi che hanno portato fin qua, e incentivare la fidelizzazione. Quelle lettere che sembrano scattare in avanti, e fanno ben sperare che qualcosa si muova davvero, non solo le iniziali. La cosa strana e' che e' quadrato e non tondo, e che l'ha disegnato un ragazzo di 25 anni, per una volta non un matusa. Spero non sia solo un contentino pubblicitario. Insomma, si sa, all'inizio non piace mai a nessuno. Ed effettivamente non e' che entusiasmi troppo al primo sguardo. Poi pero' sara' bello da barrare, meno da guardare.

mercoledì 21 novembre 2007

Sua emittenza la Fenice


La Fenice, si sa, non muore mai. E la Fenice e' furba come un Biscione. Sventola cifre inventate, perche' in questo paese nessuno controlla quello che dici, e i giornalisti sono stati sostituiti dai paggi. Evoca sondaggi che lo vedono al 35%, per convincere i pochi di AN e UDC a salire sul suo carrozzone luccicante di vincitore e messia. Usa con disinvoltura la splendida parola liberta' per qualcosa che non c'entra nulla, ovvero il monopolio, la censura, il controllo, il conflitto di interessi. Escono adesso dal mare magnum delle intercettazioni (ma hanno ascoltato proprio tutto?) delle telefonate tra 2004 e 2005 allegate all'inchiesta sul fallimento della Hdc dell'ex sondaggista Crespi. Prove della complicita' dei vertici RAI e Mediaset, che invece di farsi concorrenza si scambiano informazioni sui palinsesti, concordano le strategie informative nel caso dei grandi eventi della cronaca, orchestrano i resoconti della politica per salvaguardare certi interessi. Ovviamente, su tutto la grande mano della Fenice, grazie ai suoi collaboratori in un'azienda e nell'altra che quotidianamente tessono la tela, fanno decine, centinaia di telefonate, si scambiano notizie, organizzano fino ai più piccoli dettagli. Prove, se ce ne fosse stato bisogno, su Vespa, Del Noce, Mimum, Rossella... Che rimarranno dove sono, nonostante tutto. E se se ne sono andati, non e' certo per queste "cosucce", solo per il fatto di essere del colore sbagliato.
Sua emittenza si prepara a tornare. Ma come per Lord Voldemort nessuno, a sinistra, lo prende troppo sul serio. E la legge sul conflitto di interessi la lasciamo aspettare, probabilmente altri 20 anni.
Mi scrive a questo proposito Augusto: [...] Quello che non capisco è come si possa far passare (anche da parte di molti "illustri" editorialisti) la mossa di Berlusconi come un rinnovamento della scena politica, quando è solo il solito riciclo dell'esistente (come già Forza Italia era il riciclo del PSI e di quella parte della DC che stavano soccombendo sotto l'azione di Mani Pulite) e il polverone serve solo a non far vedere che Berlusconi è dovuto tornare sui suoi passi, e che la strategia che lui vuol passare come innovativa è quella che i suoi ex-compari gli consigliavano da tempo. Quando vedo queste cose mi viene sempre in mente quel passo di 1984 dove il governo prima abbassa la razione giornaliera di cioccolato da 100 a 40 g, poi il giorno dopo la alza a 50 g e la gente festeggia.... Solo che, a differenza che nel libro, dove i festeggiamenti erano "ordinati" e "organizzati" dal Grande Fratello, ho l'impressione che noi si festeggi spontaneamente. Come scrive Chuk Pahlaniuk:

Orwell aveva capito tutto, ma al contrario. Il Grande Fratello non ci osserva. Il Grande Fratello canta e balla, si dà da fare per tenere viva la tua attenzione (...) fa in modo che la tua immaginazione avvizzisca. Finchè non diventa utile quanto la tua appendice. (...) Nessuno deve più preoccuparsi di sapere cosa gli passa per la testa, visto che a riempigliela ci pensa già il mondo. Se tutti ci troviamo con l'immaginazione atrofizzata, nessuno costituirà più una minaccia.
C. Palahniuk, Ninna Nanna, 2002

martedì 20 novembre 2007

Il perdono


A voi che mi ascoltate dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia porgi anche l’altra (Luca 6,27-29)

Il campo nazista di Ravensbrück fu l’unico grande Lager destinato alla "detenzione preventiva" femminile, in particolare rivolto alle donne comuniste. Era stato costruito dalle SS a partire dal Novembre 1938, sulle rive del lago Schwed vicino a Furstenberg, nel Mecklenburg (80 km. a nord di Berlino in una proprietà personale di Himmler). Il campo era condotto da una speciale sezione femminile delle SS, particolarmente feroci e crudeli. Dal 1939 al 1945, vi vennero detenute più di 132.000 tra donne e bambini, che appartenevano a più di 40 nazioni, ma principalmente Ebrei, Rom e Sinti, e, a partire dal 1941, anche 20.000 uomini. Si stima che le donne uccise siano state circa 92.000, in particolare nell’ultima fase della guerra (dall’aprile 1944 era entrata in funzione una camera a gas). Poco prima della fine della guerra, circa 7500 detenute vennero portate in salvo in Svizzera ed in Svezia grazie all’intervento della Croce Rossa Internazionale, e di quelle Svedese e Danese. Le decine di migliaia di donne rimaste vennero costrette dalle SS ad una "marcia della morte" verso nord-ovest. Il 30 Aprile 1945 l’Armata Rossa liberò 3000 detenute rimaste al campo, degenti per le gravi condizioni di salute.
Quel giorno, in quel campo in bilico sul mare di violenza e di terrore nel quale i nazisti hanno tentato di far affogare le proprie vittime, nel bel mezzo della tragedia Nazista, fu ritrovata questa preghiera. Ecce homo.

Signore, ricordati
non solo degli uomini di buona volonta'
ma anche di quelli di cattiva volonta'.

Non ricordarti di tutte le sofferenze
che ci hanno inflitto,
ricordati, invece,
dei frutti che abbiamo portato
grazie al nostro soffrire:
la nostra fraternita', la lealta', l'umilta'
il coraggio, la generosita', la grandezza di cuore
che sono fioriti
da tutto cio' che abbiamo patito.

E quando questi uomini
giungeranno al giudizio
fa' che tutti quei frutti che abbiamo fatto nascere
siano il loro perdono.


lunedì 19 novembre 2007

La fenice delle liberta'


Accerchiato dagli alleati che han fatto di tutto per salvare il governo Prodi sulla Finanziaria (forse per avere una nuova legge elettorale e liberarsi una volta per tutte del Biscione?), sconvolto per non dettare piu' le regole e le idee, costretto a inseguire il Piddi' a colpi di gazebo e nuovi partiti, il Biscione si trasforma in Fenice. Prima millanta 7 milioni di firme nei gazebini tristemente semivuoti, almeno a Firenze, e con mirabolanti raccolte on-line che vedono anche Gambadilegno e Ingrao tra i sostenitori del "subito al voto". Per chiedere di dimettersi a un governo eletto dalla maggioranza degli Italiani. Come minimo in realta' ne doveva raccogliere almeno 28 di milioni, gia' che c'era poteva sparare solo un po' piu' alto.
Poi, galvanizzato dall'aver organizzato la piu' grossa panzana "della storia della Repubblica" decide che per ritrovare lo spazio nello coalizione bisogna andare a togliere un po' di elettori agli altri. E dalla portiera della macchina, in un tripudio di folla, fonda il nuovo partito delle liberta'. Svenimenti tra i fan e baci alla Brambilla. Per un partito nuovo davvero: praticamente cambia solo il nome, restano le poesie di Bondi, il rosso carota della Brambilla, le pene di Dell'Utri e altri ammennicoli. Si aggiunge un po' di pepe coi fascisti di Storace, e un po' di aria fritta simil-Grillo con il bando ai "parrucconi" di giacobina memoria. E resta soprattutto l'uomo solo al comando, quello che puo' sfasciare e rimontare partitio come fossero casette di Lego. E pensare che al Piddi' stanno perdendo tempo con commissioni su statuto, valori e principi etici. Che fessi.
Punta insomma a raggranellare i voti degli ex-alleati la Fenice, e a correre da solo con una legge proporzionale alla tedesca sperando che anche il Piddi' lo segua nel suo delirio elettorale. Vuole fare a meno di chi ha agitato la coda per anni e adesso provava a rialzare la testa. Un risultato almeno l'ottiene: di fronte all'ennesima farsa, dopo piu' di un anno, risale la fiducia nel governo Prodi. Ritorna la politica del male minore. Ma a me i giornali, le TV, le guasconate della Fenice fanno ancora paura. E nonostante tutto c'e' ancora un sacco di gente disposta a credergli.

giovedì 15 novembre 2007

Con la Testa da un'altra parte

...Tutto è già qui
nell'ombra delle cose
l'amore che verrà

le partenze e poi le attese

tutto è già qui
anche se non si vede

tutto è già qui e non si lascia dire...


Fuga precipitosa dall'ufficio stasera: ho in tasca un biglietto per il concerto di Gianmaria Testa al Prinzregententheather. Scappo che ancora non e' chiaro se il voto finale sulla finanziaria ci sara' in serata oppure domani. Dopo lo scivolone di ieri proprio sulla borsa di Dottorato qualche preoccupazione c'e', seppure il Biscione abbia gia' fatto marcia indietro con la spalla dolorante sulla spallata. Insomma, c'e' la voglia di lasciarsi andare alle note di Gianmaria, e un po' di tensioni per le sorti del governo.
Ma bastano le prime note, la voce calda di Testa e quel suo piegarsi sulla chitarra come fosse una semplice estensione della sua spalla a metter da parte il Senato. Il concerto e' bellissimo, bravi i musicisti (applauso a scena aperta su un assolo di... valigia), emozionante come sempre e piu' sciolto del solito il cantautore-capostazione di Cuneo. Le musicalita' sono intense e lievi assieme, dolci di una delicatezza malinconica, ma capace di leggere la bellezza nelle cose piu' semplici.
La serata e' incentrata sull'ultimo concept-album sui migranti, ed e' curioso ascoltarlo da emigrante proprio in terra di Germania. "Eppure lo sapevamo anche noi l'amaro del partire": lo sappiamo ancora, anche se si parte con prospettive e motivazioni assai diverse.
"Tutto è già qui e non si lascia dire", ma la serata qualche chiave di lettura in piu' me la suggerisce, con una musica e una voce capace di avvologerti e scaldarti.
Tornato a casa apro, prosaisticamente, un browser: la Finanziaria e' approvata, i Diniani votano ma lasciano l'Unione. Class action, criteri sensati di stabilizzazione del precariato nella pubblica amministrazione, tetto ai salari dei manager pubblici, le misure gia' approvate del decreto fiscale e altro ancora. Buone cose, ma come lo stesso Dini sottolinea nel suo discorso, bisogna fare di piu'. Solo che poi ne conclude la necessita' di uscire dall'Unione, mossa che puo' servire solo a riconsegnare il paese a una destra che si e' gia' dimostrata capace di portarlo sull'orlo del baratro. Chissa' se andandosene lascera', almeno, la porta aperta e una manciata di polvere di gesso...

mercoledì 14 novembre 2007

Quale legge elettorale?


Di questi tempi si fa un gran parlare della nuova legge elettorale che dovrebbe superare il capolavoro del "porcellum" varato nella scorsa legislatura. La discussione e' serrata, in quanto ogni forza politica cerca di spingere per un sistema che possa premiare o preservare il piu' possibile la sua rappresentativita', piu' che cercare di individuare modalita' condivise che possano portare a una matura e stabile evoluzione del nostro sistema politico. E, come spesso accade, si discute quasi unicamente di quale modello straniero importare a scatola chiusa in Italia, senza preoccuparsi delle peculiarita' del nostro paese. Non solo, senza preoccuparsi delle diverse forme politice in vigore negli altri, e che le rispettive leggi elettorali sono chiamate a bilanciare. Forme ovviamente molto diverse da quelle presenti in Italia, come il presidenzialismo fortissimo in Francia, il numero di deputati variabile in Germania, o gli ampi poteri del primo ministro in Spagna.
Su Lavoce.info c'e' una esauriente presentazione dei principali modelli elettorali in discussione, evidenziando le difficolta' della loro importazione acritica, e gli sbilanciamenti che si andrebbero a introdurre. Si propone anche una proposta alternativa del costituzionalista Salvatore Vassallo, ripresa dallo stesso Veltroni qualche giorno fa, a mio modo di vedere molto equilibrata, che cerca di conciliare la rappresentativita' con i piccoli partiti e la governabilita' del paese, mantenendo un bipolarismo che eviti pero' per quanto possibile il formarsi di ampie ed eterogenee alleanze prive di coesione programmatica. Il sistema proposto inoltre si presta assai bene ad effettuare la scelta dei candidati mediante primarie di partito, in modo da consentire agli elettori di giudicare la qualità dei singoli candidati. Un accordo possibile?

martedì 13 novembre 2007

La responsabilita'


Pugile vincente, ma segnato dai duri colpi ricevuti, rivivevi la tua strana avventura. Te ne sgravavi a brandelli. E nel corso del tuo racconto notturno, io ti scorgevo, in cammino, senza piccozza, senza corde, senza viveri, mentre scalavi valichi di quattromilacinquecento metri o avanzavi lungo pareti verticali, con piedi, ginocchia e mani sanguinanti, a quaranta gradi sotto zero.
Svuotato a poco a poco di sangue, di forze, di ragione, procedevi con una cocciutaggine da formica, tornando sui tuoi passi per aggirare l’ostacolo, rimettendoti in piedi dopo i capitomboli, o risalendo le discese che portavano solo a un abisso, senza concederti, insomma, alcun riposo, poiché dal letto di neve non ti saresti rialzato. Quando scivolavi, infatti, dovevi affrettarti a rimetterti in piedi, per non essere tramutato in pietra. Il freddo ti pietrificava d’istante in istante, e un attimo di riposo in più assaporato dopo una caduta ti costringeva a far funzionare muscoli inerti, per rialzarti.
Resistevi alle tentazioni. “Nella neve”, mi dicesti, “si perde totalmente l’istinto di conservazione. Dopo due, tre, quattro giorni che si cammina, non si desidera più altro che il sonno. Lo desideravo. Ma mi dicevo: mia moglie, se mi crede vivo, mi crede in cammino; i compagni mi credono in cammino; hanno fiducia in me, tutti quanti; e se non cammino sono un mascalzone.”
E camminavi. E, con la punta del temperino, allargavi ogni giorno un po’ più lo sdrucio delle scarpe affinché i tuoi piedi, che gelavano e si gonfiavano, ci potessero stare. “Sai, dal secondo giorno in poi, il lavoro più grosso fu quello di vietarmi di pensare. Soffrivo troppo, ero in una situazione troppo disperata; per avere il coraggio di camminare non dovevo considerarla. Per sfortuna, non avevo un buon dominio sul cervello, che girava come una turbina. Avevo però ancora la possibilità di sceglierli le immagini. Lo imballavo su un film, su un libro. E il film o il libro mi scorreva davanti agli occhi a tutta forza. Poi mi riconduceva alla situazione in atto. Immancabile. Ed io lo lanciavo su altri ricordi...”
Una volta, però, steso bocconi nella neve dopo una caduta, rinunciasti a rialzarti. Eri come il pugile che, svuotato ad un tratto d’ogni passione, ode i secondi cadere in un mondo estraneo, ad uno ad uno, fino al decimo ch’è senza appello.
“Ho fatto ciò che potevo e non ho speranze, perché ostinarmi in questo martirio?”. Non avevi che da chiudere gli occhi e la pace sarebbe scesa sull’universo. Rocce, ghiacci e nevi si sarebbero cancellati. Appena chiuse quelle palpebre miracolose, niente più colpi, cadute, strappi muscolari, ustioni del gelo, né quel peso di dover trascinare la vita, quando si è costretti ad andare avanti come un bue ed essa diventa più pesante di un carro. Ne sentivi già il sapore, di quel freddo divenuto veleno e che, simile alla morfina, ti colmava ora di beatitudine. La tua vita si rifugiava intorno al cuore. Qualcosa di dolce e prezioso si rincantucciava nel centro di te stesso. La tua coscienza per gradi abbandonava le remote regioni di quel corpo, che, animale saturato di sofferenza, già assumeva l’indifferenza del marmo.
Si placavano anche i tuoi scrupoli. I nostri richiami non ti raggiungevano più, o meglio, ti si tramutavano in richiami di sogno. Rispondevi, felice, con una marcia sognata, con lunghi passi agevoli che ti aprivano senza sforzo le delizie della pianura. Come facilmente scivolavi in un mondo diventato così tenero per te! Decidesti, Guillaumet, avaramente, di negarci il tuo ritorno. I rimorsi sorsero dal sottofondo della coscienza. Certi particolari precisi si mescolarono improvvisamente al sogno. “Pensavo a mia moglie. La mia polizza di assicurazione le avrebbe risparmiato la miseria. Sì, ma le assicurazioni...” In caso di scomparsa, c’è una mora di quattro anni per la morte legale. Questo particolare ti si presentò abbagliante, cancellando le altre immagini. Ora, tu eri steso bocconi su un ripido pendio di neve. Il tuo corpo, col sopraggiungere dell’estate, sarebbe rotolato assieme alla fanghiglia verso uno dei mille crepacci delle Ande. Lo sapevi. Ma sapevi pure che una roccia emergeva, davanti a te, a cinquanta metri: “Ho pensato: se mi rialzo, forse posso raggiungerla: e, se addosso il mio corpo contro la pietra, in estate lo ritroveranno”.
Una volta in piedi, camminasti per due notti e tre giorni. Ma non credevi affatto di arrivare lontano: “Presagivo la fine, da molti indizi. Eccone uno. Ero costretto a sostare, circa ogni due ore, per incidere un po’ di più la scarpa, per frizionarmi con la neve i piedi che si gonfiavano, o semplicemente per far riposare un po’ il cuore. Ma negli ultimi giorni cominciai a perdere la memoria. Dopo che mi ero rimesso in moto da un pezzo, mi si faceva luce: ogni volta, avevo dimenticato qualcosa. La prima, si trattò d’un guanto; ed era grossa, con quel freddo! L’avevo posato davanti a me ed ero ripartito senza raccattarlo. Poi si trattò dell’orologio. Poi del temperino. Poi della bussola. Ad ogni sosta m’impoverivo... “La salvezza sta nel fare un passo. Ancora uno. Il passo è sempre quello, ripetuto...”
“Ti giuro, non c’è bestia che sarebbe mai riuscita a fare quel che ho fatto.” Questa frase, la più nobile ch’io conosca, questa frase, che dà all’uomo il suo posto, che lo onora, che ristabilisce le vere gerarchie, mi tornava in mente. Finisti con l’addormentarti, la coscienza in te fu soppressa; ma al risveglio sarebbe rinata da quel corpo smantellato, gualcito, arso, e l’avrebbe nuovamente dominato. Il corpo, allora, non è più altro che un buon strumento, che un buon servitore. E tu, Guillaumet, sapesti anche esprimere questo orgoglio del buon strumento. “Privo di nutrimento, puoi figurarti se, al terzo giorno di marcia...il cuore, non mi funzionava mica un gran che....Ebbene, su una parete a picco, lungo la quale avanzavo sospeso sul vuoto e scavando buche per punti d’appoggio alle mani, eccoti che il mio cuore si pianta. Esita, riparte. Perde colpi. Sento che se esita un attimo di più, io mollerò. Sto fermo, immobile, ad ascoltarmi dentro. Mai, capisci, mai in aereo mi sono sentito aggrappato così strettamente al motore, come mi sono sentito, in quei pochi minuti, appeso al mio cuore. Gli dicevo: su, fa’ uno sforzo, tenta di battere ancora... Ma era un cuore di buona qualità! Esitava, ma sempre riprendeva... Sapessi com’ero fiero di quel cuore!”
Finivi coll’addormentarti in un sonno affannoso, nella camera di Mendoza in cui ti vegliavo. Ed io pensavo: Guillaumet farebbe un’alzata di spalle, a parlargli del suo coraggio; ma lo si tradirebbe anche celebrando la sua modestia. Egli sta molto più in là di questa virtù mediocre. Alza le spalle, ma per saggezza. Sa che gli uomini non hanno più paura delle cose, una volta che sono accadute e li hanno tirati in ballo. Solo l’ignoto spaventa gli uomini. Ma, per chiunque, cessa di essere ignoto, nell’attimo in cui egli l’affronta. Specialmente se lo considera con tale lucida serietà. Il coraggio di Guillaumet è conseguenza, in primo luogo, della sua rettitudine.
La sua virtù vera non è in questo. La sua grandezza è di sentirsi responsabile. Responsabile di se stesso, del corriere. E dei compagni che sperano, poiché la loro gioia o il loro dolore sono nelle sue mani. Si sente responsabile nei confronti di quanto si va edificando di nuovo laggiù, nel mondo dei vivi, avendo egli il dovere di prendervi parte; e, nei limiti del suo lavoro, si sente un poco responsabile del destino degli uomini.
Appartiene al novero di quegli esseri d’ampia levatura che consentono a coprire col loro fogliame ampi orizzonti. Essere uomo significa appunto essere responsabile. Significa provare vergogna in presenza d’una miserie che pur non sembra dipendere da noi. Esser fieri d’una vittoria conseguita dai compagni. Sentire che, posando la propria pietra, si contribuisce a costruire il mondo. Si vuol confondere uomini simili con i toreri o i giocatori. Si loda il loro disprezzo della morte. Ma del disprezzo della morte non so che farmene. Se esso non ha radice in una responsabilità consapevolmente accettata, è indice unicamente di povertà o d’eccesso giovanile.

Antoine de Saint-Exupery, da "Terra degli Uomini"

lunedì 12 novembre 2007

Proiettili vaganti


Sono reduce da una lezione di tedesco in cui ho cercato invano di spiegare (in tedesco, argh) come mai l'Italia sia la patria dei proiettili vaganti, sparati in corsa o deviati dai Sanpietrini. Nessuno ha capito nulla, gran parte per il mio tedesco, gran parte per la situazione ancora poco chiara riguardo a cosa sia successo veramente all'autogrill. Evidentemente ancora una volta si perde l'occasione di chiarire il prima possibile, senza reticenze, senza coprire chi ha sbagliato. Cercando, in nome dello spirito di corpo, di preservare la reputazione delle Polizia. Forse non ci si rende conto che proprio in questo modo le forze dell'orine perdono ulteriore fiducia, gia' incrinata dopo le macellerie messicane della Diaz, dopo Bolzaneto, dopo i pestaggi, dopo gli eccessi in cui troppe volte gli uomini in divisa si lasciano andare spinti, spero, dall'aggressivita' di chi si trovano di fronte. In un paese dove non riesce a partire neppure una commissione d'inchiesta sui gravissimi fatti di Genova. Forse non ci si rende conto che in questo modo si forniscono delle scuse a chi non aspetta altro per scatenare una vera e propria guerra contro le "divise blu". Pseudo-tifoserie di squadre diverse, finalmente unite contro il nuove nemico comune, contro il quale, piu' che contro la squadra con colori diversi, e' diventato evidentemente piu' facile trascinare e invasare altri in un ordinario pomeriggio di follia. Per meglio nascondersi nel mucchio e nell'impunita'.
"Ha prevalso la ragion di Stato. Irragionevole (facile dirlo, adesso, ma bisogna). Uno striscione a Parma ("La morte è uguale per tutti") era la più pacata risposta di una tribù in lutto. Che ha pensato questo: per un poliziotto ucciso da un tifoso si ferma il campionato, quando succede il contrario bastano il lutto al braccio dei giocatori e 10 minuti di ritardo." Cosi' Gianni Mura analizza perfettamente quanto e' stato recepito ieri negli stadi d'Italia. Cosa che non puo' giustificare in alcun modo la guerriglia contro le forze dell'ordine scatenatasi successivamente. Ma che andava compresa, prevista ed evitata, per non fornire alibi e occasioni.
Tutta l'erba e' un fascio, tutti i tifosi sono teppisti, tutti i poliziotti assassini. Questo e' quanto emerge da una parte dai giornali di oggi, dall'altra dai commenti dei tifosi nei siti degli appassionati di calcio. Evidentemente la realta' e' diversa. Ma per far tornare le cose a posto serve chiarezza sugli episodi grigi che coinvolgono chi chiarezza per mestiere dovrebbe farla, e rigore, non violenza, nel perseguire chi crede di agire nell'impunita'.
Si smetta ad esempio di proporre soltanto palliativi come lo stop di qualche settimana del campionato (magari solo di B) che non servono certo a impedire il ripetersi di questi deliri urbani. Si pensi piuttosto a garantire la certezza della pena per chi crede di essere intoccabile in mezzo a una curva, come accade ormai nel resto d'Europa. A spezzare davvero i rapporti mafiosi e ricattatori tra societa' di calcio e gruppi di tifosi organizzati, dove i soldi che girano hanno fatto diventare un vero e proprio mestiere fare l'ultra', con tanto di sparatorie e regolamenti di conti, dando deliri di onnipotenza a chi si sente capace di tenere in scacco societa' miliardarie. A chiarire situazioni poco chiare e ad ammettere gli sbagli anche dall'altra parte. Allora sara' forse possibile andare a vedersi una partita entrando in uno stadio senza avere l'impressione di andare al fronte.

sabato 10 novembre 2007

Odio gli indifferenti


Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani". Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

Antonio Gramsci, Febbraio 1917

venerdì 9 novembre 2007

Il lievito

"Il Regno dei Cieli e' simile al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre staie di farina, finche' sia tutta fermentata" (Lc 13,21)

E' di ieri la notizia che mons. Bregantini, vescovo di Locri, lascia la Calabria per Campobasso. Probabilmente il lievito non era piu' nascosto bene nelle tre staie di farina, e la pasta cominciava a fermentare rumorosamente. Si e' pensato bene di rimettere tutto a posto. Per anni il vescovo era stato il punto di riferimento nella lotta alla criminalità, nel cercare la strada del riscatto sociale fuori dai facili luoghi comuni, generalizzazioni e criminalizzazioni. Eppure, mai come oggi abbiamo bisogno di profeti veri, quelli incompresi dagli uomini del loro tempo e capiti solo decenni piu' tardi. Perche' sono proprio loro che ci spingono avanti, anche se impercettibilmente, sulla strada del Regno con il loro lievito.
Proprio qualche giorno fa e' stato beatificato Franz Jaegerstaetter, che rifiuto' l'arruolamento nell'esercito nazista e fu per questo giustiziato. "Scrivo con le mani legate , ma è meglio così che se fosse incatenata la volontà": cosi' scrive alla moglie dal carcere dove e' rinchiuso, pronto al sacrificio supremo per non rendersi complice di un crimine terribile. Un esempio fulgido per chi ancora si difende dicendo che ha "solo obbedito a degli ordini". E tutto cio' a "soli" 40 anni dalla splendida Lettera ai Giudici di don Milani, processato (e condannato) per aver difeso l'obiezione di coscienza davanti ai cappellani militari, sostenendo che l'obbedienza non e' piu' una virtu'.
E addirittura, di tanto in tanto, qualche segno a ben guardare lo si scorge anche all'interno stesso della Chiesa. Qualche presa di lievito, come a Locri, fermenta. Poche settimane prima che partissi per la Germania, il parroco della chiesa fiorentina che frequento, don Stinghi, e' finito sui giornali per avere utilizzato una preghiera Coranica tratta dallo splendido breviario interreligioso di Giovanni Vannucci, scatenando un polverone degno del medioevo. Eppure oggi, a Paderno di Ponzano Veneto, c'e' una chiesa che di venerdì si allarga a moschea. Don Aldo apre le porte dell'oratorio per permettere agli immigrati musulmani di avere un luogo dove pregare un po' migliore dei garage a cui sono solitamente costretti. Mi sembra un gesto bellissimo, profetico. Qualcuno, come la Lega e qualche parrocchiano, storce il naso. Io invece sogno che tra 40 anni sara' un gesto normale.

giovedì 8 novembre 2007

Finanziaria avanti piano


Mentre c'e' chi sente aria di elezioni, la Finanziaria procede al Senato lenta ma senza scossoni. Almeno c'e' la possibilita' di vedere pezzo alla volta le varie norme al varo. Leggendo il resoconto degli articoli con emendamenti gia' votati, si scopre che le autocertificazioni di reddito, ad esempio per gli asili nido, saranno inviate all'Agenzie per le Entrate per evitare i soliti furbi; che si gettano le basi per il federalismo fiscale dell'Irap, detrazioni per chi si abbona ai trasporti pubblici, si mette un limite agli stipendi dei parlamentari, ma senza esagerare. Dei due voti che mettono infatti d'accordo opposizione e gran parte della maggioranza uno e' contro un emendamento di Turigliatto e Rossi per dimezzare lo stipendio a Senatori e Deputati. Ma qualcosa almeno si muove anche la'. Assurda anche la barricata bipartisan a difesa di un privilegio altrettanto assurdo della Chiesa, l'esenzione dall'ICI anche per i suoi immobili ad uso commerciale. Mi sembra evidente che nessuno ha il corsaggio di andare contro la Chiesa anche quando gode di privilegi inaccettabili.
Resta comunque il fatto che dei tre principali problemi finanziari del paese, solo contro l'evasione fiscale ci si sta muovendo con efficacia. Precariato e debito pubblico, quelli che piu' pesano e peseranno sulle giovani generazioni, sono ancora la' dove li aveva lasciati un signore molto piccolo, che sta provando a giocare di spalla per ritornare al sole.

mercoledì 7 novembre 2007

Aria di vetro


Giornata di freddo e vento pungente qua a Monaco. Sara' per questo che da stamani, mentre pedalavo tra gocce di pioggia oblique come lamette, mi si e' piantata in testa questa poesia. Parla in realta' di una giornata tersa, e per questo quasi sospesa tra il caldo, il sole e il silenzio. Ma mi piace pensare che mai aria e' piu' di vetro come quella che taglia la mattina tedesca, affrontata a cavallo della bici. Forse e' per questo che a nulla e' servito voltarmi all'improvviso almeno una decina di volte. O forse perche' da dietro si precipita il futuro, e non il nulla e il vuoto. Mi appunto pero' il testo, per ogni evenienza, dopo essermi riletto il commento di Italo Calvino.

Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
E. Montale, da Ossi di Seppia

martedì 6 novembre 2007

Neoliberismo e etica


Stasera mangiando stavo guardando abbastanza distrattamente una puntata di qualche settimana fa di Che tempo che fa. Ospite della trasmissione Naomi Klein, autrice di No Logo e Shock Economy, vere e proprie Bibbie dei movimenti di contestazione delle politiche neoliberiste. Dopo qualche domanda introduttiva, Fazio affronta il tema dell'etica nel capitalismo. La Klein non vede, direi ragionevolmente, come il capitalismo possa autorigenerarsi dato che "la sua unica responsabilita' e' fare soldi per i suoi azionisti". Vero e terribile al tempo stesso. Spetta invece alla politica e ai movimenti di base fare pressione e leggi per mutarne la direzione in modo piu' etico e sostenibile. A quel punto Fazio scocca una delle domande piu' intelligenti che ho sentito ultimamente: "non c'e' il rischio che il capitalismo trasformi persino l'etica in un prodotto di lusso per i paesi ricchi?". Niente di piu' vero. Il capitalismo, come dice la stessa Klein, assorbe tutto, e anche l'etica puo' diventare un prodotto e uno status simbol. Credo abbia anche qualcosa a che vedere con le parole di Veltroni sull'ambientalismo di qualche mese fa, e con quelli che hanno comprato No Logo per metterlo sullo scaffale.
Intanto dopo don Benzi e il Barone, se n'e' andato anche Enzo Biagi, che ho apprezzato gia' da piccolo imparando la Storia d'Italia sui suoi fumetti. Notizie che insieme al tempo di Monaco aiutano a essere melanconici.

lunedì 5 novembre 2007

Dagli al Rumeno


Giorni frenetici tra Osservatori e treni. Qualche giornale nel frattempo, qualche occhiata di sfuggita ai blog, qualche minuto in auto ascoltando la radio. Ovunque pero' impazza la caccia al Rumeno dopo l'omicidio di Roma. Purtroppo anche nei fatti, con ordigni e spedizioni punitive nella capitale. Spero che in Romania non reagiscano come da noi e non si scateni la caccia all'italiano.
Intanto la stampa e il governo, subito pronto a varare un decreto sui rimpatri trascinato dall'onda emotiva degli avvenimenti, enfatizzano i rischi e danno una percezione dell'Italia come di una fortezza assediata. Giusto rispondere prontamente alle emergenze e ai bisogni dei cittadini, cercare di governare e confinare certi fenomeni, ma farlo cavalcando una sensazione percepita come assai piu' grave della realta' rischia soprattutto di confermare i timori. Segnalo solo una lettera aperta di Gennaro Carotenuto alla famiglia di Giovanna Reggiani, che dice assai bene quello che penso, e alcune delle ultime parole prima della sua scomparsa di don Oreste Benzi, fondatore della Papa Giovanni XXIII che dalla parte degli ultimi c'e' stato davvero, e non solo metaforicamente. Qualcosa a che vedere con le pagliuzze e le travi.

giovedì 1 novembre 2007

Lezioni di vita


E poi dicono che alle conferenze non si impara niente. Oggi ho imparato a contare fino a 3 in Finlandese, e a fare la nitroglicerina a casa. Con i tempi che corrono non e' niente male. Vado a comprare subito una scorta di supposte per ricavarci la glicerina...