Firenze: c'e' molto da fare
Di seguito il testo dell'intervento di Lapo Pistelli al Puccini del 3 Ottobre per presentare la sua candidatura per le primarie del PD a sindaco di Firenze. Qua invece l'audio del microfono aperto a Controradio di Lapo del 6 Ottobre.
Grazie a tutti, grazie di essere qui in così tanti. Ho parlato centinaia di volte in pubblico ma vi confesso che sono terribilmente emozionato, un po’ come se fosse la prima volta. Il cuore, se lo poteste sentire, sta battendo al ritmo dei Ramones. Credo che capirete che ci sono discorsi e discorsi, momenti in cui è come rimettere in gioco l’intero percorso di una vita. E questo è uno di quei momenti. Ringrazio… poi mi fermo perché salterei troppe persone e perché, al di là delle responsabilità che ciascuno di voi ha, stasera vedo innanzitutto tante belle persone con le quali semplicemente condivido la passione civile.
Quello che stiamo iniziando, ciascuno con il suo ruolo e le sue convinzioni, con il proprio carattere e le proprie competenze, è un lungo e - spero appassionante - cammino. E l’oggetto di questa passione è il destino della nostra città. Gli scrittori hanno una invidiabile capacità di guardare oltre. Italo Calvino ha scritto che “le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, dei segni di un linguaggio. Le città sono luoghi di scambio, ma questi scambi non riguardano solo le merci, ma i ricordi, le parole e i desideri”. E’ la prima forte impressione che provo da quando, l’11 settembre – data lo giuro capitata casualmente – ho schiacciato un tasto invio per comunicare la mia scelta, e da quando il giorno dopo ho ricevuto una quantità che non pensavo di messaggi di ogni genere. Da quel giorno le persone qui a Firenze mi fermano e non mi chiedono più che succede a Roma o nel mondo, ma mi domandano qualcosa sul futuro di Firenze, mi propongono idee, si lamentano talvolta, anzi spesso, ma sono convinto che il più delle volte la nostra vis polemica nasconde un forte desiderio di migliorare davvero, vuole solo dare una scossa al sistema nervoso.
Le città hanno una loro vita interiore, una missione, un’immagine agli occhi del mondo. Giorgio La Pira parlava di un compito, perché diceva “senza compiti una città muore”. Sempre Calvino, in quel grande libro che è “Le città invisibili” scriveva: “di una città non godi le sette o settemila meraviglie ma la risposta che dà ad una tua domanda”. Per questo, nei mesi scorsi, prima di stasera mi sono chiesto “Quale compito ha Firenze ? Quale domanda cerchiamo ?” E’ una risposta non facile, anche perché cambiano i compiti delle città e cambiano le società.
Negli ultimi 15 anni il 40% della popolazione mondiale è entrata nella sfera dei consumi e della competizione per il potere. Come si può pensare che le cose possano essere uguali a prima ? Il nostro tempo è per eccellenza il tempo dell’interdipendenza, della tecnologia e della scienza, della mondializzazione dei mercati e delle crisi finanziarie e delle migrazioni. Un tempo di grandi opportunità che non coinvolge tutti allo stesso modo: ci sono diritti negati e risorse usate in modo distorto. Ogni giorno non mancano gli esempi su giornali e tv. Le città del mondo sono il ritratto più vicino e immediato di tutto questo: un palcoscenico di vita reale in cui i grande mutamenti globali di cui leggiamo diventano storie di persone vere.
Nei giorni scorsi ho pensato molto se questo potesse essere il mio modo stasera per raccontare una idea di città, la mia idea di città, quella di considerare la città come il volto della biografia di una nazione. Limitandomi ovviamente alla storia della mia generazione e a quella della Firenze repubblicana. E’ la ragione per cui stamani sono andato a fare omaggio alla tomba di tre grandi personalità: Gaetano Pieraccini, Mario Fabiani e Giorgio La Pira, tre grandi sindaci e tre simboli delle grandi radici popolari che hanno dato vita al Partito Democratico. Iniziamo da Firenze città medaglia d’oro della resistenza al nazifascismo. La città che si liberò da sola, quella di Pieraccini ed Enriquez Agnoletti, di Ragghianti, di Calamandrei, quella che fece scrivere in quei giorni al Times “Firenze è stata il teatro di un esperimento spontaneo di autogoverno che può avere importanza considerevole per comprendere quale sarà il sistema politico che prenderà il posto del fascismo”. Sono stati gli anni durissimi e belli della ricostruzione, della vita dopo la guerra con il sindaco Fabiani. Poi ci sono stati gli anni straordinari di Giorgio La Pira, di Firenze che si riapriva al mondo, di Firenze città sul monte impegnata a dialogare di pace fra est e ovest e nord e sud, di una città concreta nell’offrire case, scuole e lavoro nel tempo della crescita, dell’Italia del boom economico. Era la Firenze del primo centrosinistra in Italia. Venne l’alluvione e l’abbraccio commosso del mondo – pensate a Ted Kennedy – e arrivarono in gran numero gli angeli del fango (e – guarda i casi della vita - fra quegli angeli c’era anche il nuovo arcivescovo di Firenze, mons.Betori). Ma furono soprattutto i fiorentini, caparbi e orgogliosi, a rimboccarsi le maniche e a ricominciare. Arriviamo poi agli anni 70, un po’ più vicini a noi: il ritorno della sinistra al governo di Firenze, la nascita degli assessorati alla cultura, gli anni delle grandi mostre di Henry Moore o di Paul Klee. Poi gli anni 80, l’inizio della riflessione sulla necessità di dar vita alla seconda modernizzazione. Guardate: Firenze sembra sempre immobile ma nelle indagini demoscopiche, invece, gli anziani si dimostrano assolutamente consapevoli delle grandi trasformazioni avvenute. Che sono state tante se vedete le immagini alle mie spalle.
Ho descritto in un attimo le stagioni italiane passare sul volto della nostra città. Per chiudere la cerniera fra passato e presente, mi sentirei di dire che il cambiamento, la modernizzazione sono stati la cifra di questi ultimi 14 anni. Ma il cambiamento per definizione non si ferma, è il tratto del riformismo. Ed ogni governo consolida i cambiamenti precedenti e ne avvia di nuovi. Il rapporto fra continuità e discontinuità che tanto angoscia chi analizza la fine di un ciclo e l’inizio di un altro se ci pensiamo bene è tutto qui. Le idee sul futuro di Firenze di cui invece vorrei parlarvi sono debitrici di due premesse. Innanzitutto ogni idea si riconosce con convinzione nel cammino che la città ha fatto in questi anni, specie sotto la guida di Mario Primicerio, che saluto e ringrazio per il sostegno, e di Leonardo Domenici. In politica non si parte mai da zero. Chi passa il testimone trasmette l’energia e l’esperienza per andare avanti. Inoltre, ciò che dirò non è, e non avrebbe senso se fosse, una riflessione solitaria ma sta dentro quel lavoro di ascolto e di elaborazione che il PD e i forum hanno attivato negli ultimi mesi. Sinceramente: io non credo che sia un’idea moderna pensare che il Partito Democratico è una etichetta che ci si mette addosso in franchising per poi vendere alla propria maniera ciò che si vuole. Il PD anzi nasce per essere un grande progetto di passione e di intelligenza collettiva. E se anche i sondaggi dicono che l’uomo solo al comando, l’uomo che non deve chiedere mai, in fondo piace, io penso che serve la democrazia per fare i sondaggi ma non bastano i sondaggi per fare una buona democrazia. Per tutte queste ragioni, per le decine di incontri che ho fatto ascoltando, studiando, sollecitando, avverto il dovere di dire con chiarezza con quale metodo affrontare il lavoro che ci attende. Prendo a prestito le parole e il consiglio di un uomo saggio, per niente giovane, quasi 100 anni, come Vittorio Foa: “Per governare bene è prioritario non già avere pronte delle risposte giuste, ma delle buone domande, per dare risposta alle quali sarà necessaria la cooperazione di tanti”. Questo è il primo nodo di metodo da condividere a Firenze: nessun incredibile Hulk – amici - nessun Mago Zurlì; Firenze si rilancia solo grazie ai fiorentini, a tutti i fiorentini. Ho scritto sull’invito “C’è molto da fare”. Le locandine dei giornali delle ultime due settimane che vedete qui dietro sono un semplice esempio dei problemi che una città affronta. Di quelli che sono diretta competenza dell’amministrazione, di quelli che le vengono comunque addebitati anche se chiamano in gioco altri, di quelli che capitano perché una città è un organismo che vive e che dunque ogni tanto si ammala pure. Stasera vorrei dedicare buona parte dell’intervento di al “cosa” fare e al “come” farlo. Troppo spesso la competizione politica è limitata al “chi” lo fa, allo scontro tra persone; e questo non mi sembra serio e non piace ai cittadini.
C’è molto da fare. Tre precauzioni per l’uso. Firenze non può risolvere molti suoi problemi senza la Toscana ma la nostra regione non cresce senza Firenze. Firenze dovrebbe avere il ruolo che i cinesi attribuiscono a Shangai – la testa del drago: il luogo che anticipa e guida il cambiamento e che porta con sé il resto del corpo. Ancora, Firenze deve affrontare i suoi problemi nella scala dell’area metropolitana, sia quella della Toscana Centrale, Firenze-Prato-Pistoia sia quella più vicina assieme ai comuni accanto. E in attesa che Maroni definisca questa roba con una nuova legge sarebbe tempo di anticipare politicamente questa dimensione. Il fatto che dalla Regione al Quartiere sia omogenea il tipo di maggioranza che governa deve responsabilizzarci di più, deve farci lavorare più in fretta e più in squadra. Firenze infine deve affrontare i suoi problemi facendo perno anche sul decentramento ai quartieri. Guardate, leggo tanta demagogia sui quartieri, ma il giudizio dei cittadini sui servizi, sulle manutenzioni, sul verde, passa più attraverso le circoscrizioni e il lavoro intenso e umile dei consiglieri di quartiere che dal profilo di chi sta in cima alla piramide.
Abbiamo detto che le città anticipano e vivono i problemi del mondo. E nelle città si cercano e si mettono in pratica le soluzioni. Il primo dei nostri obiettivi è allora l’adeguamento infrastrutturale. La modernizzazione ancora incompiuta è la prima sfida della città. Perciò parto da qui per ribadire alcuni concetti chiave che spero caratterizzeranno tutti i candidati. C’è una città, grande per i fiorentini e per il mondo ma media nelle sue dimensioni reali, sovraccaricata, densa; c’è una piana destinata ad ospitare delle funzioni strategiche; ci sono molti cantieri da finire, altri da iniziare, alcuni ancora da localizzare. Va costruito il termovalorizzatore, che nonostante alcuni ripetuti annunci, non è proprio una cosa già fatta. Va realizzata la bretella Signa Prato. Va messo in sicurezza l’aeroporto con uno sviluppo della pista che non faccia finire a Bologna in caso di nebbia, che restituisca tranquillità agli abitanti di Peretola, e con un’aerostazione più grande e confortevole per fare attendere i propri amici e per accogliere bene chi arriva. C’è il nodo dell’alta velocità. Non dobbiamo essere noi a fornire alibi per ritardare la scelta sul tipo di passaggio da Firenze. Se domani le Ferrovie dicessero in modo netto che non esistono più risorse per il sottoattraversamento e che la scelta è irrevocabile, la Tav si deve fermare a Castello. Ma se le Ferrovie non hanno questo problema, e avendo loro già realizzato molte opere accessorie (il raddoppio del sottopasso a Belfiore, il trasferimento della Centrale del Latte, le barriere antirumore, la messa in sicurezza del Mugnone) il sottoattraversamento è una occasione unica per liberare spazi in superficie da dedicare al trasporto ferroviario urbano e per dare alla città uno straordinario segno moderno con la stazione di Foster nell’area di Viale Belfiore davanti all’albergo disegnato da Nouvel che sta crescendo davanti. E’ sotto questo segno di pragmatismo e di senso del tempo che la prossima amministrazione dovrà valutare rapidamente la proposta dei Della Valle per Castello: non solo uno stadio, ricordiamolo, che rappresenta solo il 20% del progetto, ma uno stadio più una nuova downtown commerciale, più tre alberghi, più un parco tematico, più un museo per finanziare la Fiorentina e il nuovo impianto. Una proposta molto impegnativa, che ci consentirebbe una meravigliosa rivoluzione dolce a Campo di Marte ricompensando chi vi abita e realizzando una grande cittadella pedonale dello sport per tutti. Quella dei Della Valle è una offerta di matrimonio che riguarda l’ultima area disponibile della città. Noi vogliamo tenere loro e tutti gli imprenditori che hanno idee e capitali a Firenze. Velocità dunque ma io dico anche un serio negoziato che metta assieme non solo i desideri dei tifosi di oggi ma i bisogni più generali delle generazioni di domani.
Quando ci sono lavori in casa, ciascuno di noi vuole sapere quando potrà sedersi sul divano a guardare la tv o invitare ospiti a cena. E’ il tema dei cantieri. Ed oggi è una serata molto speciale per parlare dei cantieri. Penso ai morti di ieri, agli operai caduti in Mugello e alle porte di Firenze. Incidenti molti particolari; non a caso è stata aperta subito un’indagine, ma incidenti che ci sollecitano a riflettere sugli ammonimenti che tante volte ha lanciato il presidente Napolitano su questa strage continua e silenziosa, sugli orari e sui carichi di lavoro, sulle condizioni di certi subappalti anche nelle grandi aziende. Vi chiederei perciò di dedicare un minuto di raccoglimento a queste povere vittime. Sui nostri cantieri fiorentini, con molta semplicità: lavoreremo perché i prossimi siano meno ingombranti, puntuali, possibilmente puliti e soprattutto affollati, fin dal primo mattino, di gente che vi lavora rispettando le condizioni di sicurezza. Lo dico perché sarebbe segno di buona amministrazione ma anche perché spesso ho l’impressione che la discussione sulla polvere dei cantieri abbia coperto il disegno generale. E invece tutti questi cantieri esistono perché tutti sappiamo che la questione della mobilità e del traffico è oramai una grande questione del mondo sviluppato. Firenze - 200.000 auto e 62.000 moto per 360.000 residenti – Firenze dovrà essere sempre più un vero e proprio laboratorio per le politiche della mobilità. Io voglio dire con molta chiarezza che lavoreremo per un sistema della mobilità che integri treni metropolitani, tramvia, parcheggi, che integri i nodi ma anche le tariffe e i biglietti. Il sistema funziona se sta in piedi tutto intero, se non ci sono ripensamenti. Ma con altrettanta chiarezza voglio dire che man mano che sarà disponibile un sistema di mobilità pubblica intermodale di decente efficacia, esso dovrà essere accompagnato da restrizioni della mobilità individuale privata su gomma (che oggi è il 75% dell’intera mobilità) e dalla creazione di isole pedonali e dalla promozione della mobilità ciclabile. Guardate: una città con 200.000 auto e 80.000 posti parcheggio pubblici è un luogo dove se tutti si fermassero assieme non ci sarebbe spazio sufficiente e infatti ci si arrangia come si può. E’ un nodo fondamentale per me legato alla qualità urbana, alla qualità del lavoro, alla modifica necessaria di abitudini di vita incompatibili altrimenti con la vita degli altri. Ma è pure fattore di sviluppo se è vero che il risparmio del 10% del tempo nel trasporto delle cose e delle persone porterebbe al 1% di incremento di Pil. Se ci pensate bene, il tema della qualità e dell’ambiente è la seconda grande sfida che ci viene dal mondo di oggi. Una sfida che non si vince evocando solo un governo globale o virtuosi comportamenti individuali. Le città sono un pezzo della risposta.
Ho l’ambizione di restituire l’Arno ai fiorentini; lo considero il più grande e suggestivo e coinvolgente spazio pubblico della città; vorrei moltiplicarne gli accessi, incrementarne la navigabilità, recuperare le sponde per pezzi di parco fluviale. In una battuta: più parco, più spiagge e meno toponi. Ho l’obiettivo di eliminare in 5 anni i cassonetti dalla città storica interna ai viali, sostituendoli in parte con le isole interrate che vedremo presto in Piazza Santa Maria Novella, in parte con la raccolta porta a porta, in parte incrementando la raccolta differenziata che già ci vede fra le città di punta in questo sforzo. Vorrei introdurre l’obbligo di installare impianti fotovoltaici e di solare termico nei progetti pubblici di proprietà comunale e di incentivare analogo comportamento nei privati con il prossimo regolamento edilizio. Per un verso queste cose ci permetterebbero ad esempio di stare nel circuito delle città dell’Alleanza per il Clima. E poi una città attrezzata ed ecologicamente all’avanguardia è un ambiente propizio anche allo sviluppo di qualità; ciò che serve a Firenze. Guardate. Le città sono da anni il principale motore di sviluppo della nostra economia. Spesso esse crescono ad un tasso maggiore del resto della economia nazionale. L’area metropolitana fiorentina è un’area forte: assorbe il 40% della popolazione toscana, produce il 51% del Pil regionale, il 47% del settore manifatturiero, il 49% dell’export. In generale la nostra area, l’Italia centrale, ha un Pil procapite superiore a quello di Paesi come Svezia, Germania e Francia, anche se il periodo che stiamo affrontando non è semplice: pensate al periodo di recessione e all’inflazione che viaggia al 3,6%.
Vorrei dire poche cose sullo sviluppo dell’economia fiorentina. In parte, attrezzare un territorio in modo adeguato sul piano delle infrastrutture materiali è un pezzo della risposta che un’amministrazione può fornire. Un altro pezzo viene dalla rapidità e dall’efficienza degli uffici pubblici: molto dipende generalmente da norme di carattere nazionale, ma senza essere facilmente demagogici io sarei contento se un professionista, un imprenditore piccolo o grande trovasse, al di là delle norme, una pubblica amministrazione che lo aiuta, lo facilita, lo guida, gli dà tempi certi ed esiti prevedibili. Insomma che non si entri in un ufficio con un problema e se ne esca con 5. Un terzo elemento viene dal nostro sistema universitario e dal nostro sistema di formazione che io vorrei protagonista del nostro sviluppo: trasferimento tecnologico alle imprese e incubatori di nuovi imprenditori nei settori di eccellenza del nostro territorio. E guardate dico questo perché la nostra città ha un tessuto produttivo più diversificato dei luoghi comuni che la accompagnano. Non c’è solo turismo e commercio ma industria tecnologicamente avanzata (pensate all’exploit del Pignone), terziario e artigianato di alta qualità. Quanto al turismo, tutti noi sappiamo che anche l’offerta di servizi, in una città speciale come questa, deve stare al passo con il mercato, innovarsi, guadagnare turismo lungo e di qualità rispetto all’effetto Disneyland, combinare arte e artigianato, - fatemi dire - portare i visitatori di Firenze agli spettacoli del nostro rinomato Teatro Comunale con lo stesso automatismo con cui chi vende Londra vende il musical e chi vende San Pietroburgo vende assieme la serata al balletto. E dato che il tema suscita discussioni animate, vorrei dire chiaramente come la penso sulla cosiddetta “tassa di scopo”. Io dico: discutiamo la forma e l’eventuale progressività, ma se il turismo-risorsa è anche un movimento che consuma un bene deperibile come la città (pensate perfino alle pressioni sul marmo del David o ai cestini del centro svuotati più volte all’ora) e i servizi a 10 milioni di presenze devono essere sopportati e pagati dai soli 350.000 residenti, io ritengo ragionevole un prelievo aggiuntivo sul consumo turistico, come accade davvero in molte parti del mondo, che crei un fondo da reinvestire in servizi al turismo e che non gravi sulla fiscalità generale. Discutiamo le modalità ma non perdiamo per strada l’obiettivo. Che è un obiettivo equo e riconcilia l’altro pezzo di città con il turismo.
Fra turismo e rendita una considerazione sulla questione casa: a Firenze in pochi anni si sono aperte circa 60 crisi aziendali mentre il valore dei terreni edificabili saliva nello stesso periodo del 400%. Io credo che noi abbiamo un dovere: dobbiamo riportare la residenza in città; Firenze ha perso 100.000 abitanti in 15 anni, in misura maggiore i giovani che vanno altrove. Vorrei mostrarvi la quantità di volumi appartenenti al demanio militare, edifici ex Enel, ex Telecom, ex Ferrovie, ex destinazione sanitaria, ex scuole, ex uffici pubblici che ci sono in città. La somma di tutta questa roba, ovviamente con uno status urbanistico diverso, fa 680.000 mq di superficie utile, rozzamente l’equivalente di un’area di Castello, ma in città. E’ possibile usarne una parte per rispondere a questo bisogno, per dare una risposta di casa sociale, per ringiovanire la popolazione, per fare interventi architettonici migliorativi e significativi, per calmierare il mercato ? C’è molto da fare.
Il mondo di oggi ci lancia anche altre sfide, ad esempio una demografia drasticamente cambiata. Il mondo ci entra in casa, ha un colore della pelle diverso, prega in modo diverso, parla una lingua diversa, si alimenta in modo diverso. E’ bello pensare che è una ricchezza, ma sappiamo che non sempre questa è la prima reazione. Il rischio della perdita del senso di comunità non è una questione astratta. E’ un problema assai concreto che prima o poi, chi più chi meno, riguarda tutti noi. Sapere includere ogni cittadino non è una cosa semplice, ma io credo fortemente al principio che non c’è sviluppo economico senza qualità sociale, che una città non cresce davvero se di essa cresce solo una parte o solo un settore. Firenze cresce se cresce tutta Firenze, il centro e le sue periferie, il settore più dinamico e l’ultimo dei suoi abitanti. In una colonna di persone in marcia, conta molto la velocità del passo di chi sta in testa, ma conta anche la distanza fra il primo e l’ultimo di quel gruppo. Sviluppo e coesione. Fatemi raccontare una storia, apparentemente una divagazione. Se pensiamo alla storia delle città, sappiamo che quasi tutte si sono circondate di mura per difendersi le une dalle altre. Nello stesso tempo, all’interno delle mura si garantiva la libertà: quella di commercio con i mercati, quella del sapere con la nascita delle Università, o quella della cultura, con le Accademie. E’ anche la storia di Firenze. Dopo secoli di lotte, quelle mura sono cadute. Da noi fisicamente, alla fine dell’800. Da altre parti simbolicamente, ed oggi quelle mura restano solo opere di grande valore architettonico e simbolico: penso alle mura di Solimano a Gerusalemme o alle mura inespugnabili di Carcassonne. Una volta dunque, quelle mura circondavano le città, le difendevano. Oggi, ci suggerisce con una grande espressione lo scrittore israeliano Amos Oz, le mura non circondano più le città, semmai le attraversano. Mura più infide perché non fatte di pietre, mura invisibili. Dividono le aspettative delle persone, le loro condizioni, le loro opportunità. Ed impediscono ad una città di essere una comunità solidale.
La nostra città è molto mutata negli ultimi dieci anni. E’ una città con più anziani, il 26% della popolazione, con 14.000 ultra 85enni, recentemente con più bambini, con più extracomunitari (la quarta città in Italia per numero, molti arrivati negli ultimi 15 anni, e molti per prendersi cura proprio degli anziani), con più cosiddette “famiglie monoparentali”, cioè più persone sole, ben il 42% dei nuclei. E c’è pure un problema di povertà, povertà assoluta e povertà relativa, gli ultimi e i penultimi, chi non ce la fa e chi scivola verso il basso. Ce lo dicono la Caritas, il Banco Alimentare e le tante realtà del volontariato. Più bambini, più anziani, più stranieri – è facile capire – significa più persone che hanno bisogno di servizi, con un’attenzione speciale ai bisogni delle donne, poi più asili, più centri anziani, più strumenti di protezione. Per fare diventare una città una “comunità” occorre una vera e propria welfare community, dove le risorse del pubblico si integrano con la società civile, le associazioni, i volontari, e creano una rete capace di fornire risposte personali, che risponde ad un principio di sussidiarietà. Non è una sfida facile ma Firenze è fra le poche città in Italia che ha nel suo tessuto le capacità e le risorse per farcela.
La risorsa per eccellenza della nostra comunità è la sua straordinaria cultura. Questo è un commento di uno dei tanti studenti stranieri qui nella nostra città in una recente ricerca ““Firenze è in sé un museo a cielo aperto. In ogni angolo, in ogni stradina c’è una Madonna” Noi non ci facciamo più caso ma è proprio così. Siamo la città d’arte per eccellenza e lo siamo da tanto. Dal tempo del grand tour del ‘700-800 che portava qui gli anglo-fiorentini e poi Stendhal e Byron, Mark Twain, Wagner a Strauss; la città, unica in Italia, che ha 30 università straniere, 21 scuole professionali legate alle nostre eccellenze, 28 scuole di lingua italiana. Abbiamo una quantità di beni artistici irripetibile, una delle campagne più suggestive del mondo a pochi chilometri: la cultura a Firenze è il 15% del suo Pil; dei 10 milioni di turisti complessivi 5 passano nei soli musei statali (ahimè quasi tutti fra Accademia, Uffizi e Pitti). Numeri grandi, enormi, la cultura è una potentissima leva economica. Secondo una ricerca svolta dal comune di Torino, ogni euro investito in cultura a Firenze ha un moltiplicatore immediato doppio del loro. A proposito di anniversari da celebrare e proposte di nuovi musei abbiamo l’imbarazzo della scelta: 2009 Galileo, 2011 Firenze capitale, 2012 Vespucci. Il Museo della città da collocare a Palazzo Vecchio o in San Firenze, quello dell’Universo alla Torre del Gallo. Siamo una delle vere capitali mondiali del restauro, un polo archivistico di rilievo continentale e una delle città con i maggiori giacimenti di cultura scientifica, sia essa ospitata nei musei o nei laboratori del Polo di Sesto. Allora, a mio avviso le tre sfide che abbiamo riguardano: a) la protezione del nostro patrimonio dal consumo del turismo mordi e fuggi, b) il rapporto con la cultura contemporanea; c) il passaggio dall’essere consumatori di cultura a produttori. C’è molto da fare per promuovere una rete museale e non solo dei poli attrattori: dobbiamo lavorare su una diversa programmazione delle mostre con le Sovrintendenze; dobbiamo introdurre una sorta di “clearing house”, un luogo dove chiunque, prima di fissare una data o un evento vede se ci sono sovrapposizioni e incompatibilità e dove si può meglio programmare l’attività culturale; creare una “carta turistica e museale” sperimentata quasi ovunque nel mondo, laddove la differenza fra enti gestori non crea muri invalicabili, che promuova le destinazioni minori e prolunghi le permanenze.
C’è molto da fare per portare con coraggio segni di cultura contemporanea a Firenze: lo si può fare innanzitutto cambiando noi mentalità davanti al nuovo (non parlo di Isozaki, ma avete mai pensato affacciandovi dal Piazzale Michelangelo e guardando le proporzioni della Cupola e di Palazzo Vecchio all’audacia della comunità che lo concepì?); lo si può fare investendo risorse, ad esempio con la legge del 48 sul 2% sugli appalti pubblici da destinare ad opere d’arte; lo si può fare rilanciando alcuni spazi ed eventi, penso al ruolo di forte Belvedere o alla manifestazione “Fabbrica Europa”. Perché la cultura non si è fermata 400 anni fa. Anche a Firenze. Pensate per un attimo al grande 900: Papini, Prezzolini, Bigongiari, Pratolini, Palazzeschi, le riviste letterarie (La Voce, Lacerba, Solaria), Primo Conti, Soffici, la capacità di attrarre con il Gabinetto Viessieux persone come Montale. E poi Luzi. Una grande storia! Ora pensate un attimo a dove siamo stasera assieme. Potrei dire che siamo qui al Puccini perché era l’unico luogo disponibile o perché era quello che costava meno. E invece no. Abbiamo scelto il Puccini perché anche questo è uno dei luoghi più emblematici di una città in movimento. Siamo vicini alle Cascine, una delle aree strategiche da rivitalizzare, siamo alla fine di una stecca urbana che dietro la Stazione Leopolda vedrà nascere il nuovo Teatro Comunale, il nuovo Parco della Musica nella città, Firenze, in cui è nato il melodramma italiano, e siamo accanto alla enorme ex Manifattura Tabacchi che io vorrei potesse ospitare la nuova Città del Restauro, e i nuovi laboratori della creatività e del design. Pensate che potenzialità pazzesche. Guardate che da 15 anni nel mondo oramai funziona così: non sono più gli investimenti che attirano i cervelli, ma i cervelli che chiamano gli investimenti. La scommessa per noi è trattenere la creatività fiorentina che qui si forma e attrarre con spazi e stimoli quella che si muove di città in città – sono come uccelli migratori - in cerca delle condizioni migliori. Se, come è appena accaduto, i creativi di Gucci decidono che è meglio lasciare Firenze a vantaggio di Roma perché la città non risponde più alle loro aspettative, possiamo pure fare spallucce ma è una brutta notizia per la città del bello. La città deve essere più aperta.
E questo tema si lega alla questione, altrimenti di destra, della sicurezza. Strade bene illuminate, marciapiedi larghi, negozi aperti in orari anche diversi, attività culturali con il coinvolgimento della gente, insomma tutto ciò che è qualità urbana riduce l’insicurezza e la sua percezione. Non è solo un problema di polizia. Mi piacerebbe che potessimo già nell’estate 2009 organizzare una grande “notte bianca” che coinvolga tutta la città, che la veda animata dal centro alla sua periferia. E poi il decoro, la pulizia della città, un tema che è rimasto in sordina negli anni dei cantieri e che rappresenta oggi un nervo scoperto. In grande misura, il decoro è figlio del grado di senso civico di ciascuno noi. Nessuna città potrà mai essere pulita, per quanti sforzi si possano fare, senza un di più di collaborazione, di amore per la propria città. E questa è una prima frontiera. Poi però, ci sono i comportamenti e le azioni specifiche. Faccio un esempio che mi sta molto a cuore: uno dei miei artisti preferiti è Keith Haring, una icona della cultura pop che tutti oramai o conoscono o riconoscono. Haring cominciò a dipingere sui muri delle metropolitane di New York. Ha lasciato anche dei segni in Toscana (questo ad esempio fu realizzato a Pisa). Non è rimasto un caso isolato. Anche oggi ci sono artisti straordinari che fanno della provocazione intelligente la cifra della loro arte urbana: pensate all’inglese Banksy, a questi segni lasciati sui muri di Londra o a queste straordinarie idee realizzate sul muro costruito fra Israele e Palestina. Anche a Firenze si sono fatte delle esperienze interessanti, che vanno proseguite e incoraggiate. Ma c’è anche altro: lasciare questi segni sui ponti dell’Arno, sulle facciate medievali, sulla pietra forte non è creatività; è una forma di analfabetismo dello spray e di inciviltà che va combattuta con estrema durezza. Ma è decoro anche rimettere mano ad una cartellonistica disordinata, ad una gestione dei cantieri che, lavori in corso o no, non abilita chi lavora a lasciare quelle aree in una condizione di invivibilità e tutti noi ad usarle come discariche a cielo aperto. Ho detto che apprezzo i progetti in corso per la nuova aerostazione. Credo che occorra rimettere mano presto all’altra porta di ingresso in Firenze per i viaggiatori, l’area della Stazione. Riterrei saggio abbattere la pensilina realizzata per Italia 90, oramai svilita a ben altre funzioni. E mi piacerebbe che la facoltà di architettura di firenze e i nostri giovani architetti potessero cimentarsi con il tema del riordino di quel lato della piazza e mi piacerebbe coinvolgerli in un progetto come il cosiddetto “Centopiazze” sperimentato a Roma, cioè il recupero - assieme ai residenti - dei Chiassi, delle piazzette storiche, degli scorci più tipici. In centro ma non solo lì. C’è molto da fare, dunque.
E veniamo a noi e al nostro rapporto con il mondo. Che nel mondo globale di oggi non è davvero poca cosa Vedete, io credo che noi possiamo davvero essere un luogo formidabile di fusione fra globale e locale. E’ quella la chiave. Firenze è dei fiorentini ma appartiene al mondo. Ci sono città che cercano disperatamente di entrare nel cuore del mondo con una loro immagine e città che hanno un’immagine così forte, indelebile che semmai esiste il problema opposto, come non essere solo quella cosa lì. La Firenze narrata dal cinema è bellissima, una camera con vista; talvolta penso che la Firenze migliore per il mondo sarebbe un fondale, come quando si presentano le macchine a Piazzale Michelangelo, un fondale che faccia a meno di noi e dei nostri borbottii. Ma qualcuno ha cominciato a vederci in modo diverso, come una città consumata: questi sono i titoli di testa del film Hannibal e questo è come ci ha visto Ridley Scott: piccioni, traffico convulso, motorini… Ho usato prima la metafora delle mura e delle città, delle mura cadute. Le città si sono aperte. Comunicano. Fanno parte di una rete di scambi. Si gemellano. I loro abitanti viaggiano. Le città fanno alleanze sulle grandi sfide globali. Ci sono ad esempio i “majors for peace”, i sindaci per la pace e Firenze non a caso esprime il vice di un presidente che sta a Hiroshima. La pace, la prevenzione dei conflitti, la lotta alle disuguaglianze e alla povertà, gli obbiettivi del Millennio. E’ una vocazione non più esclusiva di Firenze ma è comunque una vocazione grande. Stare nel mondo non solo per Via Tornabuoni ma per un abbraccio umanistico alle cause del mondo. E’ il momento degli effetti speciali. Non vi preoccupate. Il calcio, oltre che è uno sport, è un mezzo in sé di grande forza per mandare messaggi. A casa mia nel salotto, fra i molti oggetti, ci sono queste due cose che ho portato, un segno visibile del mondo in cui viviamo e che cerco di avere sempre davanti agli occhi, come un monito. Questo lo conoscete tutti – noi non siamo dei grandi calciatori in famiglia. Lo si compra in tutti i negozi sportivi. E poi c’è quest’altro: lo potete trovare in quasi tutti i mercati africani. Non rimbalza. E’ fatto di foglie di banana. Ci si gioca a piedi nudi. Lo sport è lo stesso, le condizioni e le opportunità di futuro dei bambini che ci giocano, no. Tutto ciò che anche una sola città può fare in progetti di cooperazione – credetemi - è fatto bene.
Vedete, la nostra città ha sempre avuto un singolare respiro nei suoi rapporti con il mondo: siamo stati la città della prima finanza globale quando il mondo era più piccolo, inventando le banche; abbiamo inventato anche il “made in Florence” trattando panni grezzi e le lane e restituendo tessuti preziosi; siamo stati la capitale vera del bello, dell’uomo e dell’armonia al tempo del Rinascimento; siamo stati la prima terra ad abolire in Europa la pena di morte con il Granduca, e a sperimentare l’arte del governo moderno di un territorio. In altri momenti siamo stati più ripiegati su noi stessi, come è normale che capiti nei cicli della vita e della storia. Ma è indubbio che Firenze abbia espresso nella storia un suo “genio”. Se Matteo avesse deciso di proseguire in Provincia, gli avrei suggerito un’altra traccia, per le sue manifestazioni, abbastanza originale e probabilmente meno conosciuta che, se avete ancora pazienza, mi piace raccontarvi, ora che mi avvicino alla fine del discorso. E’ un caso abbastanza unico ma da queste colline sono partiti un sacco di navigatori ed esploratori che hanno percorso rotte mai battute e battezzato nuovi continenti. Pensate a una città che non ha il mare ma che esplora il mondo a partire dall’Arno. E’ come se i fiorentini, con le architetture e con le tavole da disegno, ma anche con le vele abbiano avuto un’unica passione: allargare gli spazi. Siamo stati anche questo. E ne dovremmo essere fieri. Sentite che squadra straordinaria questi magnifici 10. Così ripassiamo pure qualche nome di strade. Angiolino del Tegghia, che scopre le Canarie; Benedetto Dei che per primo attraversa un mare particolare, un mare di sabbia, il Sahara e racconta l’arrivo alla mitica Timbuctù in un manoscritto che sta alla Marucelliana; Baccio da Filicaia che va a costruire fortezze in Brasile per conto dei portoghesi; Ippolito Desideri che per primo raggiunge Lhasa; Amerigo Vespucci, il grande Vespucci, che capisce di venti e di astrolabi, che conosce Colombo, che arriva alle foci dell’Orinoco e battezza il Venezuela (la piccola Venezia) a causa delle palafitte, che si spinge fino alla Patagonia e che per le sue straordinarie carte geografiche è scelto dall’imperatore Massimiliano per dare il proprio nome al nuovo mondo; Giovanni da Verrazzano che invece esplora a nord, nel Canada di oggi, che riporta in Europa mais, zucca e fagioli invece che ori e sete, che dà nomi toscani a tutto ciò che vede (Impruneta, Careggi, Vallombrosa) e che, meno male, viene ricordato a New York con un ponte, e dagli americani per il nome di uno stato, il Rhode Island, l’isola di Rodi perché al Da Verrazzano quella terra somigliava a quella cosa lì. Giovanni da Empoli che parte con le prediche del Savonarola, finisce a commerciare schiavi a Goa, poi se ne pente, torna a Firenze ricco, si annoia e va a morire di colera in India. Andrea Corsali che non parte da mercante ma da uomo del Rinascimento e che introduce per primo i caratteri a stampa in Africa andando ad incontrare in Etiopia la comunità caldea. Filippo Sassetti che studia il sanscrito, fa incontrare per primo India ed Europa, muore a Goa lasciando un bimbo di 5 mesi, il primo mulatto di sangue fiorentino nel mondo di allora. Infine Francesco Carletti, eroico e anche un po’ sfortunato, che in un viaggio di 15 anni circumnaviga per primo il mondo e torna a mani vuote perché viene rapinato dai corsari all’ultima tappa. Grandi fiorentini. Grandi uomini. Se ci pensate ci sono tutti i sapori possibili di un viaggio, della sua motivazione e anche del suo esito. In questi anni, ho incontrato tanti fiorentini in giro per il mondo, fiorentini che hanno fatto successo fuori in vari campi. Mi piacerebbe organizzare un evento che li riporti per un momento a casa, che ci faccia dare un suggerimento per la Firenze di dopodomani. Non è un’idea mia. Lo ha fatto Kevin Rudd, premier australiano: l’ha chiamata Australia 2020 e ha coinvolto centinaia di australiani di successo in patria e nel mondo. Amerei una Firenze che si fa perno di una rete di “global cities”, che attrae città dei continenti in espansione come America Latina e Asia, che fa delle molte competenze che qui ci sono in materia di “peace keeping” il centro di una nuova eccellenza in campo internazionale.
Mi fermo. Scusatemi se sono stato lungo. Ma in certi momenti capita che uno ha molte cose dentro da dire… Vi ho raccontato queste cose, un’idea di città, molte cose possibili, alcune facili altre meno. Voglio terminare questa ultima parte del mio discorso, facendo ancora una volta riferimento a “Le città invisibili”: “città diverse si succedono e si sovrappongono sotto uno stesso nome di città. Occorre non perdere di vista quale è stato l’elemento di continuità che la città ha perpetuato lungo tutta la sua storia, quello che l’ha distinta dalle altre e le ha dato un senso. Ogni città ha un suo programma implicito che deve saper ritrovare. Può vedere stirpi diverse succedersi, può vedere cambiare le sue case pietra per pietra, ma deve, al momento giusto, sotto forme diverse e nuove, saper ritrovare i suoi dèi”. Grande Calvino !
Ho scritto che mi candido non a nome del PD, perché solo il risultato del 1 febbraio potrà dire chi avrà questo onore, ma mi candido in nome del PD del suo progetto politico, quello di dare un approdo della nostra infinita transizione. Sono abbastanza maturo per avere lavorato dieci anni a questo progetto nei partiti che ho attraversato e di crederci fino in fondo. Dopo il PD non c’è un’altra cosa. Questo è il traguardo. E se questa è ancora una creatura fragile, vi dico che occorre volerle bene e aiutarla a crescere. Molti di voi mi conoscono, conoscono il mio percorso. Ciascuno di noi ha la sua storia, le sue radici. E’ normale. Fernand Braudel scriveva “Essere stati è condizione per essere.” La nostra biografia è la nostra radice, il nostro zaino, ma né la radice né lo zaino ci possono impedire di andare avanti. E le primarie, che sono state fin dall’inizio la cifra del PD, sono lo strumento per eccellenza perché queste storie si mescolino fra loro. La vostra presenza stasera, quella ad altre manifestazioni, le 50.000 persone che parteciperanno al momento del voto saranno la testimonianza che questo, e non altro, è il modo per scegliere il prossimo sindaco di Firenze. Alla destra che oggi ironizza sulla nostra competizione chiediamo di sapere con quale metodo lavoreranno loro, se il candidato che ci sfiderà sarà scelto con il sorteggio o meglio con una telefonata da un comune della provincia di Milano, come capita da 15 anni.
Quando ho dato appuntamento al 3 ottobre, ho fatto una ricerca sul web per vedere che tipo di data si trattava, per giocarci un po’. Allora, un 3 ottobre si è svolta la battaglia di Filippi: Marco Antonio e Ottaviano contro Cassio e Bruto ma non credo porti bene; un 3 ottobre Samuel Morse ha brevettato il suo codice: meglio perché ci ha dato un linguaggio di comunicazione in più, ma insomma. Poi ho trovato: un 3 ottobre si sono sciolti il gruppo musicale CCCP Fedeli alla Linea e si sono riunificate le due Germanie. Che sia un segno politico da interpretare ? Tra l’altro mi hanno fatto notare che il motto di questa stagione teatrale al Puccini è “la bella stagione inizia ad ottobre”. Allora prendiamolo davvero come un bel presagio.
Io so quello che dovremo fare noi da stasera: iniziare un lavoro di ascolto e di condivisione, casa per casa, quartiere per quartiere, nei prossimi 100 giorni, per immergersi nella città, per sentire meglio cosa c’è nel cuore dei fiorentini. Se c’è un primo cittadino, deve esserci anche un ultimo cittadino: penso che alla fine di questi 100 giorni entrambi debbano sentirsi legati dallo stesso patto. Con un nuovo senso di comunità, con l’orgoglio che questa città scopre ogni volta che si sente sfidata. Questo è ciò che io intendo per “aprire un nuovo ciclo”. Scriveva un romanziere inglese che “una persona che ha passione vale più di quaranta semplicemente interessate”. Questo è il significato del senso civico e dell’appello che rivolgo a tutte le energie della città. Le istituzioni, se gli si vuole bene, sono il luogo del “noi”, non dell’”io”. E la leadership non è l’abilità di stupire ma la determinazione e la pazienza di guidare i processi. Questa è la convinzione che mi muove. Il senso profondo del “public service”, dell’azione di un Sindaco, di un amministratore è questa cosa qui: disinteresse, trasparenza, amore per la comunità, gestione oculata delle risorse, attenzione a considerare ogni problema – anche il più modesto – degno di essere affrontato. Così come ciascuno fa nelle proprie cose private. In termini ancora più semplici: dire ciò che si pensa, fare quello che si dice. Se vale per la vita normale e per i suoi rapporti, deve valere ancor più per la vita pubblica.
Personalmente non credo nella politica fondata solo sul genere o sulla carta di identità. Del resto, non sono una donna e non sono più un ragazzo. Ho 44 anni e una famiglia che amo. Mi dicono - talvolta dietro le spalle - che sono stato lontano da Firenze. E’ vero. Ne sa qualcosa mia moglie, Maria, che mi ha sostenuto e sopportato. Dopo l’esperienza al quartiere, poi in Comune, grazie al voto di molti fiorentini, magari di molti di voi, ho servito prima al Parlamento italiano e poi a quello europeo. Sono stato in maggioranza e all’opposizione. Mi sono occupato di questioni istituzionali in Italia e poi di questioni economiche e finanziarie e moltissimo di affari internazionali in Europa. Ho viaggiato tanto, ho visitato e fatto attività in circa 80 diversi Paesi e ironia dei numeri, lunedi scorso, tornando da Zurigo, ho preso il 1000 volo della mia vita.
Se perdo le primarie, non so se fischietterò ma potrei fare il concorso per steward nella nuova Alitalia. Credo con sincerità che questo sia il momento, l’età giusta, per cercare di restituire qui, a casa mia, tutto ciò che ho visto e imparato fuori, anche grazie a voi. Ci sono momenti in cui una generazione si sente pronta alla sfida dell’innovazione. E questa è la disponibilità che ho respirato nel desiderio di impegno dei tantissimi che hanno scritto in queste settimane. Ho cercato stasera di interpretarla come meglio mi riusciva, di diventarne uno strumento. Vi offro la mia passione, il mio amore per questa città, dopo aver dovuto raccontare decine di volte che Lapo non era un soprannome. Vi chiedo di condividere questa visione, di sostenerla nelle tante responsabilità pubbliche e private che ciascuno di voi ha, di arricchirla con le vostre competenze e le vostre idee.
Ed è in nome di queste ragioni, non di altro, che vi chiedo di aiutarmi nella lunga cavalcata che ci porterà alle primarie e al governo di Firenze.
Grazie di cuore.
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