25 Aprile
Oggi e' un giorno speciale. E' il giorno in cui la nostra Costituzione nasce dalle rovine della guerra, grazie alla lotta e al sacrificio di chi non ha smesso di sperare in un mondo e in un'Italia migliore.
Da "Il sentiero dei nidi di ragno", Italo Calvino
- Ti sei convinto che è uno sbaglio, Kim? — dice Ferriera.
Kim scuote il capo: - Non è uno sbaglio, - dice.
- Ma sì, - fa il comandante. - È stata un'idea sbagliata la tua, di fare un distaccamento tutto di uomini poco fidati, con un comandante meno fidato ancora. Vedi quello che rendono. Se li dividevamo un po' qua un po' là in mezzo ai buoni era più facile che rigassero dritti.
Kim continua a mordersi i baffi: - Per me, - dice, - questo è il distaccamento di cui sono più contento.
Ci manca poco che Ferriera perda la sua calma: alza gli occhi freddi e si gratta la fronte: - Ma Kim, quando la capirai che questa è una brigata d'assalto, non un laboratorio d'esperimenti? Capisco che avrai le tue soddisfazioni scientifiche a controllare le reazioni di questi uomini, tutti in ordine come li hai voluti mettere, proletariato da una parte, contadini dall'altra, poi sottoproletari come li chiami tu... Il lavoro politico che dovresti fare, mi sembra, sarebbe di metterli tutti mischiati e dare coscienza di classe a chi non l'ha e raggiungere questa benedetta unità... Senza contare il rendimento militare, poi... Kim ha difficoltà a esprimersi, scuote il capo: - Storie, - dice, - storie. Gli uomini combattono tutti, c'è lo stesso furore in loro, cioè non lo stesso, ognuno ha il suo furore, ma ora combattono tutti insieme, tutti ugualmente, uniti. Poi c'è il Dritto, c'è Pelle... Tu non capisci quanto loro costi... Ebbene anche loro, lo stesso furore... Basta un nulla per salvarli o per perderli... Questo è il lavoro politico... Dare loro un senso... Quando discute con gli uomini, quando analizza la situazione, Kim è terribilmente chiaro, dialettico. Ma a parlargli cosi, a quattrocchi, per fargli esporre le sue idee, c'è da farsi venire le vertigini. Ferriera vede le cose più semplici: - Ben, diamoglielo questo senso, quadriamoli un po' come dico io. Kim si soffia nei baffi: - Questo non è un esercito, vedi, da dir loro: questo è il dovere. Non puoi parlar di dovere qui, non puoi parlare di ideali: patria, libertà, comunismo. Non ne vogliono sentir parlare di ideali, gli ideali son buoni tutti ad averli, anche dall'altra parte ne hanno di ideali. Vedi cosa succede quando quel cuoco estremista comincia le sue prediche? Gli gridano contro, lo prendono a botte. Non hanno bisogno di ideali, di miti, di evviva da gridare. Qui si combatte e si muore cosi, senza gridare evviva. - E perché allora? - Ferriera sa perché combatte, tutto è perfettamente chiaro in lui. - Vedi, - dice Kim, - a quest'ora i distaccamenti cominciano a salire verso le postazioni, in silenzio. Domani ci saranno dei morti, dei feriti. Loro lo sanno. Cosa li spinge a questa vita, cosa li spinge a combattere, dimmi? Vedi, ci sono i contadini, gli abitanti di queste montagne, per loro è già più facile. I tedeschi bruciano i paesi, portano via le mucche. È la prima guerra umana la loro, la difesa della patria, i contadini hanno una patria. Cosi li vedi con noialtri, vecchi e giovani, con i loro fucilacci e le cacciatore di fustagno, paesi interi che prendono le armi; noi difendiamo la loro patria, loro sono con noi. E la patria diventa un ideale sul serio per loro, li trascende, diventa la stessa cosa della lotta: loro sacrificano anche le case, anche le mucche pur di continuare a combattere. Per altri contadini invece la patria rimane una cosa egoistica: casa, mucche, raccolto. E per conservare tutto diventano spie, fascisti; interi paesi nostri nemici... Poi, gli operai. Gli operai hanno una loro storia di salari, di scioperi, di lavoro e lotta a gomito a gomito. Sono una classe, gli operai. Sanno che c'è del meglio nella vita e che si deve lottare per questo meglio. Hanno una patria anche loro, una patria ancora da conquistare, e combattono qui per conquistarla. Ci sono gli stabilimenti giù nelle città, che saranno loro; vedono già le scritte rosse sui capannoni e bandiere alzate sulle ciminiere. Ma non ci sono sentimentalismi, in loro. Capiscono la realtà e il modo di cambiarla. Poi c'è qualche intellettuale o studente, ma pochi, qua e là, con delle idee in testa, vaghe e spesso storte. Hanno una patria fatta di parole, o tutt'al più di qualche libro. Ma combattendo troveranno che le parole non hanno più nessun significato, e scopriranno nuove cose nella lotta degli uomini e combatteranno cosi senza farsi domande, finché non cercheranno delle nuove parole e ritroveranno le antiche, ma cambiate, con significati ma a un altro, con un gioco di trasposizioni da slogare il cervello, in cui ogni cosa o persona diventa un'ombra cinese, un mito insospettato. Poi chi c'è ancora? Dei prigionieri stranieri, scappati dai campi di concentramento e venuti con noi; quelli combattono per una patria vera e propria, una patria lontana che vogliono raggiungere e che è patria appunto perché è lontana. Ma capisci che questa è tutta una lotta di simboli; che uno per uccidere un tedesco deve pensare non a quel tedesco? Ferriera arriccia la burba bionda; non vede nulla di tutto questo, lui. - Non è così - dice. - Non è cosi, — continua Kim, - lo so anch'io. Non è cosi. Perché c'è qualcos'altro, comune a tutti, un furore. Il distaccamento del Dritto: ladruncoli, carabinieri, militi, borsaneristi, girovaghi. Gente che s'accomoda nelle piaghe della società, e s'arrangia in mezzo alle storture, che non ha niente da difendere è niente da cambiare. Oppure tarati fisicamente, o fissati, o fanatici. Un'idea rivoluzionaria in loro non può nascere, legati come sono alla ruota che li macina. Oppure nascerà storta, figlia della rabbia, dell'umiliazione, come negli sproloqui del cuoco estremista. Perché combattono, allora? Noia hanno nessuna patria, né vera né inventata. Eppure tu sai che c'è coraggio, che c'è furore anche in loto. È l'offesa della loro vita, il buio della loro strada, il sudicio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi. E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell'anima e ci si trova dall'altra parte, come Pelle, dalla brigata nera, a sparare con lo stesso furore, con lo stesso odio, contro gli uni o contro gli altri, fa lo stesso.
Ferriera mugola nella barba: - Quindi, lo spirito dei nostri... e quello della brigata nera... la stessa cosa?... - La stessa cosa, intendi cosa voglio dire, la stessa cosa... - Kim s'è fermato e indica con un dito come se tenesse il segno leggendo; - la stessa cosa ma tutto il contrario. Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, là ci si ribadisce la catena. Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c'è la storia. C'è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall'altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m'intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un'umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L'altra è la parte dei gesti perduti; degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell'odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l'operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l'uomo contro l'uomo.
Di Ferriera, nel buio, si vedono l'azzurro degli occhi e il biondo della barba: scuote il capo. Lui non conosce il furore: è preciso come un meccanico e pratico come un montanaro, la lotta è una macchina esatta per lui, una macchina di cui si sa il funzionamento e lo scopo. - Pare impossibile, - dice, - pare impossibile che con tante balle in testa tu sappia fare il commissario come si deve e parlare agli uomini con tanta chiarezza. A Kim non dispiace che Ferriera non capisca: agli uomini come Ferriera si deve parlare con termini esatti, « a, bi, ci » « deve dire, le cose sono sicure o sono « balle », non ci sono zone ambigue ed oscure per loro. Ma Kim non pensa questo perché si creda superiore a Ferriera: Il suo punto d'arrivo è poter ragionate come Ferriera, non aver altra realtà all'infuori di quella di Ferriera, tutto il resto non serve. - Ben. Ti saluto -. Sono giunti a un bivio. Ora Ferriera andrà dal Gamba e Kim da Baleno. Devono ispezionare tutti i distaccamenti quella notte, prima della battaglia e bisogna che si separino. Tutto il retto non serve. Kim cammina solo per i sentieri, con appesa alla spalla quell'arma smilza che sembra una stampella rotta: lo sten. Tutto il resto non serve. I tronchi nel buio hanno strane forme umane. L'uomo porte dentro in sé le sue paure bambine per tutta la vita. « Forse, - pensa Kim, - se non fossi commissario di brigata avrei paura. Arrivare a non aver più paura, questa è la meta ultima dell'uomo ». Kim è logico, quando analizza con i commissari la situazione dei distaccamenti, ma quando ragiona andando da solo per i sentieri, le cose ritornano misteriose e magiche, la vita degli uomini piena di miracoli. Abbiamo ancora la testa piena di miracoli e di magie, pensa Kim. Ogni tanto gli sembra di camminare in un mondo di simboli, come il piccolo Kim in mezzo all'India, nel libro di Kipling tante volte riletto da ragazzo.
« Kim... Kim... Chi è Kim?... » Perché lui cammina quella notte per la montagna, prepara una battaglia, ha ragione di vite e di morti, dopo la sua melanconica infanzia di bambino ricco, dopo la sua scialba adolescenza di ragazzo timido? A volte gli sembra d'essere in preda a furibondi squilibri, d'agire in preda all'isteria. No, i suoi pensieri sono logici, può analizzare ogni cosa con perfetta chiarezza. Ma non è un uomo sereno. Sereni erano i suoi padri, i grandi padri borghesi che creavano la ricchezza. Sereni sono i proletari che sanno quel che vogliono, i contadini che ora vegliano di sentinella ai loro paesi, sereni sono i sovietici che hanno deciso tutto e ora fanno la guerra con accanimento e metodo, non perché sia bello, ma perché bisogna. I bolscevichi! L'Unione Sovietica forse è già un paese sereno. Forse non c'è più miseria umana, laggiù. Sarà mai sereno, lui, Kim? Forse un giorno si arriverà ad essere tutti sereni, e non capiremo più tante cose perché capiremo tutto. Ma qui gli uomini hanno occhi torbidi e facce ispide, ancora, e Kim è affezionato a questi uomini, al riscatto che si muove in loro. Quel bambino del distaccamento del Dritto, come si chiama? Pin? Con quello struggimento di rabbia nel viso lentigginoso, anche quando ride... Dicono sia fratello di una prostituta. Perché combatte? Non sa che combatte per non essere più fratello di una prostituta. E quei quattro cognati « terroni » combattono per non essere più dei «terroni», poveri emigrati, guardati come estranei. E quel carabiniere combatte per non sentirsi più carabiniere, sbirro alle costole dei suoi simili. Poi Cugino, il gigantesco, buono e spietato Cugino... dicono che vuole vendicarsi d'una donna che l'ha tra-dito... Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo. Anche Ferriera? Forse anche Ferriera: la rabbia a non poter fare andare il mondo come vuoi lui Lupo Rosso, no: per Lupo Rosso tutto quel che vuole è possibile. Bisogna fargli volere delle cose giuste: questo è lavoro politico, lavoro da commissario. E imparare che è giusto quello che lui vuole: anche questo è lavoro politico, lavoro da commissario. Un giorno forse io non capirò più queste cose, pensa Kim, tutto sarà sereno in me e capirò gli uomini in tutt'altro modo, più giusto, forse. Perché: forse? Bene, io allora non dirò più forse, non ci saranno più forse in me. E farò fucilare il Dritto. Adesso sono troppo legato a loro, a tutte le loro storture. Anche al Dritto: io so che il Dritto deve soffrire terribilmente, per quel suo puntiglio di fare la carogna a tutti i costi. Non c'è nulla più doloroso al mondo di essere cattivi. Un giorno da bambino mi rinchiusi in camera per due giorni senza mangiare. Soffrii terribilmente ma non aprii e dovettero venire a prendermi con una scala dalla finestra. Avevo una voglia enorme d'essere compatito. Il Dritto fa lo stesso. Ma sa che lo fucileremo. Vuole esser fucilato. È una voglia che prende alle volte, agli uomini. E Pelle, cosa farà a quest'ora, Pelle? Kim cammina per un bosco di larici e pensa a Pelle laggiù nella città, con la testa da morto sul berretto, che gira di pattuglia per il coprifuoco. Sarà solo, Pelle, con il suo odio anonimo, sbagliato, solo col suo tradimento che gli rode dentro e lo fa essere ancora più cattivo per giustificarsi. Sparerà raffiche ai gatti, nel coprifuoco, con rabbia, e i borghesi sussulteranno nei letti, svegliandosi agli spari. Kim pensa alla colonna di tedeschi e fascisti che forse stanno già avanzando su per la vallata, verso l'alba che porterà la morte a dilagare su di loro, dalle creste delle montagne. È la colonna dei gesti perduti: ora un soldato svegliandosi a uno scossone del camion pensa: ti amo, Kate. Tra sei, sette ore morirà, lo uccideremo; anche se non avesse pensato: ti amo, Kate, sarebbe stato lo stesso, tutto quello che lui fa e pensa è perduto, cancellato dalla storia. Io invece cammino per un bosco di larici e ogni mio passo è storia; io penso: ti amo, Adriana, e questo è storia, ha grandi conseguenze, io agirò domani in battaglia come un uomo che ha pensato stanotte: « ti amo, Adriana ». Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano. Certo io potrei adesso invece di fantasticare come facevo da bambino, studiare mentalmente i particolari dell'attacco, la disposizione delle armi e delle squadre. Ma mi piace troppo continuare a pensare a quegli uomini, a studiarli, a fare delle scoperte su di loro. Cosa faranno «dopo», per esempio? Riconosceranno nell'Italia del dopoguerra qualcosa fatta da loro? Capiranno il sistema che si dovrà usare allora per continuare la nostra lotta, la lunga lotta sempre diversa del riscatto umano? Lupo Rosso lo capirà, io dico: chissà come farà a metterlo in pratica, lui cosi avventuroso e ingegnoso, senza più possibilità di colpi di mano ed evasioni? Dovrebbero essere tutti come Lupo Rosso. Dovremmo essere tutti come Lupo Rosso. Ci sarà invece chi continuerà col suo furore anonimo, ritornato individualista, e perciò sterile: cadrà nella delinquenza, la grande macchina dai furori perduti, dimenticherà che la storia gli ha camminato al fianco, un giorno, ha respirato attraverso i suoi denti serrati. Gli ex fascisti diranno: i partigiani! Ve lo dicevo io! Io l'ho capito subito! E non avranno capito niente, né prima, né dopo. Kim un giorno sarà sereno. Tutto è ormai chiaro in lui: il Dritto, Pin, i cognati calabresi. Sa come comportarsi con l'uno e con l'altro, senza paura né pietà. Alle volte camminando nella notte le nebbie degli animi gli si condensano intorno, come le nebbie dell'aria, ma lui è un uomo che analizza, « a, bi, ci », dirà ai commissari di distaccamento, è un « bolscevico », un uomo che domina le situazioni. Ti amo, Adriana. La valle è piena di nebbie e Kim cammina su per una costiera sassosa come sulle rive di un lago. I larici escono dalle nuvole come pali per attraccare barche. Kim... Kim... chi è Kim? Il commissario di brigata si sente come l'eroe del romanzo letto nella fanciullezza: Kim, il ragazzo mezzo inglese mezzo indiano che viaggia attraverso l'India col vecchio Lama Rosso, per trovare il fiume della purificazione. Due ore fa parlava con quel barabba del Dritto, con il fratellino della prostituta, ora arriva al distaccamento di Baleno, il migliore della Brigata. C'è la squadra dei russi, con Baleno, ex prigionieri scappati dai lavori di fortificazione del confine. - Chi va là! È la sentinella: un russo. Kim dice il suo nome.
- Portare novità, commissario?
È Aleksjéi, figlio d'un mugik, studente in ingegneria.
- Domani c'è battaglia, Aleksjéi.
- Battaglia? Cento fascisti kaput?
- Non so quanti kaput, Aleksjéi. Non so bene neanche quanti vivi.
- Sali e tabacchi, commissario.
Sali e tabacchi è la frase italiana che ha fatto più impressione su Aleksjéi, la ripete sempre come un intercalare, un augurio.
- Sali e tabacchi, Aleksjéi.
Domani sarà una grande battaglia. Kim è sereno. « A, bi, ci », dirà. Continua a pensare: ti amo, Adriana. Questo, nient'altro che questo, è la storia.
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