domenica 22 novembre 2009

Numeri migranti


Mentre in Italia si urla all'invasione, si attiva la delazione tra vicini (gia' attiva vicino a Mantova e a Cantu'), si premiano i cacciatori di immigrati e gli agghiaccianti bus-galera, qualcuno si mette al tavolino confrontare i numeri. E si scopre che gli italiani che da tutto questo sono fuggiti e vivono all'estero (fonte rapporto Italiani nel Mondo 2009, fondazione Migrantes), sono lo stesso numero degli stranieri regolari che vivono in Italia (fonte Rapporto Caritas 2009). E' vero che tra gli italiani nel mondo ci sono anche le seconde generazioni italiane nate all'estero, e che non si conteggia il numero di immigrati non regolari. Ma mi pare che l'unica emergenza in questo paese sia la deriva razzista che continua a individuare capri espiatori per i problemi che non si sanno o non si vogliono affrontare.

giovedì 19 novembre 2009

No alla vendita dei beni confiscati


Ho appena firmato e invito a firmare questo appello promosso da Libera contro la norma contenuta in finanziaria per la vendita dei beni confiscati alla mafia per fare cassa, anziche' destinarli con forte significato simbolico e pratico a progetti sociali.

Tredici anni fa, oltre un milione di cittadini firmarono la petizione che chiedeva al Parlamento di approvare la legge per l'uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Un appello raccolto da tutte le forze politiche, che votarono all'unanimità le legge 109/96. Si coronava, così, il sogno di chi, a cominciare da Pio La Torre, aveva pagato con la propria vita l'impegno per sottrarre ai clan le ricchezze accumulate illegalmente.

Oggi quell 'impegno rischia di essere tradito. Un emendamento introdotto in Senato alla legge finanziaria, infatti, prevede la vendita dei beni confiscati che non si riescono a destinare entro tre o sei mesi. E' facile immaginare, grazie alle note capacità delle organizzazioni mafiose di mascherare la loro presenza, chi si farà avanti per comprare ville, case e terreni appartenuti ai boss e che rappresentavano altrettanti simboli del loro potere, costruito con la violenza, il sangue, i soprusi, fino all'intervento dello Stato.

La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti, grazie al lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura, avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle istituzioni.

Per queste ragioni chiediamo al governo e al Parlamento di ripensarci e di ritirare l'emendamento sulla vendita dei beni confiscati.
Si rafforzi, piuttosto, l'azione di chi indaga per individuare le ricchezze dei clan. S'introducano norme che facilitano il riutilizzo sociale dei beni e venga data concreta attuazione alla norma che stabilisce la confisca di beni ai corrotti. E vengano destinate innanzitutto ai familiari delle vittime di mafia e ai testimoni di giustizia i soldi e le risorse finanziarie sottratte alle mafie. Ma non vendiamo quei beni confiscati che rappresentano il segno del riscatto di un'Italia civile, onesta e coraggiosa. Perché quei beni sono davvero tutti "cosa nostra"

don Luigi Ciotti
presidente di Libera e Gruppo Abele


Tra i primi firmatari: Andrea Campinoti, presidente di Avviso Pubblico - Paolo Beni, presidente Arci - Vittorio Cogliati Dezza, presidente Legambiente - Andrea Olivero, presidente ACLI - Guglielmo Epifani, segretario CGIL - Luigi Angeletti, segretario UIL - Filippo Fossati, presidente UISP - Marco Galdiolo - presidente US Acli, Paola Stroppiana e Alberto Fantuzzo, presidenti del comitato nazionale Agesci - Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace - Loretta Mussi, presidente di "Un ponte Per" - Michele Curto, presidente di FLARE (Freedom, Legality and Rights in Europe) - Michele Mangano, presidente Auser - Oliviero Alotto, presidente di Terra del Fuoco, - Giuliana Ortolan, Donne in Nero di Padova - Giulio Marcon, portavoce campagna Sbilanciamoci - Tito Russo, coordinatore nazionale UDS (Unione degli Studenti), Claudio Riccio, referente Link-coordinamento universitario, Sara Martini e Emanuele Bordello - presidenti FUCI.

E inoltre: Nando Dalla Chiesa, Salvo Vitale, Rita Borsellino, Sandro Ruotolo, Roberto Morrione, Enrico Fontana, Tonio Dell'Olio, on. Pina Picerno, Francesco Forgione, Luigi De Magistris, Raffaele Sardo, David Sassoli, sen. Francesco Ferrante, sen. Rita Ghedini, Petra Reski...

mercoledì 18 novembre 2009

Lettera di Natale


Di seguito la lettera che ho spedito a Franco Claretti (sindaco@comunedicoccaglio.it), architetto 38enne nella foto qui accanto, sindaco leghista del comune di Coccaglio (BS) e fiero ideatore con l'Assessore alla Sicurezza Claudio Abiendi (assessore.abiendi@comunedicoccaglio.it) dell'inimmaginabile operazione "Bianco Natale":

Gentile Franco Claretti,
e Gentile Claudio Abiendi, Assessore alla Sicurezza,

ho appreso dai giornali dell'iniziativa lanciata dalla vostra giunta comunale per disincentivare la presenza di cittadini stranieri nel vostro Comune. Leggo anche, perche' altrimenti avrei fatto fatica a crederlo, che l'operazione e' stata nominata "White Christmas", dal momento che terminera' proprio il giorno di Natale, e perche' evidentemente mira a restituire ai circa settemila abitanti del vostro paese un unico e rassicurante colore di pelle. Leggo che, in nome di una malintesa sicurezza, i vigili andranno casa per casa dei circa 1500 stranieri che vivono sul territorio comunale, controllando i documenti per "fare piazza pulita" degli "irregolari" revocando loro la residenza. Lo scenario e' quello, purtroppo ultimamente abusato sia a livello locale che nazionale, di una campagna ideologica che ha messo in competizione la sicurezza con i diritti, individuando come capro espiatorio di problemi piu’ gravi che non si sanno o non si vogliono risolvere proprio i piu' deboli e diseredati.
Tuttavia in questo caso quello che sconcerta ulteriormente e' l'accostamento con il Natale, festa per eccellenza della manifestazione del divino nei piu' piccoli e piu' poveri. Invece l'Assessore alla Sicurezza Claudio Abiendi (Lega Nord) ci tiene a far sapere ai giornali che "per me il Natale non è la festa dell'accoglienza, ma della tradizione cristiana, della nostra identità". Dimostrando chiaramente di non aver capito nulla, o semplicemente di approfittarsi senza scrupoli di un fruttuosa quanto poco faticosa adesione di facciata alla tradizione cristiana. Di non aver inteso che l'ospitalità al pellegrino e allo straniero, l'apertura al viandante, sono al centro dell'etica cristiana: lo straniero è infatti, a partire dell'episodio biblico di Abramo alle Querce di Mamre (Genesi 18), una figura da accogliere ma anche, come lo è stato il popolo di Israele in Egitto, una figura capace di metterci in discussione, un'occasione per interrogarci su noi stessi, la nostra cultura, la nostra verità. Senza contare che e' proprio sull'accoglienza riservata agli stranieri che quel Signore che tanto va di moda, specialmente dalle vostre parti, appendere a destra e a manca ha promesso di giudicarci alla fine dei tempi: "ero forestiero e mi avete ospitato nella vostra casa" (Matteo 25,35). Leggo anche che a tutti i credenti indignati l'assessore Abiendi ha fatto sapere che "io sono credente, ho frequentato il collegio dai Salesiani. Questa gente dov'era domenica scorsa? Io a Brescia dal Papa". Avrebbe allora forse fatto meglio ad ascoltare le parole di quello stesso Papa in tema di accoglienza dello straniero: "La Chiesa invita i fedeli ad aprire il cuore ai migranti e alle loro famiglie, sapendo che non sono solo un problema ma costituiscono una risorsa da saper valorizzare opportunamente per il cammino dell'umanità e per il suo autentico sviluppo". Nonche' quelle del solito Signore appeso in ogni scuola del vostro comune che ammoniva: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio" (Matteo 7,21).
A meno che non ci siamo sbagliati tutti, e l'intenzione della giunta non fosse proprio quella di far rivivere in pieno l'atmosfera di quel Natale di 2000 anni fa, in cui Maria "diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo" (Luca 2,7). E allora chissa' che anche a Coccaccaglio, la notte di Natale, i vostri vigili non trovino in una qualche baracca un piccolo e scurissimo clandestino appena nato. Senza documenti, lui e i suoi genitori.

Con la sincera speranza che l'operazione sia al più presto interrotta, attendendo con curiosità di conoscere il vostro punto di vista.

Distinti (e distanti) saluti,

Giovanni Cresci

L'oro blu


Per evitare troppe attenzioni e lungaggini burocratiche, il governo ha posto la fiducia sul decreto salva-infrazioni, che contiene nascosto nelle sue pieghe la privatizzazione dell'acqua e dei rifiiuti, spacciata per una norma europea, che pero' europea non e'. Il ministro definisce la polemica sull’acqua «inesistente», in quanto «il bene resta pubblico, mentre la gestione andrà affidata a chi, «soggetto pubblico o privato, offre condizioni di efficienza e di costo più convenienti per il cittadino. Servizio che, peraltro, richiede investimenti infrastrutturali consistenti». Se davvero fosse così, non ci sarebbe stato bisogno di un intervento legislativo, visto che già oggi il servizio si può affidare a gara. Stessa cosa per gli altri servizi, come la gestione dei rifiuti, altro capitolo delicato del decreto. Il testo Ronchi invece di fatto obbliga gli enti a dare in gestione i servizi, escludendo la possibilità della gestione diretta e imponendo limiti alla presenza pubblica in caso di società quotate (il 40% che diventa 30% tra 5 anni). Solo in casi particolarissimi si potrà mantenere la gestione cosiddetta «in-hoise», casi da dimostrare attraverso un iter particolare, sottoposto all’autorizzazione dell’Antitrust. La scelta è invece chiarissima: aprire un nuovo ricco mercato ai privati, e scrollarsi di dosso una voragine impressionante nelle infrastrutture della rete idrica. I lavori necessari necessari ammonterebbero a 62 miliardi di euro, come dieci ponti sullo Stretto. Questo mentre 8 milioni di cittadini non hanno accesso all' acqua potabile, 18 milioni bevono acqua non depurata e le perdite del sistema sono salite al 37%, con punte apocalittiche al Sud. Sono più di vent' anni che si investe al lumicino, non si costruiscono acquedotti e la manutenzione di quelli esistenti è quasi scomparsa dai bilanci. Cosa c'e' di meglio che scaricare finalmente sugli utenti anche i giganteschi costi di decennali carenze infrastutturali? E nessuno ci dice che abbiamo le tariffe dell'acqua piu' basse d'Europa, ma quelle di luce e gas sono le piu' alte del continente... Si inizia alle 15, mentre il voto finale è previsto per le ore 13 di giovedì, dopo le dichiarazioni di voto in diretta tv. Cosi' Paolo Rumiz su Repubblica:

Dunque oggi alla Camera si va alla fiducia sull'acqua. Che bisogno aveva il governo di questo mezzo estremo per trasformare in legge un decreto, avendo i numeri di una larga maggioranza? Che fretta c'è su un tema di simile portata? È abbastanza intuibile. Se si affronta un iter normale, le cose vanno per le lunghe visto che il Pd è intenzionato a dar battaglia con l'Italia dei valori.

Entrambi i partiti hanno annunciato un fuoco di sbarramento a suon di emendamenti. Ma se accade, la storia comincia a far rumore; e se fa rumore c'è il rischio che gli italiani mangino la foglia. Cadrebbe la cortina di silenzio che negli ultimi anni ha avvolto il business legato alla distribuzione del più universale e strategico dei beni nazionali.

Il nodo è semplice. Lo Stato è in bolletta, da vent'anni non investe più come si deve sulla rete e oggi meno che mai ha soldi per un'azione di ammodernamento che costerebbe come otto ponti sullo stretto di Messina. Meglio dunque lasciare la patata calda ai privati, che con meno remore politiche potrebbero scaricare sulle tariffe il costo di un'operazione indilazionabile, e che per la mano pubblica è una delle ultime ghiotte occasioni di far cassa. Da qui un decreto che, caso unico in Europa, obbliga a mettere in gara tutti i servizi legati all'acqua e accelerarne la trasformazione in Spa, dimenticando che, quasi ovunque le grandi società sono entrate nel gioco, le tariffe sono aumentate in assenza di investimenti sulla rete.

Ovvio che meno se ne parla, meglio è. Se in Parlamento scatta la bagarre, c'è il rischio che i Comuni virtuosi (inclusi quelli con i colori della maggioranza), che hanno tenuto duro nel non cedere i loro servizi alle società di Milano, Genova, Bologna e Roma, creino un'alleanza per proteggere "l'acqua del sindaco", cioè il loro ultimo territorio di autogoverno e autonomia dopo la perdita dell'Ici.
Se se ne parla, può succedere che gli utenti apprendano che, laddove le grandi società sono entrate in campo, le perdite della rete sono rimaste le stesse, i controlli di qualità sono spesso diminuiti e magari le tariffe sono aumentate . Magari si capisce che vi sono servizi che non possono essere privatizzati oltre un certo limite, perché allora l'acqua passa al mercato finanziario, diventa quotazione in borsa, e il cittadino non ha più un sindaco con cui protestare dei disservizi, ma solo un sordo "call center" piazzato magari a Sydney, Pechino o New York. No, non si deve sapere che siamo di fronte a un passaggio epocale, di quelli che cambiano tutto, come la recinzione dei pascoli liberi nell'Inghilterra del Settecento.

Non è un caso che si sia tentato di buttare una riforma simile nel pentolone di un decreto omnibus riguardante tutti i pubblici servizi, e non è un caso che - durante la discussione - si sia scorporato dal decreto medesimo il discorso il gas, i trasporti e il nodo delle farmacie. Gas, trasporti e farmacie erano la foglia di fico. Se oggi nel decreto su cui si pone la fiducia rimane solo l'acqua con i rifiuti, significa che l'acqua e i rifiuti sono il grande affare indilazionabile, l'accoppiata perfetta su cui si reggono i profitti delle multi-utility, e parallelamente le ingordigie della criminalità organizzata. Non è un caso che si parli tanto di "oro blu".

La storia dell'umanità lo dice chiaro. Chi governa l'acqua, comanda. Le prime forme di compartecipazione democratica dal basso sono nate in Italia attorno all'uso delle sorgenti, quando i paesi e le frazioni hanno pensato ad affrancarsi grazie all'acqua. Lo scontro non è tra pubblico e privato, ma tra controllo delle risorse dal basso e delega totale dei servizi, con conseguente, lucroso monopolio di alcuni. Oggi potremmo dover rinunciare a un pezzo della nostra sovranità.

martedì 17 novembre 2009

Menomale



... uguale si' tuo nonno, la sardina non e' un tonno,
e menomale menomale ...

venerdì 13 novembre 2009

Attuare la Costituzione


Il provvedimento intende attuare il principio della ragionevole durata dei processi, sancito sia nella convenzione europea dei diritti dell’uomo (art.6), che nella Costituzione (art.111).
(Dalla relazione accompagnatoria al disegno di legge sulla durata dei processi)

Cosi' recita la relazione accompagnatoria all'ennesima legge ad personam varata dalla destra e che sta per approdare alle Camere per la discussione, il disegno di legge sulla durata dei processi (qua il testo completo). L'ennesima vergogna spacciata per altro per applicazione della carta costituzionale.
In pratica il disegno di legge prevede che dopo due anni per ogni grado di giudizio i reati si estinguano per prescrizione se l'accusato e' incensurato (ma non se questi ha una qualsivoglia condanna minore di qualunque genere) e se la pena e' inferiori ai dieci anni. Sono previste una serie di eccezioni per reati particolarmente gravi e dannosi per la collettivita', tra i quali non figura, guarda caso, nessuno di quelli relativi ai processi di Berlusconi quali corruzioni e reati fiscali e finanziari, ma ad esempio fanno bella mostra di se' i reati previsti nel testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero: al razzismo non si rinuncia neanche per le leggi ad personam.
Quello che indigna piu' di tutto, ancora piu' del fatto che per salvare se stesso Berlusconi e' pronto a mandare a monte migliaia di processi anche gia' in corso, e' che questo disegno di legge venga giustificato con la volonta' di accorciare i tempi dei processi. Peccato pero' che il testo non preveda in alcuna parte una riforma delle procedure processuali: se il processo non fa in tempo, si straccia e tutti a casa. E' lo stesso procedimento delle ferrovie svizzere, a cui ho assistito qualche anno fa a Briga: un treno che accumula troppo ritardo (1 ora e mezzo nel mio caso) non e' tollerabile. Si fa fermare alla prima stazione e si fanno scendere tutti i passeggeri. Chi si e' visto si e' visto, pazienza se quello era l'ultimo treno della giornata, i passeggeri si arrangeranno. Almeno nessuno potra' dire che in Svizzera i treni non vanno in orario. Una follia assoluta.
Mi rifaccio alle parole dell'Associazione Nazionale Magistrati per ogni ulteriore commento a questa nuova vergogna:

Gli unici processi che potranno essere portati a termine saranno quelli nei confronti dei recidivi e quelli relativi ai fatti indicati in un elenco di eccezioni (articolo 2, comma 5 del disegno di legge) che pone forti dubbi di costituzionalità. È impensabile, infatti, che il processo per una truffa di milioni di euro nei confronti dell’imputato incensurato si estingua, mentre debba proseguire il processo per una truffa da pochi euro, commessa da una persona già condannata, magari anni prima, per altro reato.

Saranno invece destinati a inevitabile prescrizione tutti i processi per reati gravi, quali abuso d’ufficio, corruzione semplice e in atti giudiziari, rivelazione di segreti d’ufficio, truffa semplice o aggravata, frodi comunitarie, frodi fiscali, falsi in bilancio, bancarotta preferenziale, intercettazioni illecite, reati informatici, ricettazione, vendita di prodotti con marchi contraffatti; traffico di rifiuti, vendita di prodotti in violazione del diritto d’autore, sfruttamento della prostituzione, violenza privata, falsificazione di documenti pubblici, calunnia e falsa testimonianza, lesioni personali, omicidio colposo per colpa medica, maltrattamenti in famiglia, incendio, aborto clandestino.

Per tutti questi reati sarà impossibile arrivare a una sentenza di primo grado entro due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, quindi sarà sempre impossibile accertare i fatti. Più che di una amnistia, si tratta di una sostanziale depenalizzazione di fatti di rilevante e oggettiva gravità. Truffatori di professione, evasori fiscali, ricettatori, corrotti e pubblici amministratori infedeli, che non abbiano già riportato una condanna, avranno la certezza dell’impunità.

Infine la norma transitoria, che estende ai processi in corso l’applicazione delle nuove disposizioni, è destinata a determinare l’immediata estinzione di decine di migliaia di processi, anche per fatti gravi. Per limitarci a qualche esempio, la legge provocherà l’immediata estinzione di gran parte dei reati nei processi per i crac Cirio e Parmalat, per le scalate alle banche Antonveneta e Bnl, per corruzione nel processo Eni-Power.

Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati

Giuseppe Cascini, segretario generale

Roma, 12 novembre 2009

E io pago


Riporto l'articolo di Tito Boeri pubblicato su La Repubblica l’11 novembre. Nulla da eccepire sulle tre cose da fare subito. Particolarmente interessante, oltre al contyratto unico di cui si parla da tempo ma per il quale non si fa nulla, la terza proposta. Ecco il testo:

«Finché ci sono io non ci saranno tagli alle pensioni». Non se n´è accorto, ma con queste parole Tremonti ha annunciato l´intenzione di terminare il suo mandato prima della fine della legislatura. Oppure ha deciso di riformare domani, subito, il nostro mercato del lavoro. Il fatto è che la crisi sta già tagliando le pensioni. Non quelle in essere. Ma quelle di chi è entrato, meglio è rimasto, in attesa di entrare nel mercato del lavoro, da quando la crisi è iniziata. Certo, non possiamo dare la colpa della crisi al governo. Ma quella di non aver fatto sin qui nulla per evitare ai giovani un futuro pensionistico grigio, anzi grigissimo, non possiamo proprio risparmiargliela. Con tutta la buona volontà.
La crisi del lavoro ha sin qui colpito quasi solo i giovani in Italia. A differenza di crisi precedenti, non c´è stato solo il congelamento delle assunzioni, comunque diminuite del 30%. Ci sono anche stati licenziamenti massicci (tra il 10 e il 15 per cento del loro numero a inizio della crisi) tra chi aveva contratti a tempo determinato, collaborazioni a progetto o partite Iva. Accade così che oggi un disoccupato su tre ha meno di 25 anni contro uno su quattro prima dell´inizio della crisi. Siamo il paese Ocse in cui il rapporto fra il tasso di disoccupazione dei giovani e il tasso di disoccupazione complessivo è più alto (più di tre volte più alto) ed è aumentato di più dall´inizio della recessione. Significa che il rischio di perdere il lavoro è diventato ancora più concentrato sui giovani. Non era un paese per giovani, il nostro. Lo sarà ancora meno se non si fa qualcosa. Non sono danni transitori quelli che stiamo facendo ai giovani, non sono danni destinati ad evaporare dopo la recessione. Diversi studi documentano che chi inizia la propria carriera con un periodo di disoccupazione (e chi non inizia del tutto pur cercando attivamente un lavoro), ha una vita lavorativa caratterizzata da frequenti periodi senza lavoro e con salari più bassi al contrario di chi non ha vissuto questa esperienza (inizialmente i salari sono fino al 20% più bassi, poi il divario si riduce al 5%, ma solo nel caso in cui non si perda nuovamente il lavoro). È, quindi, una condanna che ci si porta dietro per tutta la vita, fatta di salari più bassi, rischi più alti di perdere il posto di lavoro e anche peggiori condizioni di salute di chi il lavoro non l´ha mai perso. A questi danni bisogna poi aggiungere quello di ricevere una pensione molto più bassa al termine della propria vita lavorativa. Perché chi entra oggi nel mercato del lavoro avrà una pensione dettata dalle regole del sistema contributivo, quindi legata ai salari che ha ricevuto durante l´intero arco della vita lavorativa. E chi oggi perde un lavoro precario non si vede riconoscere i cosiddetti oneri figurativi, non c´è qualcuno, lo Stato, che gli versa i contributi mentre cerca un impiego alternativo. In altre parole, assiste impotente ad un ulteriore assottigliamento della sua pensione.
Continuare a ignorare i problemi dell´ingresso nel mercato del lavoro e non concedere l´estensione di ammortizzatori sociali e oneri figurativi ai lavoratori temporanei vuol dire quindi tagliare le pensioni del domani in modo molto consistente, contando sul fatto che le vittime di questo taglio se ne accorgeranno quando ormai sarà troppo tardi e quando i responsabili di questi tagli sono, loro sì, da tempo andati in pensione. Il nostro ministro dell´Economia si vanta spesso di avere previsto l´imprevedibile. Solo lui avrebbe avvistato il cigno nero sulle coste australiane. Gli chiediamo questa volta di vedere ciò che noi tutti vediamo: un futuro pensionistico difficilissimo per i nostri figli e di agire di conseguenza. Ci sono tre cose da fare subito. Primo riformare i percorsi di ingresso nel mercato del lavoro, superando il suo stridente dualismo, con innovazioni come il contratto unico a tempo indeterminato a tutele progressive, ormai condivise da ampi settori dell´opposizione e del sindacato. Secondo estendere la copertura dei nostri ammortizzatori sociali, che sono oggi i meno generosi tra i paesi dell´Ocse, tra cui figura anche la Turchia, come certificato recentemente da questa organizzazione spesso citata dal ministro dell´Economia. Terzo, mandare a tutti i lavoratori un estratto conto previdenziale che, come in Svezia, li informi su quale sarà la loro pensione futura, sulla base di proiezioni realistiche sui loro guadagni futuri. Se non lo fa, nonostante glielo sia stato chiesto da anni (e lo stesso ministro Sacconi si sia impegnato in questo senso ufficialmente all´ultima assemblea della Covip), sarà solo perché ha paura di dire agli italiani la verità sui tagli che sta operando alle loro pensioni rinunciando a riformare il mercato del lavoro.