Mentre impazzano i tesseramenti e le riunioni dei circoli in vista del congresso PD (domani sara' a Monaco alla festa del tesseramento del mio circolo d'origine), si delineano le impostazioni delle varie candidature per la segreteria. Qui la presentazione della candidatura di Franceschini, qua quella di Bersani, qui la mozione di Adinolfi, mentre Marino presentera' la sua candidatura giovedi' 23 a Milano.
Francesco Costa pero' spiega perche' concentrarsi sul candidato e non su tutto il resto del carrozzone che si porta dietro sia un grosso sbaglio, lo stesso che lego' Walter mani e piedi:
Uno dice: mesi e mesi di litigate e polemiche, finalmente al congresso ci chiariremo. Oh, ci voleva. Ne abbiamo bisogno. Discuteremo, ci divideremo, parleremo di idee e di politica. Il nostro è un partito plurale, grande, sfaccettato, è normale che ci siano sensibilità diverse: il congresso è proprio il momento per confrontarsi e scegliere in modo democratico quale strada intraprendere per i prossimi anni. Lo faremo, lo faremo anche perché questa volta non sono tutti compatti su un solo candidato ma ne abbiamo due, Bersani e Franceschini, più un terzo incomodo di un certo peso come Marino. Insomma, stavolta si parla di politica, ci si divide sui temi. Dite? A guardare i frastagliati schieramenti di Bersani e Franceschini, purtroppo, si direbbe il contrario.
Partiamo dall’armata brancaleone che sostiene Pierluigi Bersani e prendiamo in esame un po’ di argomenti delicati: quelli su cui ci si è ferocemente divisi negli ultimi mesi e sui quali gli iscritti del Pd chiedono chiarezza. Le primarie? Rosy Bindi pensa che le primarie “devono essere utilizzate ad ogni livello per selezionare in modo trasparente la classe dirigente del partito regionale e nazionale”, Massimo D’Alema ha detto che fare le primarie per eleggere il segretario nazionale è “una cosa assurda” e che “a scegliere il proprio segretario devono essere gli iscritti”. La laicità dello Stato? Enrico Letta avrebbe votato sì al decreto “salva Eluana”, Barbara Pollastrini fu l’unica addirittura a non astenersi e votare no al voto sul conflitto di attribuzione del caso Englaro. Le riforme istituzionali? La stessa Bindi chiede una legge “rigorosamente maggioritaria”, D’Alema è un noto sostenitore del modello tedesco, proporzionale. L’età pensionabile? Francesco Boccia è per “alzarla, immediatamente”, la fetta di Cgil che appoggia Bersani invece è pronta a fare le barricate. Stanno tutti con Bersani. E si potrebbe continuare.
Franceschini e i suoi non se la passano meglio. Immigrazione? L’attuale segretario pensa che i respingimenti siano una cosa “disgustosa”, Rutelli pensa che siano “giusti” e si vanta del fatto che li ha inventati il centrosinistra. Diritto del lavoro? Pietro Ichino è per il contratto unico, Paolo Nerozzi – dai giornali definito “l’anti-Ichino” – dice di essere “irremovibile”. E le primarie? Walter Veltroni pensa siano essenziali, Franco Marini in direzione nazionale avrebbe detto di preferire che il segretario venga scelto da un comitato. Lo stesso Marini, poi, pensa che lo statuto del Pd sia “da rifare da cima a fondo”; lo stesso statuto che Salvatore Vassallo, suo estensore e altro franceschiniano, difende con passione. Sulla laicità, impossibile non ricordarsi del discorso che rese celebre Debora Serracchiani e dei suoi affondi sul testamento biologico e sulla sostituzione di Ignazio Marino con Dorina Bianchi. Voilà: oggi Serracchiani è dalla stessa parte di Dorina Bianchi, Paola Binetti e Giuseppe Fioroni, che avrebbero votato sì al decreto salva Eluana. Per non parlare di Cesare Damiano, Luigi Nicolais e Raffaele Bonanni: quando il centrosinistra governava se le davano di santa ragione, oggi sono tutti e tre con Franceschini, così come gli altri di cui sopra.
Insomma, niente di nuovo sotto il sole. Chiunque tra Franceschini e Bersani dovesse arrivare alla segreteria del partito, questo non ne uscirebbe affatto con una linea più chiara o più netta di quella avuta finora, né con una maggiore capacità di prendere decisioni ed evitare polemiche interne, meno che mai riguardo le questioni che lo hanno lacerato. Questo perché anche stavolta, come da vent’anni a questa parte, la classe dirigente del centrosinistra non ha scelto da che parte stare in nome delle idee, della politica, dei tanto evocati contenuti, bensì sulla base delle ruggini personali, delle vecchie alleanze, delle ambizioni e delle spartizioni. Stanno con Bersani tutti i nemici giurati di Veltroni, a cominciare dai diversissimi Rosy Bindi ed Enrico Letta, con quest’ultimo che spera di essere il candidato premier ideale nella futura alleanza con l’Udc. Stanno con Franceschini i popolari e i veltroniani – alleati da tempo per reciproca convenienza, con poche cose in comune – più la Serracchiani, Sassoli e Cofferati, in nome della fiducia accordata loro dal segretario in occasione delle elezioni europee. Ogni schieramento ripropone al suo interno uno spettro infinito e sfaccettato di posizioni molto eterogenee, ove non addirittura contradditorie, che inevitabilmente non potranno che generare altri compromessi infiniti e al ribasso, altre corse ai distinguo e tentativi di logorare l’avversario, altri ricorsi a formule astruse come quelle sulla “posizione prevalente”. Sia Franceschini che Bersani si propongono di innovare il partito, di cambiarlo, di rivoltarlo come un calzino. Lo sappiamo: i bei discorsi gli son sempre venuti bene. Dietro le parole, però, sembra ci sia la solita sbobba.