mercoledì 26 agosto 2009

Eppure Italia e' parola aperta


Diceva Erri De Luca qualche anno fa nell'introdurre il suo poema, epico, sui migranti di oggi:

Le coste del Mediterraneo si dividono in due, di partenza e di arrivo, pero' senza pareggio: piu' spiagge e piu' notti di imbarco, di quelle di sbarco, toccano Italia meno vite, di qunate salirono a bordo. A sparigliare il conto la sventura, e noi parte di essa. Eppure Italia e' una parola aperta piena d'aria.

Anche per Titti sono state piu' le notti di spiaggia e di attesa dell'imbarco. Ci ha messo un anno, 4 mesi e 21 giorni per arrivare in Italia. E dei suoi compagni di viaggio, su un gommone lasciato dai mercanti di uomini alla deriva con troppa poca benzina, solo 5 su 78 che erano hanno raggiunto l'Italia dopo 21 giorni e 21 notti in mare senza nulla, lasciati alla deriva da pescherecci imparuti dalle conseguenza di accogliere a bordo dei clandestini. Come molti altri sfuggiti ai campi e agli aguzzini degli "amici" libici, Titti racconta su Repubblica la sua storia, dal suo letto di ospedale. Eppure appena sbarcati politici e giornalai non volevano credere al loro racconto, e le loro condizoioni non erano "abbastanza gravi" da rendere verosimile un soggiorno cosi' prolungato in mare. Per non dover cedere alla vergogna.
Credo che chi si vanta dei respingimenti, pensa che la soluzione sia tenere la disperazione lontano dagli occhi, scherza con la tragedia dei barconi e pretende di insegnare i comandamenti ai vescovi farebbe bene ad andare in quell'ospedale, guardare Titti negli occhi, e poi riscrivere le regole per poter vivere in Italia.

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