giovedì 4 marzo 2010

Manovre di aggiramento


Il Senato approva il disegno di legge collegato alla Finanziaria, che include la norma che allarga il ricorso all'arbitrato. Secondo l'opposizione e i sindacati, il testo potrebbe indebolire o vanificare l'art.18 dello Statuto dei Lavoratori. Dopo lo scoglio della mega-manifestazione del 2002, ci riprovano con l'aggiramento. Cosi' Gianni Cuperlo sul suo blog:

Insisto sul lavoro perché credo sia la cifra della crisi ma anche la chiave per cogliere le differenze di visione tra noi e gli altri. In questo senso le norme previste nel Ddl in discussione al Senato e che intervengono di fatto sull’articolo 18 (torniamo ancora lì) prevedendo la soluzione delle vertenze tra lavoratore e datore attraverso il ricorso a un arbitrato sono più esplicite di mille convegni. Come ha spiegato Tiziano Treu, l'articolo 31 del testo governativo prevede due possiblita' per ricorrere all'arbitrato. La prima e' attraverso contratti collettivi, ed e' la strada piu' sicura. In questo modo, infatti, le parti possono stabilire i limiti in cui l'arbitrato puo' essere esercitato. C'e' poi una seconda possibilita' consentita dalla norme volute dal governo e dalla maggioranza. E cioe' che il singolo lavoratore accetti un accordo secondo cui il proprio contratto di assunzione preveda il ricorso all'arbitrato per risolvere le controversie, incluso il ricorso all'arbitrato secondo equita'. Cosa quest'ultima che implica la possibilita' di scavalcare le norme inderogabili di legge e quindi diritti come appunto l'articolo 18 o come le retribuzioni o le ferie. Chiaro no? Quando l’aspirante lavoratore deve “trattare” la propria assunzione (e dunque quando è più debole sul piano contrattuale), sarà spinto a firmare l’impegnativa che rimette nelle mani del suo datore un potere ad oggi escluso da quel sistema di garanzie che si pretende di rimuovere. Tutto ciò è parte di una vera e propria contro-riforma del mercato del lavoro che il governo persegue da tempo e con una non invidiabile coerenza. Pensiamo alle deroghe e all’indebolimento delle sanzioni in materia di sicurezza, alla rimozione dei limiti per i contratti a termine e al reinserimento di quelli a chiamata, alla cancellazione della responsabilità in solido dell’appaltatore con il sub-appaltatore per arginare il lavoro nero….l’impressione è di avere a che fare con un piano a largo raggio le cui conseguenze, però, sono sotto gli occhi di tutti. Ora, è ben difficile pensare che un mercato del lavoro fortemente deregolato possa rappresentare una valvola di sicurezza per un sistema complessivamente indebolito, con interi settori produttivi piegati dalla congiuntura. Insomma, l’idea che in tempi di vacche magre si debbano ridurre i confini delle tutele e delle garanzie della categoria più debole e colpita non si spiega se non dentro una lettura più generale dove i principi di legalità e rispetto delle regole lasciano il passo al culto delle deroghe e delle scorciatoie normative da giustificare a posteriori tramite l’uso e l’abuso del condonismo. Ragione in più per considerare la campagna elettorale una buona chance di informazione e lotta politica. Certo, non si vota per mandare a casa il governo, ma se il segnale dovesse andare nella direzione giusta sarà più difficile anche per loro scardinare ogni due settimane quell’impianto di sicurezza sociale e di diritto del lavoro che avrebbe bisogno di rinforzi e non di demolizioni.

Quello che non dice Gianni e che il decreto itroduce anche la possibilità di assolvere l'ultimo anno di obbligo di istruzione (dai 15 anni di età) attraverso un apprendistato in azienda, dopo un'intesa tra Regioni, ministero del Lavoro e dell'Istruzione. Studiare meno prima per farsi mandare a casa piu' facilmente dopo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Articolo pubblicato sul Corriere della sera il 7 marzo 2010

Caro Direttore, con la legge in materia di lavoro varata dal Senato mercoledì scorso rischia di ripetersi quello che è accaduto sette anni fa con la legge Biagi: il governo la presenta come la liberazione da vecchi vincoli; l’opposizione e la Cgil convalidano questa immagine della legge denunciandola come un grave “smantellamento delle protezioni”; tutti si convincono che effettivamente – nel bene o nel male – siamo di fronte a una liberalizzazione del mercato del lavoro; solo dopo qualche anno, alla prova dei fatti, si scopre che questa liberalizzazione non c’è stata affatto.

continua su http://www.pietroichino.it/?p=7539