domenica 28 giugno 2009

Honduras


Il referendum che oggi avrebbe dovuto decidere se convocare o no l’elezione di un’assemblea Costituente (voluta secondo i sondaggi dall’85% della popolazione) ha scatenato un colpo di stato in Honduras per estromettere il presidente democraticamente eletto Manuel Zelaya. È bastato infatti solo l’odore di una Carta costituzionale che per la prima volta mettesse nero su bianco diritti civili e strumenti per ottenerli in un paese per molti versi ancora premoderno come l’Honduras, perché si mettesse in moto la macchina golpista che durante tutta la storia ha impedito giustizia sociale e democrazia in tutto il Centroamerica. Il presidente Manuel Zelaya, “Mel”, con una storia di centro-destra nel partito liberale che durante il suo mandato ha virato con molta dignità verso il verso il centro-sinistra, aveva indetto per oggi domenica 28 giugno una consultazione con la quale si chiedeva ai cittadini se nel prossimo novembre si dovesse convocare o meno un’Assemblea Costituente nel paese contemporaneamente alle elezioni presidenziali, legislative e amministrative già previste a fine anno. Il sistema dei partiti (incluso quello del presidente che oramai si oppone apertamente), dei media di comunicazione, che in Honduras come nel resto del continente sono dominio esclusivo del potere economico, della Corte Suprema e dall’esercito si e' subito opposto al progetto di una nuova Costiutuzione che metta fine a una lunga storia di disuguaglianza e ingiustizia sociale e fermare lo sfruttamento senza limiti del paese da parte delle multinazionali imposto dal Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti. In Honduras infatti ben il 30% del territorio nazionale è stato alienato a imprese straniere, soprattutto dei settori minerari e idrici. Le multinazionali quasi non pagano tasse in un paese dove tre quarti della popolazione vive in povertà. Così l’opposizione, al solo odore di una nuova Costituzione che affermi che per esempio l’acqua è un bene comune e che imponga per lo meno un sistema fiscale che permetta processi redistributivi, è disposta a spezzare il simulacro di democrazia rappresentativa che evidentemente considera utile solo quando sono i poteri di sempre a comandare. Di conseguenza settori numericamente preponderanti dell’esercito di Tegucigalpa, che rispondevano al Capo di Stato Maggiore Romeo Vázquez, si sono rifiutati di operare per permettere la consultazione di domenica, distribuendo le urne e permettendo il regolare svolgimento della stessa adducendo che il referendum sarebbe illegale e che sarebbe propedeutico all’installazione di una dittatura di Mel Zelaya nel paese.
Nonostante il rapimento questa mattina del presidente eletto tradotto in CostaRica e degli ambasciatori di Nicaragua, Cuba, Venezuela del Ministro degli Esteri dell’Honduras Patricia Roda, pare che sia comunque in corso la votazione del referendum come forma di resistenza pacifica per dire no al golpe. Anche il presidente Zelaya ha parlato alla nazione, circondato da rappresentanti dei movimenti sociali del paese, aveva confermato il recupero del materiale elettorale inizialmente sequestrato dai militari e aveva riaffermato che oggi si sarebbe comunque votato per il referendum. Mentre il presidente della Camera, Roberto Micheletti, avrebbe giurato come presidente di fatto e dittatore dell’Honduras, i movimenti sociali honduregni, di fronte al silenzio dei media rispetto al colpo di stato in corso nel paese, invitano a far circolare al massimo l’informazione e la solidarietà internazionale sul golpe in Honduras. Pare che anche in queste ore migliaia di persone starebbero affrontando i militari e protestando contro l'azione dell'esercito.

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