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martedì 22 dicembre 2009

L'ultimo '89


Per l'Europa il simbolo condiviso di quanto avvenne nel 1989 è la caduta del muro di Berlino, nel novembre di quell'anno. In Romania però i cambiamenti arrivarono con più di un mese di ritardo, con quella che è stata poi definita la “rivoluzione” del dicembre 1989. A Timişoara le manifestazioni e gli scontri contro il regime di Ceauşescu iniziarono il 16 dicembre. Da quel momento tutto successe molto in fretta. Troppo in fretta per qualcuno, in un susseguirsi di avvenimenti mai del tutto chiariti e probabilmente pilotati dai servizi segreti. Il 22 dicembre, 20 anni fa esatti, Ceauşescu scappò da Bucarest, per essere catturato, processato in una scuola elementare e subito fucilato con la moglie il giorno di Natale.
Quando crolla l'ultimo bastione della cortina di ferro, quello che resta della Romania sembra un mondo di altri tempi, governato per decenni da un vampiro come il leggendario Dracula. Di Bucarest s’erano perse le tracce, da quando negli anni Sessanta e Settanta Ceausescu veniva lodato e riempito di crediti da tutti i solerti leader occidentali, Nixon in testa, che scambiavano la sua politica opportunistica per un coraggioso percorso autonomo da Mosca. Sotto gli interessi e i miraggi, il comunismo rumeno era degenerato in un sultanato, in mano a una coppia i cui capricci decidevano le sorti dello stato. Nicolae ed Elena, lui il «Conducător», «il Genio dei Carpazi» e «il Danubio del pensiero», lei «la fiaccola del partito» e «la saggia di grande nomea», per usare appellativi, fra i più sobri, con cui venivano celebrati dai poeti di corte. Avevano inventato «il socialismo in una sola famiglia», parenti ovunque a presidiare i cardini di un sistema di potere che aveva stremato il paese oltre ogni limite di immaginazione. Niente riscaldamento nelle case, niente cibo nei negozi, salari di fame, esportazione di tutte le materie prime nel tentativo di ripianare l'enorme debito estero, controllo ossessivo su tutta la popolazione: la Securitate non aveva nulla da invidiare alla Stasi, con un agente in ogni condominio. Anche il possesso di una macchina da scrivere doveva essere registrato negli archivi.
Anni dopo la caduta del regime, nel 1995, ebbi l'occasione di lavorare per un paio di intense settimane in quello che restava (dopo il completo restyling di un gruppo incredibile di suore di Madre Teresa) di uno dei piu' vergognosi lasciti del regime, le migliaia di orfanotrofi-lager, bacino per i reclutatori della polizia politica e risultato della folle politica demografica del regime che costringeva ogni donna a partorire almeno 4 figli. Dove i bambini venivano tenuti richiusi in celle di pochi metri quadrati con il pavimento in discesa, per meglio raccogliere nello scarico al centro della stanza avanzi di cibo digeriti e non e sudiciume vario, in modo da selezionare i piu' coriacei per le operazioni della Securitate. E all'epoca i carri a cavallo nelle strade di periferia, territorio di branchi di cani randagi, erano ancora in numero simile alle utilitarie Dacia di fabbicazione locale con vecchie catene di montaggio Volkswagen.
Segnalo un bel reportage di Paolo Rumiz su Repubblica di oggi (che purtroppo non ho trovato in rete), sulla Romania a 20 anni dall'anniversario della fuga del dittatore. Tra l'indifferenza dei giovani, la rimozione degli anziani e le piccole e grandi manie del padre padrone come il guardaroba sterminato conservato nel piu' grande edificio del mondo dopo il Pentagono, il palazzo "Casa del Popolo" che si era fatto costruire nel megalomane piano di ristrutturazione della citta' che ricostrui' piu' di un quinto di Bucarest. Buona lettura.

lunedì 16 marzo 2009

Mostri italiani


Via Stranieriinitalia, il numero in edicola di Gazeta Romaneasca, il settimanale dei romeni in Italia. In prima pagina il pedofilo italiano che a Napoli ha stuprato un bambino rumeno di 8 anni, l’italiano ubriaco e drogato alla guida che ha ammazzato un romeno vicino a Capena, e infine la ladra italiana catturata da due rumeni a Trento.
“Abbiamo fatto un esperimento: sbattere in prima pagina il mostro italiano”, dice il direttore editoriale del giornale, Sorin Cehan. “Farà capire ai nostri lettori il meccanismo perverso usato da alcuni giornali italiani che genera poi la rivolta dei cittadini contro un intero popolo”.
Nell’editoriale, il direttore spiega la scelta: “Una volta, una sola volta proviamo a fare una prima pagina nello stile oramai consacrato della stampa italiana. Sono tutti fatti reali, ma estratti con la pinzetta dalla realtà. L’immagine degli italiani è filtrata dalle stesse lenti con le quali loro ci osservano tutti i giorni: la cronaca nera di quanti uccidono, stuprano e rubano”. “Il fatto di cronaca, si impara nelle scuole di giornalismo, è chiuso in se stesso. Per questo le pagine di cronaca nera di solito alla fine dei giornali, perche il loro significato è pari quasi a zero. – scrive Cehan - Se uno stupratore romeno aggredisce un’italiana, non significa che “i romeni violentano le italiane”, cosi come l’italiano che abusa di un bambino romeno non rappresenta “gli italiani che stuprano i bambini romeni”.
“Abbiamo avuto difficoltà a trovare i nomi degli accusati e le loro fotografie, perchè la stampa italiana non ha dato loro importanza. La maggior parte dei giornali non dà i nomi degli arrestati italiani, al massimo le iniziali, e le fotografie sono una rarità. Una pratica corretta, visto la presunzione d’innocenza della quale gode chiunque, in uno stato democratico e moderno, per quanto odioso possa essere il fatto di cui è accusato. “Con i romeni, è il contrario. Sono filmati in diretta, sbattuti in primo piano, condannati già dalla stampa. La manipolazione dell’opinione pubblica è diventata grossolana ed è dannosa. La prima pagina può essere fatta in tanti modi. Questo è il modo più sbagliato” conclude il direttore di Gazeta Romaneasca.
Una lezione di giornalismo dalla comunita' rumena in Italia. Senza contare che anche quando non hanno prove per trattenere "il mostro", nel belpaese si prova a fare di tutto per non lasciarselo scappare e continuare il linciaggio. E infatti, dopo il trambusto mediatico sul mostro rumeno sono partite le prime ronde dei volenterosi: la prima al Parco della Caffarella è finita con una mezza rissa tra i guardiaparco e i rondisti, e una denuncia ai rondisti per usurpazione di funzione pubblica, esercizio abusivo di professione e oltraggio a pubblico ufficiale.

Intanto pochi giorni fa è morta una ragazza per le conseguenza delle leggi razziali del governo. Joy Johnson aveva 24 anni ed era clandestina e ammalata di tubercolosi. Per paura che scattasse la denuncia a causa delle norme del pacchetto sicurezza recentemente approvate al Senato e in discussione alla Camera, non era mai andata a farsi curare: sarebbe bastata un'occhiata per riscontrarle la malattia e darle dei farmaci, ma quando finalmente si e' rivolta all'ospedale era gia' troppo tardi. Come se la conseguenze non fossero gia' abbastanza, la tubercolosi si trasmette per via aerea e quindi non si sa quante persone possono essere state nel frattempo contagiate. Tutto come previsto. Il razzismo cieco del governo produce conseguenze gravissime non solo sulla pelle degli immigrati, ma anche su quella italianissima che si vanterebbero di proteggere.
Si scopre poi che sempre nel pacchetto sicurezza si nasconde anche il comma Erode (articolo 45, comma uno, lettera F): il governo vorrebbe impedire agli irregolari non solo di partorire in ospedale, ma anche di registrare all’anagrafe la nascita di un figlio, con tutto ciò che ne consegue. Ogni figlio di clandestini nato in Italia sarà privo di identità, apolide e senza nome, non potrà accedere all’istruzione né all’assistenza sanitaria e sarà più facilmente esposto ad ogni genere di abusi e pericoli. In pratica non potra' neppure essere riconosciuto dai genitori, non esistera'. E poi ci dicono che loro difendono la famiglia.