Dopo il cessate il fuoco la situazione in Georgia si aggrava, come previsto, sul piano politico. Mosca e' lesta a riconoscere l'autonomia di Ossezia e Abkazia, a minacciare di cessare ogni collaborazione con la NATO per il supporto in Afghanistan, e a uscire dagli accordi del WTO. Il presidente Russo Medvedev manda anche una lettera a Stati Uniti, Francia, Germania e (!?) Italia per spiegare candidamente che loro nulla hanno fatto se non cogliere l'occcasione offerta dalla Georgia per mettere i puntini sulle i di chi deve comandare in quella regione, alla faccia dei tentativi di espansione della NATO. L'America si trova pero' con le mani legate, con di fronte una potenza nucleare che sembrava addormentata, ma che si e' improvvisamente risvegliata dal continuo e improvvido pungolamento della politica statunitense di allargamento della NATO; con i due pesi e due misure della difesa del diritto di autoderminazione sostenuto nei Balcani e in Cecenia, ma il principio dell'unita' territoriale chiamato in causa per la Georgia.
Ma come siamo arrivati a questa situazione? Un quadro ben tracciato della situazione e delle sue origini nella storia Russa e internazionale recente, ben piu' articolato e motivato del mio bignami di qualche giorno fa, in un bell'articolo di Bernard Guetta tradotto su Repubblica di ieri:
Il disagio è profondo. Monaco e ancora Monaco, riferimenti continui a quel momento tragico in cui le democrazie temporeggiavano con Hitler quando la sua ascesa era ancora resistibile. Una reminescenza non priva di fondamento.Malgrado il Tibet, i capi di Stato e di governo hanno fatto ressa ai Giochi Olimpici per pagare il loro tributo alla potenza cinese. Nonostante la riaffermazione della potenza militare russa a Tbilisi, gli Stati Uniti hanno alzato i toni solo dopo la sconfitta georgiana. C´è nell´aria una sorta di rassegnazione alla forza di quei due imperi, tanto più allarmante in quanto l´uno e l´altro associano la peggior violenza del denaro e le disuguaglianze più stridenti alla brutalità dei loro apparati di potere monopolistici, direttamente ereditati dai tempi del comunismo. Dunque Monaco? Un nuovo nazismo pronto alla guerra per asservire le nazioni e sterminare i popoli? No. La preoccupazione è fondata, ma il confronto rischia di essere pernicioso: a forza di rappresentarsi la guerra passata si finisce per non vedere i dati della nuova situazione internazionale e i motivi dell´arretramento della libertà in Russia. Torniamo indietro nel tempo. Un viaggio in un passato prossimo al di fuori del quale non si può comprendere né questa crisi georgiana, né le tensioni che provoca. Nel 1991 Mikhail Gorbiaciov è travolto dalla libertà cui ha dato respiro. L´intellighentsia lo accusa di non fare abbastanza, i nazionalisti lo rimproverano per aver aperto le porte all´unificazione tedesca e al ribaltamento dell´Europa centrale. Le riforme, e soprattutto le difficoltà economiche alimentano i separatismi delle repubbliche sovietiche, in quei Paesi che gli zar, e non il comunismo, avevano aggregato alla Russia. A Mosca tutto si sfascia, e qui gli occidentali commettono il primo degli errori che tanto hanno contribuito a plasmare la Russia di oggi. «Aiutatemi», aveva detto Gorbaciov al vertice del G7 nel luglio di quell´anno. Chiedeva che gli venissero concessi prestiti di entità sufficiente a dargli tempo per evitare l´esplosione e trasformare l´Urss – com´era sua intenzione – in un mercato comune dell´Est. Il costo sarebbe stato alto per gli occidentali: somme colossali da sborsare, ma in pegno avrebbero potuto chiedere le risorse naturali della Russia, e con una sola mossa assicurarsi gli approvvigionamenti energetici, aprire il Paese ai loro investimenti, modernizzare l´intera l´area sovietica e organizzare la sua transizione verso la democrazia e le indipendenze nazionali. Avrebbero potuto stabilizzarla, così come dopo la liberazione l´America aveva stabilizzato l´Europa occidentale grazie al piano Marshall; e invece hanno dato il benservito al visionario che aveva compreso la necessità di salvare la Russia dal fallimento del comunismo, evitandole al tempo stesso, a qualunque costo, la violenza di una nuova rivoluzione. Un Gorbaciov prostrato li aveva avvertiti: «Non mi vedrete più al vostro prossimo Vertice. E sarà il caos». Come aveva previsto, sei mesi dopo ogni speranza di riforme graduali e controllate era stata spazzata via. In agosto i più incapaci tra i dirigenti sovietici si erano autoproclamati salvatori dell´Urss per poi annaspare smarriti – alcuni giunsero anche al suicidio – quando Mikhail Gorbaciov rifiutò di firmare la lettera di dimissioni che gli avevano presentato. Quel colpo di stato fallì in poche ore, spianando però la strada al presidente della Federazione russa Boris Eltsin, che si oppose al putsch nel momento in cui era già abortito. Di intelligenza limitata, alcolizzato al punto di rendersi regolarmente indisponibile, diventa un eroe della democrazia. Gli occidentali commettono il secondo errore eleggendolo a interlocutore privilegiato. In dicembre Eltsin, che freme dalla voglia di insediarsi al Cremlino, convince i presidenti della Bielorussia e dell´Ucraina a separarsi insieme a lui dall´Unione Sovietica – o in altri termini, di firmare la sentenza di morte dell´Urss. Sconfitta finale del comunismo? Fine della "prigione dei popoli?" Tutto induceva a crederlo, ma era un po´ come se all´improvviso la Borgogna, Nizza, la Savoia, la Bretagna e Tolosa si separassero dalla Francia. Non era semplicemente l´indipendenza di Paesi colonizzati, dato che i secoli e la continuità territoriale avevano mescolato le popolazioni, interconnesso le economie, partorito un´identità comune. Fu un sisma, inevitabilmente seguito da una successione di ulteriori scosse. E nel decennio successivo gli occidentali commisero il loro terzo e più grave errore. Non appena ai comandi, sotto la copertura delle privatizzazioni, i parenti, i consiglieri, i sodali di Eltsin – "la famiglia", come ben presto diranno i russi – vendono fabbriche, terreni e risorse naturali, tutto ciò che può avere un valore nell´economia del Paese. Nella Russia del 1992 non esistono capitali privati, ma "la famiglia" vende a uomini di sua fiducia, i quali attingono alle casse delle imprese non ancora pagate per corrispondere prezzi modestissimi, e soprattutto per versare le enormi tangenti devolute al Cremlino. È la più grossa rapina della storia, e gli occidentali vi si associano con i loro applausi, i loro crediti e persino con ingiunzioni, con le percentuale riscosse dalle loro banche e società di consulenza, tanto che sembrano aver organizzato questa rivoluzione d´Ottobre alla rovescia. In pochi mesi si costruiscono enormi patrimoni, ostentati con tanto di limousine blindate, dimore sontuose e oscene esibizioni. L´inflazione sprofonda i pensionati nella miseria più nera, e lo stile di vita regale dei "nuovi russi" contrasta in maniera rivoltante con la mendicità che dilaga. E cosa dicono gli economisti che hanno inventato tutto questo, ex comunisti passati al liberalismo? «È inevitabile passare per l´accumulazione primitiva – sentenziano nel loro linguaggio marxista – per costituire i patrimoni privati che un giorno imporranno lo stato di diritto, al fine di legalizzarne il possesso». C´era un progetto razionale dietro quest´abominio, che però ha fatto sorgere un´economia mafiosa nell´area ex sovietica. La corruzione si è generalizzata. I regolamenti di conti sono diventati realtà quotidiana, e i russi hanno incominciato a detestare ciò che vedevano dell´economia di mercato, a confonderla con la rapina subita, a incolpare l´Occidente di avergli inflitto quella piaga per annientarli una volta per tutte. E c´è di peggio. Quando i deputati russi denunciano questa "terapia d´urto" e Eltsin ordina l´assalto al parlamento sorto dalle libere elezioni del 1989, gli occidentali non trovano nulla da ridire. Non contenti di aver convinto i russi che mercato è sinonimo di furto, accreditano un´idea della democrazia come potere dei ricchi, tanto da indurli ad aspirare ormai solo a un regime forte, con un capo capace di far risorgere lo Stato e costringere i saccheggiatori a restituire il maltolto. In una parola, promuovendo la giungla in Russia spianano la strada al potere di Vladimir Putin. Il male ormai è fatto, si dirà. Comunque, e quali che siano i torti degli occidentali, dal momento che è questa Russia – diretta dai servizi segreti, cementata dal nazionalismo, con le casse ricolme grazie all´impennata delle quotazioni petrolifere – a esercitare il suo peso sulle ex repubbliche sovietiche, cos´altro fare? Lo si legge in molte analisi: che fare, se non ingrossare le fila della Nato estendendola, come una rete di sicurezza, intorno al Paese più vasto del mondo? È una scelta – ma è quella sbagliata. Da scartare, per una ragione imprescindibile: difatti, se l´America ha lasciato che la Russia battesse l´esercito georgiano, è stato perché non poteva far altro. Non poteva minacciare di volare al soccorso delle truppe di Tbilisi, perché nel giro di un´ora la Russia avrebbe occupato l´intera Georgia. Non poteva bombardare le truppe russe, dato che Mosca rimane una potenza nucleare. E neppure poteva decretare sanzioni economiche, visto che l´approvvigionamento energetico dell´Europa dipende dalle forniture russe, e il costo del barile avrebbe allegramente sfiorato i 300 dollari, provocando il tracollo dell´economia americana. Ma soprattutto, gli occidentali hanno bisogno del sostegno della Russia per opporsi alle ambizioni nucleari dell´Iran, far ascoltare il Consiglio di Sicurezza, avviare le loro armi verso l´Afganistan e tentare di calmare le acque in Medio Oriente. L´America post-Iraq non può fare a meno di un´intesa con la Russia, ma avrebbe potuto evitare di mettere a nudo questo suo relativo indebolimento se la "vecchia Europa" non le avesse impedito, la scorsa primavera, di aprire le porte della Nato all´Ucraina e alla Georgia? Anzi: sarebbe stato peggio. E comunque gli Stati Uniti non si sarebbero mossi. L´Alleanza atlantica non avrebbe offerto alla Georgia la protezione militare dovuta ai suoi membri, con grave danno della stessa credibilità della Nato. Fortunatamente quella follia era stata bloccata dalla Francia e dalla Germania. Ma allora, a questo punto si devono subire i diktat della Russia, consentendole di dominare nuovamente i mercati? «Monaco!» «Monaco!» ripetono martellanti quelli che vorrebbero vedere un occidente unito in lotta contro questo ritorno della Russia. Ma qui si pone una questione fondamentale che non è stata sufficientemente dibattuta: in che senso Mosca rappresenta un pericolo? Come, da quale parte intenderebbe lanciarsi all´assalto dell´Occidente, o magari giocare alla politica del tanto peggio? Di fatto, in fin dei conti, cos´altro ha fatto in questa crisi, se non approfittare dell´offensiva della Georgia contro una sua regione secessionista per ricordare che dispone dei mezzi per impedire alla Nato di spingersi fino ai suoi confini? L´aggressore – per quanto piccolo, per quanto provocato – era la Georgia. Come può allora l´Occidente rimproverare la Russia per la sua reazione, dopo aver bombardato Belgrado per intere giornate in appoggio alla secessione kosovara? Come si può difendere il diritto all´autodeterminazione nei Balcani, e poi invocare nel Caucaso il principio dell´integrità territoriale, dopo averlo ridotto a carta straccia riconoscendo l´indipendenza del Kosovo? «Questione obsoleta», dichiarano su Libération André Glucksmann e Bernard-Henri Lévy: a parer loro, il fatto principale è che la Russia vieti a un Paese sovrano di scegliere le proprie alleanze. È indiscutibilmente vero, ma come reagirebbero gli Stati Uniti se il Messico o il Canada decidessero sovranamente di entrare a far parte di un patto militare dominato da Mosca? Avrebbero ogni ragione di vedere in questo una minaccia, e non arretrerebbero davanti a nulla per contrastarla. Tanto basti per dire che sarebbe ora di smetterla di evocare fantasmi sulla Russia. Rimane il fatto che vari popoli tenterebbero di sottrarsi al suo impero, se Mosca non li avesse dissuasi mettendo in ginocchio la Cecenia. Evidentemente è in atto in Russia una regressione autoritaria che ha soffocato l´opposizione, dando più spazio all´arbitrio. Questo Paese è tutto fuorché una democrazia, ma a parte il fatto che sarebbe irragionevole entrare in conflitto con tutti i regimi autoritari soltanto perché sono tali, proviamo per un attimo a calcarci in testa una chapka - il tempo di vedere l´Occidente con gli occhi dei russi. Quando l´ultimo presidente sovietico lasciò che il Muro si aprisse, l´Occidente giurò di non voler estendere i limiti della Nato. Si sa come poi sono andate le cose. Durante il decennio Eltsin, quando Mosca ricalcava la sua diplomazia su quella degli Stati Uniti, Washington aveva in bocca una sola parola, "partenariato"; ma da quando la Russia ha ripreso forza e ha ricostituito uno Stato, è tornata ad essere un avversario da contenere. È da allora che gli Usa hanno sentito la necessità di dispiegare nell´Europa centrale un sistema antimissile, teoricamente destinato a contrastare un´aggressione iraniana – ma la sua installazione in Polonia è stata accelerata dopo la disfatta della Georgia; e in quegli stessi anni, proprio quando la Russia manifestava a Washington la sua solidarietà dopo l´11 settembre, l´ingresso dell´Ucraina e della Georgia nella Nato è stato promosso al rango di imperativo categorico, per cui i russi hanno finito per concludere che l´America li amava solo a condizione che navigassero nel suo solco, sopra una zattera. Allora, ecco che la Russia si afferma sulla scena internazionale, e in maniera spettacolare, quando l´occasione è offerta da un Mikhail Shakasvili; e qui si innesca un ingranaggio. Che è pericoloso. Più si vuol contenere la Russia, e più le sue reazioni incitano a farlo. Ma se è vero che non ci troviamo alle prese con un nuovo Hitler, non assistiamo neppure a un risveglio della guerra fredda. Oltre tutto, dai Balcani al Caucaso le guerre stanno ridiventando calde in Europa, e una volta sotterrato il comunismo si tende a tornare a quella che era la Storia prima delle ideologie: le rivalità tra le grandi potenze, le loro aree di influenza, le schermaglie e talora gli scontri frontali, quando nelle capitali la Ragione veniva meno. Volendo drammatizzare ad ogni costo, saremmo tornati non al 1938 o al ‘62, ma al 1914: ai prodromi della prima guerra mondiale, piuttosto che a Monaco o a Cuba. Il punto essenziale oggi è organizzare gli equilibri tra le vecchie e le nuove potenze; e trovarlo nei confronti della Russia non dovrebbe essere la cosa più difficile. Il fatto che Vladimir Putin si sia astenuto dal modificare la Costituzione per ricandidarsi una terza volta non è privo di significato. Se ne desume da un lato che l´opinione pubblica russa avrebbe reagito male a una mossa del genere, finalizzata alla sua presidenza a vita; e dall´altro, che lo stesso Putin deve tener conto di un certo pluralismo della classe dirigente. Ancora più notevole è il fatto che non abbia scelto, in definitiva, un uomo a sua immagine per presiedere la Russia sotto la sua ombra, bensì un giovane giurista forbito e sorridente, giunto all´età matura nei primi anni del post-sovietismo. La Russia, per quanto oligarchica, è un mondo in movimento. La libertà imprenditoriale ha fatto nascere un ceto medio in ascesa, e come prevedevano gli ideologi della terapia d´urto, oggi i predatori degli Anni 90 hanno sete di diritto per perpetuare la loro ricchezza. Dimitri Medvedev è stato scelto da Vladimir Putin perché interpreta le speranze degli ambienti influenti, e quando parla del suo Paese come di uno dei «tre rami della civiltà europea», accanto all´America e all´Europa occidentale, esprime un´aspirazione russa che a Mosca si fa sentire. Ed è su questo che bisogna puntare. L´Occidente commetterebbe un nuovo errore se non tentasse di farlo – uno di troppo, dato che quest´aspirazione affonda le sue radici nelle debolezze di fondo con cui si confronta la Russia, potenza convalescente ma demograficamente in declino, che non può fare a meno della tecnologia occidentale per modernizzare le sue trivellazioni. Che ha bisogno di vendere il suo gas e il suo petrolio non meno di quanto l´Europa abbia bisogno di acquistarli, ed è in contatto diretto con l´affermazione cinese e l´implosione islamica. In ultima istanza, è la geopolitica a spingere la parte più lucida della Russia verso l´Occidente – il timore dell´islam e una reale paura della Cina, che col suo dinamismo economico e mercantile si impone nell´Asia centrale annettendosi, attraverso i commerci, una parte sempre maggiore della Siberia russa. Cultura, economia e geografia concorrono per creare le basi di un equilibrio tra russi e occidentali, e organizzare una stabilità del continente Europa tra la Federazione russa e l´Ue. Ma tutto ciò non passa per l´abbandono dell´Ucraina e della Georgia alle nostalgie imperiali degli antichi padroni. Servirebbe solo un minimo di buon senso per rinunciare a integrare questi due Paesi nella Nato, rafforzando invece i loro legami con l´Unione, trasformandoli in spazi di cooperazione e di scambi privilegiati con le due potenze continentali – il pegno, prospero e protetto, della loro intesa. Se non sarà così, il seguito è già scritto. La prossima guerra europea non si combatterà nel Caucaso, ma esploderà ai confini della Polonia, alle frontiere stesse dell´Unione, in quell´Ucraina che da quasi dieci anni si sta dilaniando tra russofili e occidentalisti.