Riconoscere le coppie omosessuali
La rivista Aggiornamenti Sociali, diretta da padre Bartolomeo Sorge e redatto da un gruppo di gesuiti e di laici, ha pubblicato sul numero di Giugno in occasione dei 60 anni della Costituzione un interessantissimo lavoro intitolato "Riconoscere le unioni omossessuali?". Il gruppo di studio sulla bioetica che l'ha redatto, partendo dal Magistero della Chiesa e dalla Costituzione della Repubblica, offre una preziosa sintesi che si sforza di non condannare ne' escludere a priori, ma cerca la possibilità di uno "spazio di incontro" tra le diverse posizioni. Nel tentativo di suggerire una via d'uscita dai quei vicoli ciechi che hanno costituito una sconfitta per entrambe le posizioni nel recente dibattito. L'idea di partenza e' che, come mostra la gran parte delle indagini, la persona si scopre nella maggioranza dei casi omosessuale senza volerlo e in modo irreversibile, cosi' che lo spazio lasciato alla libera scelta e' molto ridotto: "il compito dell'etica non sta quindi nell'insistere per modificare questa organizzazione psicosessuale, ma nel favorire per quanto possibile la crescita di relazioni più autentiche nelle condizioni date". Tenendo conto di questo punto di vista, il punto focale della richiesta di un riconoscimento pubblico dell'unione affettiva di due persone dello stesso sesso e' che racchiude in se' la volonta' di un riconoscimento tout court di se stessi, che e' la base di una completa autostima sociale. La lotta per il riconoscimento dei diritti civili e sociali diventa allora "uno sforzo per entrare con il proprio progetto di vita nel ciclo di vita della societa' nel suo insieme, contribuendovi positivamente, in maniera non concorrente, non surrogata della coppia eterosessuale, con una specificita' pero' ancora da focalizzare".
La Chiesa, che finora ha visto spesso come non autentico e disordinato l'amore omosessuale, non ha pero' davvero esplorato tutta la questione, non interrogandosi sulla rilevanza sociale di una coppia stabile nella ricerca del bene comune. Anche il Concilio Vaticano II infatti individua il bene comune come "l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e speditamente" (Gaudium et spes, n.26). E allora chiaro che prendersi cura stabilmente dell'altro, in ogni tipo di relazione, non puo' che essere visto come una forma di realizzazione del soggetto e al tempo stesso come un contributo prezioso alla vita sociale. Pur mantenendo chiare le distinzioni dal matrimonio, ne segue la difficolta' a sostenere che il riconoscimento di alcuni diritti e responsabilita', fondate sulla continuita' e stabilita' di convivenza e di una relazione affettiva, costituirebbe una svalutazione dell'istituto matrimoniale o una modificazione profonda e negativa dell'organizzazione sociale. E certamente si debbono includere tra i rapporti riconosciuti come stabili anche quelli tra persone dello stesso sesso, non perche' ci si basi sulla loro connotazione omosessuale, ma per la loro rilevanza sociale e costituzionale (Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita', e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale). Conclude dunque lo studio:
Il riconoscimento giuridico del legame tra persone dello stesso sesso, quale presa d’atto di relazioni già in essere, trova la sua giustificazione in quanto tale relazione sociale concorre alla costruzione del bene comune. Prendersi cura dell’altro, stabilmente, è forma di realizzazione del soggetto e al tempo stesso contributo alla vita sociale in termini di solidarietà e condivisione. Ed è proprio per questa relazionalità che il legame tra persone dello stesso sesso, così come avviene per altre forme di relazione sociale, può essere garantito, non nella forma di un privilegio concesso in funzione della particolare relazione sessuale, ma nel riconoscimento del valore e del significato comunitario di questa prossimità.
La politica e la norma di legge esauriscono qui il proprio compito, prendendo atto senza ulteriori precisazioni di un legame in essere. Non spetta al legislatore indagare in che modo la relazione viene vissuta sotto altro profilo che non sia quello impegnativo, ma necessariamente generico, dell’assunzione pubblica della cura e della promozione dell’altro e di altri — che assumono tipologie e manifestazioni diverse —, fatto salvo intervenire quando vengano meno il rispetto e la tutela della persona, con danno conseguente. Invaderebbe campi che non le appartengono una scelta politica che volesse stabilire a priori forme accettabili di espressione di quel legame — ad esempio affettiva e sessuale — e in base a esse riconoscere e garantire determinate tutele. Nel riconoscimento dei propri limiti e quindi delle proprie responsabilità la politica e il potere dello Stato mostrano rispetto per le persone e ne riconoscono la priorità.
In questo quadro la scelta di riconoscere il legame tra persone dello stesso sesso appare giustificabile da parte di un politico cattolico. Essa rappresenta un’opzione confacente al bene comune, di promozione di un legame socialmente rilevante, di un punto di equilibrio in un contesto pluralista in cui potersi riconoscere, di risposta praticabile a una esigenza presente nell’attuale contesto storico. E ciò senza mettere in discussione il valore della famiglia, evitando così indebite analogie, abusi e pericolosi scivolamenti verso ulteriori pretese.
Ne consiglio la lettura anche a Binetti e compagnia: un'ottica equilibrata e capace di coniugare, dall'interno della Chiesa, visioni diverse. Di associare alla richiesta di diritti e di riconoscimento i doveri e responsabilita' verso l'altro e verso la societa', insistendo sulla valenza sociale della stabilita' affettiva. Altro che tolleranza discreta e prudente, nel tentativo (vano?) di contenere il fenomeno senza legittimarlo. Buona lettura.