mercoledì 6 febbraio 2008

Yes they can

Dopo il Superbowl, il SuperBigMac, ecco il Super Tusday. Se non e' super, evidentemente agli americani non piace. Non ho ancora capito chi ha vinto e chi ha perso: credo che comunque vada alla fine, le schede a finire di essere contate servano a capire chi sara' il candidato presidente e chi il vice. Barack Obama vince in 13 Stati, Hillary in 8, ma conquista New York, New Jersey e California e ora ha un centinaio di delegati in più. Pero' Obama e il movimento che ha creato attorno a lui sono la' e non potranno piu' essere ignorati, solo traditi. «Change will not come if we wait for some other person or if we wait for some other time. We are the ones we've been waiting for».



Ieri a Chicago, tra cori da stadio e fan in delirio, Obama ha parlato non solo di buona politica, quella che ha a cuore piu' i problemi dei voti, quella che vuole cambiare le cose e non solo andare a Washington. Parla anche di difficolta' e di errori che verranno, inevitabili per cambiare davvero. Parla di un'America che sembrava inguaribilmente reazionaria, conservatrice, arroccata in difesa nel terrore dell'altro e che invece e' in grado di proporre un candidato presidente afroamericano (con background mussulmano) che ha reali possibilita' di vittoria. Parla di un cambiamento e di una svolta davvero possibile.
E dopo aver visto Obama facendo colazione con cereali e retorica stelleestrisce, apro i giornali italiani. I nostri "fintocratici" stanno gia' litigandosi per spartirsi le candidature. Nessuno che parli di primarie, di scelta democratica, di strategia condivisa. No we can't.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sono sempre stato scettico, e lo sono tutt'ora, sulle reali potenzialità della democrazia statunitense, ma loro almeno a livello simbolico (che in politica è cruciale) sono in grado di innovarsi e avanzare. In Italia siamo a zero sia a livello di contenuti che di simboli