
Roberto Mania su Repubblica riporta cosi' i dati OCSE sul coefficiente di Gini applicato al reddito in 27 paesi. E si scopre che dagli anni 90 la tendenza verso una societa' di ricchi sempre piu' ricchi e di poveri sempre piu' poveri invece di invertirsi si e' aggravata, colpendo con piu' determinazione i giovani. E l'ultima finanziaria ne e' lo specchio fedele:
 Forse non è neanche più un caso che l'indice per misurare il tasso di  diseguaglianza nella distribuzione del reddito sia stato definito nel  secolo passato da uno statistico-economista italiano: Corrado Gini.  Forse era già quello un segno premonitore. Ecco, il "coefficiente   Gini" ci dice quanto siamo peggiorati. E peggioreremo ancora se  è vero che la discesa ha subito un'accelerazione con la recessione  precedente, quella dei primi anni Novanta. Meno profonda di questa e più  celere nell'abbandonarci, però. "L'esperienza del 1992-93 quando  l'economia italiana attraversò una fase severamente negativa, suggerisce  che a una crisi economica può seguire un persistente aggravamento della  diseguaglianza", ha scritto l'economista della Sapienza di Roma  Maurizio Franzini, nel suo recente libro "Ricchi e poveri" (Università  Bocconi editore). Basterà aspettare i prossimi mesi. Più basso è  l'indice Gini più eguale è la società. Il nostro indice Gini arriva a  35. In Polonia è 37, negli Stati Uniti 38, in Portogallo 42, in Turchia  43 e in Messico 47. La Francia ha un coefficiente del 28 per cento e la  Germania, nonostante gli effetti della riunificazione est-ovest, è al  30. In alto i paesi dell'uguaglianza, l'Europa del nord: la Danimarca e  la Svezia con un coefficiente Gini del 23 per cento.
C'è anche un  altro modo per misurare la diseguaglianza, dividendo la popolazione in  decili: il 10 per cento più ricco e il 10 per cento più povero per poi  calcolare quante volte il reddito del primo gruppo supera il secondo.  Anche qui siamo messi male, malissimo: gli italiani più ricchi hanno un  reddito superiore di dodici volte quello dei più poveri. Certo, in  Messico questo rapporto sale a 45, ma nella vecchia Europa ci supera  solo la Gran Bretagna con un rapporto che sfiora il 14, mentre la  Germania è al 6,9, la Spagna al 10,3, la Svezia al 6,2. Conclusione di  una ricerca dell'Ires appena uscita ("Un paese da scongelare", di Aldo  Eduardo Carra e Carlo Putignano, edito da Ediesse): "In Italia i ricchi  sono più ricchi, il ceto medio è più povero e i poveri sono molto più  poveri". E così, in un decennio le diseguaglianze si sono accresciute di  oltre cinque punti. Il coefficiente Gini era 29 nel 1991, poi è salito  al 34 nel 1993. E ora - si è visto - è al 35. Ma nulla fa pensare che si  fermi lì. Anzi: tutto fa pensare il contrario. Altri paesi - la Spagna,  per esempio - si sono mossi in direzione esattamente opposta [...]
[...] Nemmeno la recessione è stata, ed è, uguale per tutti. I giovani stanno  pagando più caro. È l'Istat che lo certifica nel suo Rapporto annuale:  "La crisi ha determinato nel 2009 una significativa flessione dei  giovani occupati (300 mila in meno rispetto all'anno precedente), i  quali hanno contribuito per il 79 per cento al calo complessivo  dell'occupazione". Un giovane su tre è senza lavoro. Un giovane -  ricordano Tito Boeri e Vincenzo Galasso nel loro "Contro i giovani"  (Mondadori) - guadagna il 35 per cento in meno di chi ha tra i 31 e i 60  anni (era il 20 per cento negli anni Ottanta). Ecco: così, partendo dal  basso, si costruisce un paese diseguale.