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mercoledì 10 febbraio 2010

Hope


Foto scattata da Augusto nella savana presso il villaggio di Bolibalabougou, Keniebaoule, nel Mali sud-occidentale.

venerdì 9 ottobre 2009

Una beffa dopo l'altra


Nonostante gli sforzi, gli inni, e "la tua mano e' qua". Nonostante il "decisivo" intervento tra Russia e Georgia, tra Bush e Putin che ha scongiurato la guerra nucleare, nonostante il trattato con la Libia che ha salvato l'Europa dall'invasione di migranti, nonostante l'autoinvito in occasione dell'accordo Russo-Turco per il gasdotto Southstream, nonostante il grande impulso dato al rispetto e alla parita' fra uomo e donna. Nonostante tutto questo, il Nobel per la Pace e' stato assegnato a quell'abbronzato di Barack Obama, uno che ancora non ha dimostrato nulla, che ruba i discorsi al nostro premier. Compreso quello gia' storico al Cairo che probabilmente gli e' valso il riconoscimento del prestigioso premio svedese dopo aver segnato una svolta nelle relazioni tra Occidente e Islam. Per il povero Silvio, una beffa dopo l'altra in una settimana da dimenticare...

giovedì 16 luglio 2009

La verita' sul G8

(via coartato)

giovedì 4 giugno 2009

A new beginning


"We meet at a time of tension between the United States and Muslims around the world – tension rooted in historical forces that go beyond any current policy debate. The relationship between Islam and the West includes centuries of co-existence and cooperation, but also conflict and religious wars. More recently, tension has been fed by colonialism that denied rights and opportunities to many Muslims, and a Cold War in which Muslim-majority countries were too often treated as proxies without regard to their own aspirations"

Inizia cosi' l'attesissimo discorso di Barack Obama al Cairo (qui il testo completo), che sicuramente segna una svolta nei rapporti fra gli Stati Uniti, e l'Occidente in generale, con i paesi musulmani. Obama ha richiesto che nella sala dell'Universita' del Cairo fossero presenti delegazioni di tutte le correnti dell’Islam, Fratelli Musulmani compresi, e ha parlato direttamente di problemi aperti e spinosi come Israele e Palestina, Iraq, Afghanistan, Iran, democrazia e liberta' religiosa, diritti delle donne. Obama stesso riconosce che il cambiamento non puo' avvenire in una notte, ma certamente potremmo essere di fronte a un nuovo inizio, fondato sul rispetto e sulla ricerca delle basi comuni anziche' delle differenze e delle diffidenze reciproche. Un nuovo inizio che pare promettente come testimonia il nervosismo di chi invece ha fatto della tensione fra i due mondi la sua fortuna...


lunedì 20 aprile 2009

Wind of Change

Barack Obama ha riconosciuto l'importanza di alcune iniziative internazionali promosse da Cuba, come le missioni dei medici nei paesi dell'America Latina: "Sono programmi, ha sottolineato Obama, che possono avere in quei paesi più influenza rispetto al potere militare di Washington". Durante la conferenza stampa conclusiva del vertice delle Americhe, Obama ha anche ricordato come diversi presidenti latinoamericani gli abbiano segnalato proprio l'importanza del lavoro svolto dalle "migliaia di medici cubani" in alcuni stati del continente. Anche per questo Obama ha osservato che da parte di Washington potrebbe essere sbagliato "interagire" con l'America Latina solo sui fronti come "la lotta alla droga o contatti solo militari". In considerazione di ciò - ha detto Obama – "è importante" tener conto, che "per interagire nel continente americano, ma anche in altri luoghi del mondo, dobbiamo riconoscere che quello militare è solo un braccio del nostro potere: dobbiamo utilizzare quindi la nostra diplomazia e gli aiuti per lo sviluppo in modo più intelligente".

giovedì 22 gennaio 2009

E ora?


Intanto e' gia' partito bene. Qua c'e' pure un tool per controllare quanto bene continuera'. A casa nostra invece la domanda fatale vale purtroppo oggi come ogni giorno: al Senato si da il via al si salvi chi puo' su scala regionale, peraltro senza nemmeno avere capito ne' quali sono le regole che si varano, ne' cosa succedera' di preciso (Il ministro Tvemonti sui costi del federalismo fiscale: "Non è per sottrarmi alla domanda ma le variabili che debbono essere conteggiate sono un numero elevatissimo. Abbiamo a che fare con un sistema olistico come il corpo umano"). L'importante e' solo tenere buona la Lega, dell'allegro Titanic che viaggia verso la rovina chissenefrega, "non e' un dramma"! Qua il testo completo del DDL.

Io, nel dubbio, da domani stacco e vado qua, nell'Ombelico del Mondo, a dimenticare tutto per 4 giorni.

martedì 20 gennaio 2009

All this we can do, all this we will do


Oggi e´stato il giorno di chi, per dirla con le parole di Obama nel discorso di insediamento "has chosen hope over fear, unity of purpose over conflict and discord".
Oggi e´stato il giorno di chi ha voluto credere che si potesse cambiare, che si potesse "meet the demands of a new age".
Oggi e´ stato il giorno anche di chi "Obama non potra´ cambiare nulla", di chi "tanto sono tutti uguali", di chi giustamente pensa che su di lui poggiano cosi´ tante speranze, che inevitabilmente molte saranno deluse.
Oggi e´ il giorno di chi e´ sempre stato escluso, discriminato per la sua appartenenza sociale, per le sue convinzioni, per la sua speranza, per il colore della sua pelle. Oggi Obama dimostra a loro e a tutti noi una volta di piu´ che tutto questo non e´ mai stato ne´ inevitabile, ne´ duraturo. Fosse anche solo per questo, oggi sarebbe comunque un grande giorno.

This is the meaning of our liberty and our creed - why men and women and children of every race and every faith can join in celebration across this magnificent mall, and why a man whose father less than sixty years ago might not have been served at a local restaurant can now stand before you to take a most sacred oath


lunedì 17 novembre 2008

Obama o Cuffaro?

Il dubbio e l'effetto Trentino nella nuova puntata di Tolleranza Zoro:

mercoledì 12 novembre 2008

Uno che la sapeva lunga...

... gia' due anni fa:



(via TermometroPolitico). E mentre negli USA anche nelle acconciature e' time for change, in Italia lo stesso Prime Minister accolto con sbadigli da Obama accoglie a Roma il presidente brasiliano Lula. E lo fa trasformando come suo solito un incontro ufficiale in un circo. Lula è stato prima calorosamente accolto dalla ministro Carfagna, e oggi per festeggiare con una sorpresa anche dai giocatori brasiliani del Milan. Anche Chavez fu accolto qualche mese fa da quella grande statista della sua connazionale Aida Yespica. Sembra proprio che la cosa più importante che l'Italia possa offrire ai vari presidenti mondiali che si trovano a passare per il nostro paese siano zoccole, cubiste e calciatori. O forse questi sono gli unici argomenti che il buon Silvio riesce a reggere senza sfigurare, da vero italiano medio: sensazione confermata dal suo bla bla sulla crisi al termine dell'incontro. Interessante la foto, in cui uno stranito Lula e' praticamente l'unico a non essere un dipendente del capo del governo.

giovedì 6 novembre 2008

La speranza e il sifone


"Il mondo cambia" recita il cartellone del PD ripreso oggi anche sull prima pagina del Wall Street Journal. Peccato che se e' vero che da un paio di giorni il mondo gia' cambia, da noi non cambia niente. forse, come diceva Michele Serra oggi, "non è per contraddire Barack Obama, ma “il Paese dove tutto è possibile” non sono gli USA. È l’Italia". E infatti arriva puntuale la gaffe di Berlusconi sul colore della pelle di Obama. Mentre cercava disperatamente una scala per salire sul carro del vincitore, entra nel guinnes come il primo a scivolare sul colore della pelle del nuovo presidente americano. Stavamo tutti contando solo le ore: da notare che Repubblica, che conosce i suoi polli, titola "prima gaffe". Attendiamo con ansia il seguito, compresa la smentita che arrivera' puntuale domani.
Anche perche' abbiamo bisogno di carinerie per risollevarci il morale, visto che mentre in America si godono Obama (qui un bellissimo fotoromanzo della campagna), noi ci dobbiamo accontentare del "sifone con gli occhiali da stronza".

mercoledì 5 novembre 2008

Ed ora anche il Papa



Grazie a Francesco...

Time for Change


And to all those who have wondered if America's beacon still burns as bright: Tonight we proved once more that the true strength of our nation comes not from the might of our arms or the scale of our wealth, but from the enduring power of our ideals: democracy, liberty, opportunity and unyielding hope

Una notte grande, per l'America e per il mondo. Il primo presidente afroamericano, figlio di un migrante dalla pelle nera, a testimoniare che i muri della discriminazione e del pregiudizio possono essere abbattuti. La sconfitta del neoconservatorismo, che fino a pochi mesi fa si sentiva investito dall'alto per guidare il mondo a colpi di liberismo selvaggio, sfruttamento, discriminazioni e sfruttamento indiscriminato delle limitate risorse del pianeta. Da stanotte e' tempo di cambiare (change), di vedere di nuovo prevalere la speranza (hope) alla paura. Anche se la presidenza di Obama non sara' all'altezza delle speranze e delle attese dei suoi sostenitori in America e nel mondo, la discontinuita' col passato e' gia' cosi' grande che la sua presidenza e' gia' nella storia come un punto di svolta epocale. Mentre dallo schermo della CNN stamattina all'alba passavano immagini di folle in delirio a festeggiare come da noi solo per uno scudetto, mentre gli sconfitti dicevano "fino a ieri era il mio avversario, da oggi il mio presidente" invece di gridare ai brogli, l'Italia sembrava davvero lontana. Il discorso di Obama a Chicago dopo l'annuncio della vittoria.




This is your victory. And I know you didn't do this just to win an election. And I know you didn't do it for me. You did it because you understand the enormity of the task that lies ahead. For even as we celebrate tonight, we know the challenges that tomorrow will bring are the greatest of our lifetime - two wars, a planet in peril, the worst financial crisis in a century. Even as we stand here tonight, we know there are brave Americans waking up in the deserts of Iraq and the mountains of Afghanistan to risk their lives for us. There are mothers and fathers who will lie awake after the children fall asleep and wonder how they'll make the mortgage or pay their doctors' bills or save enough for their child's college education. There's new energy to harness, new jobs to be created, new schools to build, and threats to meet, alliances to repair. The road ahead will be long. Our climb will be steep. We may not get there in one year or even in one term. But, America, I have never been more hopeful than I am tonight that we will get there. I promise you, we as a people will get there.

domenica 2 novembre 2008

Se vince Obama


Riporto l'articolo di Raniero La Valle scritto per la rubrica «Resistenza e pace» del n.18 del quindicinale di Assisi, Rocca

Se vince Obama, si accende una stella. Infatti vuol dire che le cose possono cambiare e che a vincere non è sempre l'uomo bianco, neanche in America. Se Obama vince, non è perché ha dalla sua il passato, come McCain ha quello di "eroe" per aver combattuto nella guerra persa del Vietnam; non è perché l'uragano che le sette cristiane avevano invocato contro di lui si è abbattuto invece sulla convenzione repubblicana (ma Dio non era nel vento); non è perché a un certo punto per avere i voti della classe media e della comunità ebraica americana ha dato una sterzata a destra alla sua campagna elettorale e a Gerusalemme ha promesso a Israele ciò che non poteva promettere; se Obama vince è perché una fase si è chiusa e la nuova fase non si può affrontare con le idee e con le armi di prima. La crisi del Caucaso, più ancora che le sconfitte in Iraq e in Afghanistan, ha mostrato l'esaurimento della orgogliosa pretesa della neo-destra americana di fare suo il mondo dopo la rimozione del muro di Berlino. In effetti qui le condizioni erano le più favorevoli per gli Stati Uniti: la Georgia, uscita dall'URSS e ormai entrata nella sfera americana, e anzi ansiosa di entrare nella NATO; l'egemonia atlantica ormai imperante in tutta l'area est-europea di antica obbedienza sovietica; la Polonia pronta ad accogliere lo scudo spaziale e ogni altra arma "difensiva" antirussa; la Russia ormai ufficialmente declassata, dagli analisti americani, a potenza "regionale". E se gli Stati Uniti avevano fatto una guerra per il Kosovo, ben poteva la Georgia fare una guerra per l'Ossezia. Ma è bastato che la Russia dicesse di no, che rivendicasse il mandato dell'ONU come legittimazione della sua presenza militare nell'Ossezia del Sud, e che muovesse le sue forze armate, ed ecco che tutto l'Occidente, in preda alla massima confusione, non ha potuto accusare la Russia che di «una reazione sproporzionata», ancorché legittima; e la Georgia ha perso, e l'America con lei. La lezione è che la forza non basta più, che nuovi equilibri si vanno creando, e che nessuno può fare quello che vuole. L'era di Bush finisce con la sua «strategia della sicurezza nazionale americana», la quale consisteva nel fatto che gli Stati Uniti controllassero il mondo intero, e che mai alcun'altra potenza potesse non solo superare, ma neanche eguagliare la potenza americana; l'equazione era che la sicurezza degli Stati Uniti stava nella insicurezza degli altri, e nell'impedire che qualsiasi nuova forma di equilibrio potesse crearsi dopo quello tramontato dei due blocchi. Questo sogno, concepito dopo la scudisciata delle Torri Gemelle, è svanito. Ma ciò si accompagna alla caduta di un altro sogno coltivato a partire dall'89 dalle potenze vincitrici della guerra fredda: e cioè che la globalizzazione, come realizzazione del capitalismo puro, sarebbe stata la forma definitiva del mondo, ormai pacificato sotto la dittatura universale del danaro. I costi umani, politici, economici e sociali di questo assetto finale della storia erano considerati danni collaterali, e in sé trascurabili, purché non arrivassero alle prime pagine. Anche questa costruzione è franata; ma non perché ci sia stata una rivincita degli sconfitti, ma perché questo sistema non è atto a reggere la terra, e la terra esplode sotto le sue mani. Non è solo "il dio mercato" che produce danni irreparabili, come ormai ammette anche Tremonti, improbabile neofita della lotta contro un "fanatico" liberismo economico; ma è tutto il sistema della appropriazione, della produzione, del consumo e della trasformazione che è giunto a sbattere contro un muro invalicabile, che è quello dei limiti di un mondo finito e di una creatura che crea ma nei gemiti di una realtà essa stessa creata. Per rendersi conto della gravità della crisi sistemica che si è prodotta e della portata dei "mali del mondo" basta leggere un agile libro appena uscito di una ambientalista di fama, Carla Ravaioli, dal titolo «Ambiente pace, una sola rivoluzione» (edizioni Punto Rosso, 12 euro). Si può discutere la proposta di cominciare un rientro nei limiti, col disarmo dell'intera Unione europea, ma tutta l'analisi è ineccepibile e altrettanto la tesi dell'urgenza di una drastica inversione di tendenza; altrimenti il sistema per la sua stessa logica sarebbe tentato di salvarsi giocando l'ultima carta delle disuguaglianze, dell'esclusione e della guerra. Questa riforma non può farsi per via politica senza una profonda revisione delle culture che hanno presidiato fin qui lo sviluppo del mondo. Se vince Obama un mutamento politico e culturale potrebbe cominciare in America; e allora toccherebbe a noi, forze umane e progressiste di ogni Paese, fare da sponda a questa possibile rivoluzione americana. Perché se cambia la politica dell'America, cambia il mondo.

venerdì 29 agosto 2008

More than a ten percent chance on change

With profound gratitude and great humility, I accept your nomination for the presidency of the United States



Ieri a Denver, nello stesso giorno in cui 45 anni fa Martin Luther King di fronte a Lincoln Memorial spiegava il suo sogno di uguali opportunità fra bianchi e neri, Barack Obama ha accettato la candidatura per i Democrats a presidente degli Stati Uniti. L'ha accettata parlando della sua idea per una nuova America, sfidando frontalmente il suo avversario, lobbisti e poteri forti, dimostrando di essere in grado di trasformare la voglia di cambiamento che e' riuscito a catalizzare in un insieme di politiche concrete, capaci di risollevare il paese dalla sue contraddizioni, dalla sua crisi economica e di immagine. Qui il testo completo (sempre in inglese).

You understand that in this election, the greatest risk we can take is to try the same old politics with the same old players and expect a different result [...]
For over two decades, John McCain has subscribed to that old, discredited Republican philosophy - give more and more to those with the most and hope that prosperity trickles down to everyone else. In Washington, they call this the Ownership Society, but what it really means is - you're on your own. Out of work? Tough luck. No health care? The market will fix it. Born into poverty? Pull yourself up by your own bootstraps - even if you don't have boots. You're on your own.
Well it's time for them to own their failure. It's time for us to change America [...]


"Capite che il maggiore rischio che possiamo prenderci in queste elezioni e' tentare le stesse vecchie politiche con gli stessi vecchi protagonisti e aspettarci un risultato diverso". Chissa' se Veltroni, Fassino, Ruttelli e il resto dei dinosauri del PD sconfitto pochi mesi fa che lo ascoltavano a Denver hanno preso qualche appunto...

mercoledì 4 giugno 2008

Powered by hope


Ci siamo, Barack Obama sara' il candidato democratico alle presidenziali USA. L'unico dubbio che rimane e' se Hillary fara' 'sto benedetto ticket. Il risultato e' storico, ma a dire il vero lo era gia'. Una donna e un afroamericano che si sfidavano. Il tutto a soli 50 anni dalle lotte nere per i diritti piu' elementari, come sedersi sugli autobus.

America, questo è il nostro momento. E' la nostra ora. E' il nostro momento di girare pagina sulle scelte del passato. La nostra ora di portare nuove energie e nuove idee per affrontare le sfide che ci stanno di fronte. Il nostro momento di offrire una nuova direzione al paese che amiamo

Cosi' ieri Barack commentava la vittoria nelle primarie. Vittoria, come dice il suo sito, "Powered by Hope". Quella stessa speranza che nelle elezioni italiane e' stata drammaticamente surclassata dalla paura, con tutte le conseguenze che oggi viviamo. Andrea Mollica segnala un interessante sondaggio del Daily Telegraph sui risultati dei candidati delle prossime presidenziali USA nei più grossi Paesi europei (!!). In Italia, un paese che ormai reputiamo irrimediabilmente di destra, il 70% degli intervistati avrebbe votato Obama, una percentuale piu' alta che nel resto d'Europa. Per il Telegraph, "in the Italian election in April, Walter Veltroni, the leader of the Italian Democratic Party, tried to capitalise on the popular support for Mr Obama. Not only did he refer to himself as an "Italian Obama" throughout the campaign, he even appropriated his "Yes We Can" slogan and translated it into Italian "Si puo fare!" Sadly, the tactic only served to highlight the differences between the two". Gli italiani vedono Obama infatti not only as stylish and sharply dressed, but, as one commentator put it: "he is the sense of change incarnate". An astonishing 70 per cent of respondents supported him in the Telegraph poll. Italians yearn for a similar political change – their politicians remain in the system for decade after decade". Forse dopo la batosta del "Si puo' fare" potremmo incominciare a capire dove abbiamo sbagliato con quel 40% che voterebbe Obama ma non Walter, invece di rassegnarci a un'Italia di destra in cui possiamo vincere solo per sbaglio.

mercoledì 6 febbraio 2008

Yes they can

Dopo il Superbowl, il SuperBigMac, ecco il Super Tusday. Se non e' super, evidentemente agli americani non piace. Non ho ancora capito chi ha vinto e chi ha perso: credo che comunque vada alla fine, le schede a finire di essere contate servano a capire chi sara' il candidato presidente e chi il vice. Barack Obama vince in 13 Stati, Hillary in 8, ma conquista New York, New Jersey e California e ora ha un centinaio di delegati in più. Pero' Obama e il movimento che ha creato attorno a lui sono la' e non potranno piu' essere ignorati, solo traditi. «Change will not come if we wait for some other person or if we wait for some other time. We are the ones we've been waiting for».



Ieri a Chicago, tra cori da stadio e fan in delirio, Obama ha parlato non solo di buona politica, quella che ha a cuore piu' i problemi dei voti, quella che vuole cambiare le cose e non solo andare a Washington. Parla anche di difficolta' e di errori che verranno, inevitabili per cambiare davvero. Parla di un'America che sembrava inguaribilmente reazionaria, conservatrice, arroccata in difesa nel terrore dell'altro e che invece e' in grado di proporre un candidato presidente afroamericano (con background mussulmano) che ha reali possibilita' di vittoria. Parla di un cambiamento e di una svolta davvero possibile.
E dopo aver visto Obama facendo colazione con cereali e retorica stelleestrisce, apro i giornali italiani. I nostri "fintocratici" stanno gia' litigandosi per spartirsi le candidature. Nessuno che parli di primarie, di scelta democratica, di strategia condivisa. No we can't.