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mercoledì 24 marzo 2010

La giustizia dell'amore


E' un'imitazione dell'amore quando si cerca di offuscare con l'elemosina quello che bisogna fare con la giustizia

Il 24 marzo 1980, 30 anni fa, mentre stava celebrando la Messa nella cappella dell'ospedale della Divina Provvidenza, Monsignor Oscar Romero, arcivescovo di El Salvador, venne ucciso mentre elevava l'ostia della comunione da un sicario appartenente ad uno squadrone della morte agli ordini del maggiore Roberto D’Aubuisson, leader del partito di estrema destra Arena.
Fino alla sua nomina a Vescovo, Romero fu considerato rappresente del lato conservatore della Chiesa sudamericana, fedele alla tradizione romana e timoroso di aprirsi al fermento che veniva dalla teologia della liberazione e dai movimenti di base. Questo gli aveva fatto guadagnare la stima dell'oligarchia del suo Paese, e gli spiano' la strada al soglio vescovile mentre nel paese si susseguono colpi di stato che lasciano il potere nelle mani dell'oligarchia e dei militari. Nell'ottobre 1974 viene nominato vescovo della diocesi di Santiago de Maria, in una delle zone piu' povere del paese. Il contesto politico e sociale è caratterizzato soprattutto dalla repressione contro i contadini organizzati, e il contatto con la vita reale della popolazione, stremata dalla povertà e oppressa dalla feroce repressione militare che voleva mantenere la classe più povera soggetta allo sfruttamento dei latifondisti locali, provocano in lui una profonda conversione, sia nelle convinzioni teologiche che nelle scelte pastorali. I fatti di sangue sempre più frequenti che colpiscono persone e collaboratori a lui cari, lo spingono alla denuncia delle situazioni di violenza che contraddistinguono il paese.
La nomina ad arcivescovo di San Salvador, il 3 febbraio 1977, lo trova ormai pienamente schierato dalla parte dei poveri, e in aperto contrasto con le stesse famiglie che lo sostenevano e che auspicavano in lui un difensore dello status quo politico ed economico: “Quando do ai poveri da mangiare, dicono che sono un bravo vescovo. Se chiedo perché i poveri non hanno da mangiare dicono che sono un comunista”. Lo stesso giorno della sua elezione l’esercito spara su cinquantamila persone riunite in piazza per protestare contro dei brogli elettorali. Un centinaio di persone che si erano rifugiate nella chiesa del Rosario muoiono soffocate dai lacrimogeni lanciati dai militari. L'episodio della morte di p. Rutilio Grande, gesuita e parroco di aguilara, centro agricolo poverissimo, assassinato appena un mese dopo il suo ingresso in diocesi, diventa l'evento che apre pienamente la sua azione di denuncia profetica, che porterà la chiesa salvadoregna a pagare un pesante tributo di sangue. L'esercito, guidato dal partito allora al potere, arriva anche a profanare ed occupare le chiese, come ad Aguilares, dove vengono sterminati più di 200 fedeli lì presenti. Le sue catechesi, le sue omelie, trasmesse dalla radio diocesana, vengono ascoltate anche all'estero, facendo conoscere a moltissimi la situazione di degrado che la guerra civile stava compiendo nel Paese. Nel febbraio 1980 compie un viaggio in Europa per ritirare alcuni riconoscimenti, e incontra Giovanni Paolo II per comunicargli le proprie preoccupazioni di fronte alla terribile situazione che il suo paese sta attraversando. Nel discorso all'Universita' di Lovanio diove ritira una laurea Honoris Causa ricorda: "Negli ultimi tre anni, la chiesa di El Salvador è stata perseguitata. È importante chiederci perché. Notate: non è stato perseguitato un sacerdote qualsiasi, né attaccata una qualunque istituzione; si è perseguitato e attaccato quella parte di chiesa che si è posta al fianco del popolo povero e ne ha preso le difese. La persecuzione è la conseguenza di questa scelta di assumere il destino dei poveri. La vera persecuzione è diretta contro il popolo povero, che oggi è il Corpo di Cristo nella storia. Popolo crocefisso come Cristo, perseguitato come il Servo di Jahvè. I poveri completano nel proprio corpo ciò che manca alla Passione di Cristo. Quando la chiesa si organizza e si riunisce attorno alle speranze e alle angosce dei poveri, essa subisce la stessa sorte di Cristo e dei poveri: la persecuzione". Poche settimane dopo l’ultima omelia gli costò la vita: aveva invitato i soldati all’obiezione di coscienza di fronte alle direttive di uccidere contadini e sacerdoti, padri gesuiti e sindacalisti, perché accusati di essere «comunisti» a causa della richiesta di equità economica e sociale: "in nome di Dio, in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono al cielo ogni giorno più tumultuosi, vi supplico, vi chiedo, vi ordino, in nome di Dio: cessi la repressione!".
Da quell’ultima messa sono trascorsi trent’anni, durante i quali sono stati nominati 456 santi e 1288 beati ma non Monsignor Romero, la cui causa di beatificazione e' aperta dal 1997. D’Aubuisson, mandante dell'assassinio e impunito per i suoi crimini, nel 1984 ricevette a Washington prima di morire di cancro un’onorificenza da parte di alcune organizzazioni conservatrici per il suo “contributo alla lotta contro il comunismo e per la libertà”.

domenica 2 agosto 2009

Ricatti e consenso



Dinanzi al ricatto di costituire un Partito del Sud, Berlusconi ha dovuto concedere in fretta e furia circa 4 miliardi di euro a favore della Sicilia, quale anticipazione di un successivo e non ben identificato Piano per il Meridione rinviato per ora a data da destinarsi. Con il risultato di mettersi contro un'altra fetta della sua coalizione che sta facendo del logoramento di Berlusconi la sua vera battaglia politica, dimostrando il teorema che dividere e mettere tutti contro tutti puo' aiutare a prendere il potere, ma non a governare.
Anche i fatti parlano piu' chiaro dei proclami su giornali e tv: i 4 miliardi erano gia' stati stanziati tramite Cipe e poi bloccati, quindi in pratica non ha concesso nulla di nuovo, e il governo Berlusconi che oggi appare paladino del sud (!!) aveva di fatto destinato 20 miliardi stanziati dal precedente governo per lo sviluppo del meridione a tutt'altro scopo. Ma l'importante si sa non e' la sostanza, e' il messaggio per raccogliere consenso. Se un piano serio e complesso per il meridione non richiama consenso immediato, lasciamolo da parte, meglio 4 miliardi a pioggia come una goccia nell'oceano per ingrassare i soliti sorci, e chi s'e' visto s'e' visto. Quella che L'Antonio chiama "furia del consenso" sta di fatto negando al paese qualunque piano di largo respiro: meglio poco e inutile subito, che qualcosa di costruttivo i cui effetti si vedranno domani. Lo sa bene il governo precedente mandato a casa da promesse demagogiche e dalla volonta' di rimettere in sesto il paese, poi subito fatto naufragare dai colleghi venuti a sostituirlo: il bilancio di Tito Boeri dei primi 15 mesi di governo e' implacabile e preoccupante. Non c'è stata alcuna riforma vera, se non quella ancora tutta in fieri della pubblica amministrazione e il tentativo di demolire la scuola pubblica. Molti provvedimenti ad hoc, ad personam, transitori, in deroga o in proroga, che lasceranno e stanno gia' lasciando un'eredità pesante nel paese delle eccezioni e delle complessità normative, con il debito pubblico mai cosi' fuori controllo. Se ne è già accorto l'esecutivo perché nella legge di assestamento di bilancio ha dovuto rifinanziare per 10 miliardi misure la cui entità era stata in origine sottostimata.
Paradigmatico anche il caso dei fondi per ricerca e sviluppo nelle imprese tagliati e distribuiti solo per un totale di 1 miliardo di euro e solo a quelle imprese in cima a una speciale graduatoria. Peccato che non si volesse premiare il merito, ma solo la velocita': chi all'apertura del bando il 6 Maggio scorso cliccava per primo per l'invio della domanda otteneva gli agognati fondi, una vera assurdita'. 22000 imprese sono rimaste fuori, senza un criterio per premiare davvero chi vuole innovare e innovarsi. Resta da capire perche' nonostante tutto gli industriali continuino a spellarsi le mani nel sostenere il governo in ogni occasione, nonostante si navighi a vista inanellando assurdita' e ingiustizie palesi. Forse la risposta e' purtroppo molto semplice e molto triste, la non politica della destra pur danneggiando le imprese produttive e il paese, ne facilita molte senza meriti particolari attraverso forme meno visibili e meno dicibili ma molto concrete: nuova tolleranza verso l'evasione, ammorbidimento delle regole sulla sicurezza e sul lavoro nero, aiutini negli appalti pubblici...

giovedì 18 giugno 2009

In difesa della foresta


Da due mesi i nativi della foresta Peruviana sono impegnati in una battaglia importantissima con il governo di Alan García, uno degli ultimi in America latina che al consenso degli elettori continua ad anteporre quello di Washington e degli interessi delle multinazionali dello sfruttamento. Poco dopo il ventennale dell'assassinio di Chico Mendes, gli indigeni infatti difendono con i denti la loro foresta, che il governo ha venduto nel Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti alle multinazionali minerarie e del legname. Da quasi due mesi 1.300 comunità native della selva amazzonica peruviana sono infatti tornate in stato di mobilitazione permanente contro nove decreti legge varati dal governo di Lima, nella quasi indifferenza dei media internazionali. Le proteste sono partite all’inizio di aprile di quest’anno, dopo che le organizzazioni indigene hanno lanciato un «levantamiento» contro i decreti del presidente che autorizzavano le esplorazioni petrolifere e per il gas naturale in Amazzonia. Secondo gli indigeni i decreti sono illegali, perché violano la Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro, ratificata dal Perù, che prevede che i popoli indigeni siano consultati prima dell’approvazione di qualsiasi progetto sul loro territorio. Mentre il governo accusa gli indigeni di voler mettere "il Perù in ginocchio e bloccare il suo cammino verso lo sviluppo", i nativi incassano la solidarieta' dei paesi vicini e dei cittadini peruviani, e continuano la loro lotta per la preservazione di uno degli ecosistemi piu' importanti del pianeta.
Blocchi stradali e fluviali sono state le forme di protesta organizzate dalle comunita' native. Ma la repressione del governo e' stata durissima: il 5 giugno la polizia ha attaccato un blocco stradale nella regione di Bagua Grande, picchiando e sparando sulla folla: almeno 60 i morti e centinaia ancora dispersi. Solo da pochi giorni sono apparsi sull'Indipendent alcune delle foto che documentano la strage, "la Tienammen amazzonica" come la definisce il giornale inglese. Molte delle foto scattate da due cooperatori belgi, non sono state pubblicate perche' troppo crude.
Le foto escono proprio quando il governo del presidente Alan Garcia in difficolta' per le dimissioni di alcuni suoi esponenti in polemica con le violenze si e' visto costretto a revocare due dei decreti che favorivano lo sfruttamento delle foreste, il 1090 e il 1064. Uno dei principali capi indio, Daysi Zapata, vicepresidente della confederazione degli indiani d’Amazzonia, ha quindi chiesto ai suoi sostenitori di togliere i blocchi a strade e fiumi. Intanto il leader delle proteste Alberto Pizango, presidente della Confederazione, e’ arrivato in Nicaragua dove aveva chiesto asilo politico. La settimana scorsa Pizango era stato accusato di "sedizione, cospirazione e ribellione". Cosi' commenta gli eventi Gennaro Carotenuto su Latinoamerica:

Quello che si combatte in Perù è un conflitto che mette in gioco molteplici aspetti. Vediamo una volta di più la controffensiva di popolazioni native che qualcuno considerava residuali e assimilabili (se non sterminabili) e che invece in questi anni risultano sempre più coscienti di sé e dei propri diritti e pertanto combattive, dai mapuche cileni ai garifuna dell’Honduras. Questa lotta coincide dunque con quella di chi pensa che tutto il pianeta, la vita, la natura, la biodiversità, non sia assoggettabile ai Trattati di Libero Commercio come quello firmato dal governo di Lima che ha semplicemente rinunciato alla propria sovranità sulla regione sottoponendola agli interessi economici e finanche alle leggi di un paese terzo, in questo caso gli Stati Uniti. Il governo di Alan García spara sulla folla sostenendo pubblicamente che non ci sia altra via allo sviluppo che questa, disboscare, desertificare, distruggere, privare i popoli del loro territorio. Paesi vicini al Perù, l’Ecuador e la Bolivia in primo luogo, stanno dimostrando che il governo peruviano ha torto, che ci sono altre vie allo sviluppo oltre quella del pensiero unico e che senza rispetto per la vita dei popoli lo sviluppo stesso non ha alcun senso.

sabato 13 settembre 2008

Rassegnarsi


I Rom NON, ripeto NON, rubano i bambini. L'ennesima dimostrazione.

Il Papa, mi fa notare Augusto, dice cose sensate solo quando e' all'estero, e svela la vera causa del dissesto di Alitalia

Gli uragani non passano solo sul Texas come vogliono farci credere i giornali

Nonostante gli sforzi dall'alto, si moltiplicano le voci nella Chiesa con le idee chiare su razzismo, legalita' e sicurezza

L'idea delle celle negli stadi, purtroppo, non l'ha inventata Matarrese

Il Kissinger di turno questa volta fara' un po' piu' fatica a fare i suoi comodi con la democrazia e i poveri del Sudamerica: un vento nuovo soffia?

Il comandamento "Non nominare il nome di Dio invano" vale anche per una governatrice ultraconservatrice candidata alla vice presidenza (argh) degli Stati Uniti

In Baviera l'estate e' finita, piove fitto e tiro fuori i maglioni da inverno. A ognuno il suo.

lunedì 25 agosto 2008

Il ritorno del terrone


Sono tornati: con i Rom annientati da Maroni, con i Rumeni che fanno solamente qualche scappatella (ma solo se te la vai a cercare) grazie alle pattuglie che sorvegliano le nostre strade, tornano a grande richiesta i capri espiatori terroni. Quelli nostrani, dalle terre del sud italia ricche di monnezza e fannulloni. Di mafia no, anche quella non esiste piu'. E' infatti in preparazione la Grande Offensiva per far digerire al paese senza bisogno dell'olio di ricino la riforma federalista alla Calderoli, che come e' pensata dalle destre non e' altro che l'ennesimo strumento per dare a chi ha di piu'. Per fare coesione nell'opinione pubblica infatti, cosa c'e' di meglio del nemico interno numero uno tolto per l'occasione dalla naftalina, il redivivo terrone? Ed e' compito del ministro Gelmini, qui ritratto subito prima di una capriola sul divano, gettare il primo sasso dopo qualche suggerimento di Bossi un mesetto fa. "Nel Sud alcune scuole abbassano la qualità della scuola italiana. In Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata organizzeremo corsi intensivi per gli insegnanti". La colpa dei problemi della scuola italiana non e' dunque nei tagli (-85000 docenti tra il 2009 e il 2011), nel malgoverno, nel magna magna degli sprechi, nel tentativo di affondare la scuola pubblica per incentivare quella privata, ma nel comune di nascita di professori e presidi. E la ministra cita i dati di uno studio Ocse-Pisa dell'Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione (qui i dati) a corroborare le sue tesi. Peccato che quei dati, come spiega assai bene in un bell'articolo Gennaro Carotenuto, si possano anche leggere come una dimostrazione che nonostante le differenze di risorse a disposizione, la scuola e' uno dei pochi campi in cui il divario fra le due parti d'Italia non e' ancora esorbitante, grazie proprio al lavoro degli insegnanti:

... emerge invece soprattutto il valore unificante che persiste nella scuola pubblica. Nonostante le differenze di reddito, di disponibilità di libri, di computer, di connessioni Internet, di occasioni di cultura, di strutture, laboratori, palestre siano tutte abissalmente a favore degli studenti del Nord, proprio la scuola meridionale, che fa le nozze con i fichi secchi, se non ancora con doppi turni e altre carenze croniche, tampona e rende minimo il ritardo, solo l’8% in meno nel caso peggiore (la Sicilia, ma appena -4% la Lucania, -4.5% la Campania) rispetto alla media nazionale. Un vero miracolo questa scuola pubblica meridionale, che non abbassa la testa, sulla quale investire per ripartire e non tagliare, come invece vuol fare il governo coloniale padano installato a Roma con il beneplacito di quasi tutti gli italiani. A parità di risorse e di contesto, la scuola meridionale è dunque paradossalmente più efficiente di quella settentrionale. Faceva notare il preside di un Liceo trentino che invitò un paio d’anni fa chi scrive per una conferenza, che la sua scuola aveva un bilancio triplo (1.5 milioni contro 0,5 milioni di Euro) rispetto a strutture equivalenti nel resto d’Italia. Se questo triplo di risorse si converte in appena un +11% allora è mal speso e chi invece fa nozze con i fichi secchi e riesce a restare indietro di appena una spanna, ha tutta la mia ammirazione...

Prepariamoci dunque a una nuova crociata, non solo sulla scuola, contro il terrone invasore e mangiapane a tradimento; nel tentativo di imporci il federalismo alla Calderoli senza quelle tabelle alla mano che Bersani chiedeva ieri alla festa del PD fiorentina, di inseguire i vantaggi per i soliti pochi in cambio della disgregazione finale e definitiva del paese. State attenti, che i terroni sono tornati.

lunedì 11 agosto 2008

Speranza in Bolivia


Ce l'ha fatta. L'indio Evo Morales non solo e' stato riconfermato presidente della Bolivia, ma guadagna il 10% di consensi ottenendo un clamoroso 63% nel referendum confermativo, prima voluto e poi osteggiato dall'opposizione filo-latifondista. Nonostante i titoli dei giornali italiani titolino "una vittoria a meta'", oltre alla straordinaria affermazione personale anche un terzo dei prefetti oppositori hanno perso e siano stati revocati. Le dieci cariche più importanti del paese (presidente, vicepresidente e otto dei nove governatori) si erano infatti sottoposti Domenica ad un referendum popolare per confermare o meno il loro incarico. L'opposizione in mano all'oligarchia latifondista supportata dagli USA aveva inizialmente chiesto il referendum per impedire che la nuova Costituzione entrasse in vigore, sancendo con decisione la rotta della nuova Bolivia nella direzione della ridistrubizione e dell'equita' sociale. Certo del sostegno della sua gente, il Presidente ha pero' raccolto la sfida, gettando nel caos l'opposizione che per mesi si e' quindi opposta in ogni modo al referendum che aveva essa stessa chiesto. Per cui Domenica era in gioco non solo il mandato del presidente, ma anche il cambiamento in atto nella nuova Bolivia: un cambiamento non solo nelle parole, ma anche nei fatti, come la distrubuzione a beneficio dei ciottadini dei proventi della nazionalizzazione degli idrocarburi. In questa intervista a Gennaro Carotenuto, Morales illustra i successi ma anche le difficolta' del primo governo indio nella storia del paese. Che da 30 mesi governa con tutti i media del paese contro, con l’Ambasciata degli Stati Uniti che ha investito 124 milioni di dollari per destabilizzare il governo, e con un’opposizione eversiva e razzista che considera intollerabile che un indio governi il paese. Gli hanno impedito di fare campagna elettorale, minacciato costantemente di morte e perfino solo di entrare in alcune regioni del paese. Ma Evo ce l'ha fatta, anzi ha aumentato clamorosamente il suo consenso, tendendo poi addirittura una mano ai governatori ribelli dicendo subito dopo i risultati che l'autonomia si puo' fare, "se e' per il bene del popolo" e rispettera' la nuova Costituzione. Per tutta risposta uno dei governatori indipendentisti sconfitti si rifiuta di riconoscere il risultato e apre una crisi potenzialmente violenta per la propria rimozione, mentre uno dei confermati prepara un corpo di polizia autonomo imperniato su bande neofasciste e intima al governo di non fare alcun passo per far entrare in vigore la nuova Costituzione. Continua dunque, ma tra mille difficolta' e con un golpe strisciante supportato dagli USA, la sfida di restiture la Bolivia e le sue risorse al popolo boliviano, con un proprio modello di sviluppo diverso da quello capitalista. Continua in un paese dove si sta conducendo una battaglia senza quartiere all’analfabetismo, e dove, con l’aiuto dei medici cubani e l’appoggio del Venezuela, sono oggi garantite ai piu' poveri 15 milioni di prestazioni sanitarie gratuite l’anno (ad esempio, 250.000 persone hanno riacquistato la vista con operazioni a volte semplici e gratuite come quella di cataratta, mentre prima erano semplicemente condannate alla cecita' perche' non in grado di pagare). Un paese che e' pienamente parte di un processo emancipatore sempre piu' forte, quello dell’integrazione latinoamericana in cui per primo ha creduto il presidente venuezuelano Chavez, poi appoggiato oltre che da Morales anche dall'argentina Fernandez e dal brasiliano Lula, in cui l'autonomia economica e culturale, e lo sviluppo democratico ed ecosostenibile del continente sudamericano, sono alla base della riduzione radicale della drammatica esclusione sociale che in questi paesi e' il segno indistinguibile delle politiche post-coloniali e neoliberiste. Che hanno visto nel continente soltanto un immensa risorsa di materie prime e di forza lavoro destinata alla poverta', perche' nella visione dei sommersi e dei salvati per loro non c'e' spazio alla mensa del ricco occidente. E che invece stanno, con fatica, mostrando a chi voleva schiacciarli che un altro sviluppo e' possibile.

mercoledì 30 luglio 2008

La grande selezione e l'assedio


Nulla di fatto ai negoziati dell'organizzazione mondiale del commercio (WTO), affossati dallo scontro dallo scontro tra i paesi ricchi e quelli in via di sviluppo, capitanati da Cina e India. In cambio della riduzioni dei sussidi protezionistici all'agricoltura nell'occidente, i paesi in via di sviluppo mettevano sul piatto la riduzione dei dazi sull'export da occidente. Un ginepraio di veti incrociati e interessi contrapposti
La marcia trionfale della globalizzazione si e' fermata? Da tempo in realta' l'idea che l'economia mondiale fosse inevitabilmente destinata a crescere sempre piu' con benefici a cascata per tutti, ha perso credibilita' e utilita'. Il mito del libero mercato si sta invece rivelando sempre piu' per quello che e' (o e' stato), uno strumento dei ricchi per diventare ancora piu' ricchi, per operare una gigantesca selezione, per rompere l'unita' del mondo. Scriveva Raniero La Valle in "Prima che l'amore finisca", nel 2003:

Se infatti tutto il mondo non si puo' sviluppare, perche' nel mercato globale sono finite le illusioni di uno sviluppo universale e continuo, che cresca e si arricchisca solo una parte. Gli appagati e gli esclusi. Se il cibo non si puo' distribuire a tutti, e nemmeno per il 2015 si potra' dimezzare il numero di quel miliardo e trecento milioni di persone che vivono nella poverta' piu' assoluta, con meno di un dollaro al giorno, che almeno siano abbondanti le mense degli altri. I sazi e gli affamati. Se il lavoro umano deve essere distrutto, perche' il fattore piu' caro tra i costi di produzione , lo si conservi solo per coloro che non possono essere sostituiti dalle macchine. I necessari e gli esuberi. Se tutta la Terra non si puo' salvare, perche' i mari si innalzeranno, e ci sono isole, e continenti e popoli a perdere, che si attrezzi, e si cinga di mura, e si riempia di armi quella che deve sopravvivere, che non deve naufragare. I sommersi e i salvati. Questa e' la scelta fatta dall'attuale sistema dinanzi alla crisi da esso stesso prodotta. Il mondo non si puo' aggiustare per tutti? La risposta e' la Grande Selezione. Il Mercato non e' forse efficace proprio perche' selettivo? E oggi, appunto, tutto e' Mercato"

Eppure qualcuno dei giganti che stavano sotto ha provato ad alzare la testa, a costi in vite e dignita' umana indicibili, e vuole partecipare da attore protagonista al grande show del libero Mercato, proprio alla vigilia di una crisi mondiale senza precedenti. La Grande Selezione comincia a fare acqua. Per correre ai ripari si cambiano allora le regole: aiuti di stato, dazi, aumento dei prezzi, ricorso alle armi. E se i nuovi venuti non ci stanno, peggio per loro. Tanto le regole le facciamo noi. E infatti il ministro dell'Agricoltura (del governo sulla carta paladino del libero /mercato) esalta il fallito accordo perche' "protegge i prodotti italiani". E' cominciato l'assedio?

venerdì 18 luglio 2008

Mensa ariana e scuola classista


Il 'menu' etnico' voluto dalla precedente amministrazione non piaceva ai bambini romani che "non mangiavano e a quelli che mangiavano veniva il mal di stomaco". Lo afferma il sindaco di Roma Gianni Alemanno, intervenendo all'assemblea annuale della Coldiretti. (Fonte Adnkronos)

Intanto un emendamento al decreto 112 relativo alla manovra economica del Governo, in discussione in queste ore alla Camera, cancella l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 16 anni di eta', attualmente in vigore. "L'obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale ... e anche nei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale", quelli genialmente ideati dalla Moratti da cui ci ha salvato, temporaneamente, il governo Prodi: torniamo in pratica alla scuola classista degli anni '50, con i licei per i ricchi e gli istituti di avviamento al lavoro per i poveri. Qualcuno risusciti Don Milani e le sue battaglie per una scuola capace non solo di insegnare un mestiere, ma soprattutto di fornire strumenti per comprendere e elaborare la realta', liberando l’individuo dalla schiavitu' delle scelte fatte dagli altri. Ma forse a quello pensa gia' la Silviovisione: velina e culetto, cretino perfetto.

mercoledì 16 luglio 2008

Il precipizio dei 3monti


Grazie a Cosimo per questo articolo di Raniero La Valle dalla rubrica "Resistenza e pace", in uscita sul prossimo numero del quindicinale di Assisi Rocca.

Ha scritto Famiglia cristiana" a proposito "dell'indecente proposta razzista di prendere le impronte digitali ai bambini Rom": "Stiamo assistendo al crepuscolo della giustizia e alla nascita di un diritto penale straordinario per gli stranieri poveri"; addirittura un ministro (Maroni) "propone il concetto di razza nell'ordinamento giuridico. Perché di questo si tratta. Come quando i bambini ebrei venivano identificati con la stella gialla al braccio, in segno di pubblico ludibrio". Lo scandalo espresso dalla rivista cristiana è perfettamente giustificato, e interpreta anche i sentimenti di molti che purtroppo sono restati in silenzio. Ma le cose stanno in modo assai più grave di quanto è stato qui rappresentato. Infatti non si tratta di un rigurgito di razzismo nei confronti di una sola "razza", di una sola etnia. Le misure contro i Rom sono l'annuncio e l'emblema di una nuova cultura razzista, che per la prima volta un governo italiano fa propria, che si rivolge contro tutte le razze e contro tutte le etnie che sono sentite come minacciose e straniere nei confronti delle nostre sicurezze, e di una nostra barcollante identità: "nostra" nel senso di "italiana", "europea" e, più in generale, "occidentale" ovvero, per chiamarla col suo nome politico, "atlantica". In questo senso l'impronta presa ai bambini Rom è in realtà la vera impronta di questo governo e della cultura che la nuova destra vorrebbe imporre all'intera società. Per capire di che cosa si tratti, basta andare a leggere il libro da poco pubblicato, non senza successo di vendite, dal più autorevole ministro dell'attuale governo, Giulio Tremonti. Perché tutto era già scritto, e tutto è scritto di quello che si vuole per il nostro futuro; purtroppo la sinistra (e non solo) non sa leggere; altrimenti non se ne starebbe tanto tranquilla, o non si occuperebbe solo di Berlusconi. Quello che è scritto non è altro che Oriana Fallaci che avanza. Nel suo libro, "La paura e la speranza", Tremonti rivendica la figura dell'intellettuale nella politica: "Il politico, se non è intellettuale, non è". E lui aspira ad essere per tutta la destra di governo quell'intellettuale che Gianfranco Miglio fu per la Lega. Il punto da cui muove Tremonti è una critica feroce alla globalizzazione, quale da nessun "no global" si era mai sentita. La globalizzazione ci sta consegnando "a un futuro senza futuro", a causa del fatto che "abbiamo firmato una cambiale mefistofelica con il 'dio mercato' ". L'utopia mercatista, il mito del mercato unico sarebbe la causa di tutto il male. Questo male Tremonti lo chiama "mercatismo": "la fanatica forzatura del mondo nel liberismo economico, la fede illusoria in cui tantissimi hanno creduto negli ultimi anni": ma questo è il capitalismo, ragazzi! Forse che Tremonti, e tutta la sua destra, sono diventati socialisti? No, sono ancora più radicalmente reazionari. Perché "la paura" è che tutti vogliano consumare come noi. Pensate che "i cinesi, per esempio, che nel 1985 consumavano mediamente 20 chili di carne all'anno, oggi ne consumano 50"!. Ed è ragione di autentico "terrore" che (sempre "per esempio") "200 o 300 milioni di cinesi abbiano nei prossimi anni la loro automobile". Il rimedio è di "fermare ovunque il mercatismo": cioè chiudere il mercato, che sia solo per noi. L'Europa deve mettere dogane e frontiere sigillate. Deve difendere la sua identità, che poi sta nelle famose "radici giudeo-cristiane". Perché senza valori, non c'è identità, non c'è un "noi". Invece il problema è proprio quello di salvare "noi" e buttare a mare gli altri: "L'inclusione degli 'altri' in Europa può proseguire, però solo se gli 'altri' cessano di essere 'altri' e diventano 'noi'. Quindi: o sono gli 'altri' a rinunziare alla loro identità, venendo in Europa, o è l'Europa stessa che perde la sua identità e va così a porte aperte incontro alla sua disintegrazione". E anche nei confronti degli 'altri' esterni occorre un potere che imponga i propri valori ("non necessariamente valori universali") "dentro un programma di pura difesa". Dunque la guerra. Il cancro che devasta l'Occidente, secondo Tremonti, avrebbe la sua origine nel '68, e consiste nel pensare che gli "altri" sono come "noi". Occorre perciò "una politica opposta alla dittatura 'sfascista' del relativismo". Quando il Papa cominciò la sua battaglia contro il relativismo, chi mai avrebbe potuto pensare che nella sua ultima traduzione politica il relativismo da combattere sarebbe stato individuato dalla destra nell'idea che gli altri sono come noi, e hanno il diritto di vivere come noi? Ciò che oggi propone la destra per fronteggiare gli spiriti selvaggi del mercato da lei stessa scatenati, è dunque la difesa del nostro possesso ("identità, valori, consumi e ricchezza) contro quello degli "altri". Non è un rimedio, è un precipizio.

martedì 8 luglio 2008

Karibuni


Ritorno non facile quello dalla Tanzania. Dai tempi dilatati del "pole pole" (piano piano) africano alla frenesia del primo giorno fiorentino, con gli occhi e il cuore ancora pieni di tutte le cose e di tutte le persone incontrate. Dalla natura incontaminata dei parchi naturali, dove animali visti solo allo zoo vivono indisturbati come migliaia di anni fa, dalle spiagge da cartolina di Zanzibar; dalla dignita' e dalla serenita' di persone che vivono in pochi metri quadri senza luce e acqua, ma capaci di gesti per gli altri e di un'accoglienza che noi ci sognamo pur con tutti i nostri agi; dalle strade sconnesse e polverose ma brulicanti delle piu' disparate attivita' tutte rigorosamente a mano, dalla disarmente mancanza di infrastrutture e meccanizzazione; dal lavoro di centinaia di religiosi, volontari e locali in dispensari, ospedali, progetti, missioni, costretti a lottare contro una spirale di problemi che sembrano insormontabili e piu' grandi di chiunque, e a confrontarsi con un mondo e una cultura completamente diversa dalla propria in cui il futuro e la programmazione non esiste perche' non e' possibile permetterseli; da chi ha lasciato tutto per dedicare la propria vita ai suoi fratelli lontani, a chi parte per un'estate convinto di aver solo da insegnare. Da tutto questo, ripiombare nel vecchio mondo (in realta' ben piu' nuovo) non e' facile e ci vorra' un po' per assimilarlo: l'importante e' sapere che, quasi sempre, c'e' un'alternativa da qualche parte. Dove, nonostante tutto, la parola d'ordine non e' la diffidenza e la schedatura, ma Karibuni, benvenuti.

giovedì 5 giugno 2008

Il mondo che ha fame


Tra barzellete riciclate, ospiti piu' o meno sgraditi e piu' o meno democratici, continua il vertice della FAO a Roma. I numeri dicono che 854 milioni di persone non hanno cibo sufficiente per alimentarsi, 21 dei 37 paesi più a rischio sono in Africa e dieci in Asia. I prezzi alimentari sono aumentati dell'83 per cento in tre anni, e potrebbero non diminuire fino al 2015: in pochi anni potrebbero essere un miliardo le persone che non hanno cibo sufficiente per vivere. Al centro del mirino dei paesi piu' poveri sono le politiche protezionistiche dei paesi occidentali, come sottolineato da Cristina Fernandez in un durissimo intervento ("da una parte ci magnificano l’apertura dei mercati con il neoliberismo, ma andando al concreto ci mettono mille difficoltà per permetterci di accedere ai loro"), il discusso ruolo dei biocarburanti sull'aumento dei prezzi delle derrate alimentari, e tutta una serie di misure di sostegno alle proprie agricolture di cui non è stato sufficientemente valutato l'impatto di medio e lungo periodo. E proprio la miopia di certe politiche sta facendo sempre piu' velocemente affrondare il Titanic, mentre ognuno cerca di guardare il suo orticello e preservarlo dai danni globali invece di guardare alla scala planetaria e comune. Avvertiva in apertura dei lavori il presidente della Fao Jacques Diouf:

Le sfide del cambiamento climatico, delle bioenergie, delle malattie animali e vegetali transfrontaliere e dei prezzi dei prodotti alimentari possono essere risolte solo attraverso un dialogo sincero basato su una analisi obiettiva libera dai visioni di parte ed interessi a breve termine. Nei giorni a venire, le tavole rotonde su queste questioni assieme alle informazioni prodotte dagli incontri tecnici preparatori provvederanno a dare il giusto quadro per un dialogo nella direzione di un accordo comune. Eppure, la dura realtà mi porta a notare alcuni fatti:
Nessuno può capire come sia stato possibile creare un mercato del carbone nei paesi sviluppati di 64 miliardi di dollari per ridurre il riscaldamento globale ma nessuna risorsa è stata trovata per prevenire la deforestazione annuale di 13 milioni di ettari (…)
Nessuno riesce a capire come tra 11 e I 12 miliardi di dollari in sussidi e tariffe nel 2006 abbiano ottenuto il risultato di spostare 100 milioni di tonnellate di cereali destinate al consumo alimentare verso le sete di carburanti.(…)
Soprattutto nessuno riesce a capire: come i paesi dell’OSCE hanno speso nel 2006 372 miliardi di dollari in sussidi per sostenere la propria agricoltura, come in un singolo paese lo spreco di cibo possa raggiungere la cifra di annua di 100 miliardi di dollari, come il consumo eccessivo degli obesi nel mondo costi 20 miliardi do dollari ogni anno ai quali devono essere aggiunti 100 miliardi di costi indiretti dovuti alle morti premature e malattie correlate all’obesità. Infine come non sia possibilie che nel 2006 il mondo abbia speso 1200 miliardi di dollari per l’acquisto di armi.
Di fronte a queste considerazioni, come possiamo spiegare alle persone di buon senso ed in buona fede che non è stato possiblile trovare 30 miliardi di dollari ongi anno per consentire a 862 milioni di affamati di godere del più fondamentale dei diritti: il diritto al cibo, e quindi alla vita?”

Eppure anche la stessa FAO e' un dei giganti mangiasoldi della burocrazia internazionale: spende oltre la metà delle risorse destinatele per mantenere in piedi il suo apparato burocratico...
Intanto si sta preparando il documento finale del vertice. Alcune indiscrezioni dicono che non sarebbe prevista una cifra economica da richiedere alla comunita' internazionale, ma una serie di misure che dovrebbero essere adottate dai singoli Paesi, di concerto con le agenzie Onu. Come richiesto dalle Ong, non soldi a pioggia che si perdono nei soliti mille rivoli, ma azioni immediate e concrete, ma soprattutto coordinate. L'impressione e' come al solito di tante parole e molto rumore per nulla. Perche' come disse Bush qualche tempo fa, il tenore di vita dell'Occidente non e' negoziabile. Ma se non si collegano la sicurezza alimentare e i cambiamenti climatici non si potrà trovare soluzione a nessuno dei due problemi.
Tra pochi giorni finira' il vertice, e potremo tornare a guardare soltanto al nostro orticello, quello fatto di Re Tentenna che cambiano idea come tira il vento (o la lega, o la CEI). Che volere di piu'?

giovedì 15 maggio 2008

Il guerrigliero presidente


Alessandro Gilioli intervista Pushpa Kamal Dahal detto Prachanda, il fiero, l’ex capo della guerriglia maoista che ha appena vinto le elezioni in Nepal. Si definisce un uomo non dogmatico che ha cercato di capire i cambiamenti del mondo per creare un nuovo e inedito modello di socialismo per il XX secolo.

In Sudamerica e in Asia meridionale le forze socialiste sono in crescita, mentre in Europa perdono. Il motivo è molto semplice: nei paesi più ricchi le contraddizioni del capitalismo sono come congelate, o almeno rallentate nei loro effetti, mentre nei paesi in via di sviluppo la globalizzazione ha portato a un’esplosione di queste contraddizioni. Ma sarebbe sbagliato pensare che le rivoluzioni socialiste siano rimaste un’esclusiva dei paesi più poveri. Al contrario, quando i paesi del Terzo mondo si saranno sviluppati - magari scegliendo forme legate a modelli socialisti - una nuova ondata di contraddizioni economiche investirà anche i paesi più ricchi provocando sommovimenti sociali oggi non immaginabili

martedì 22 aprile 2008

Nord e Sud


Nel dopo elezioni si sono succedute le dotte interpretazioni del voto, le analisi approfondite, i dibattiti e tua culpa tipici di queste occasione. Tutti pero' sono stati d'accordo su un punto: che il PD non ha saputo proprio parlare alla gente del nord. E la questione settentrionale e' divampata, arrivando su Repubblica ad auspicare addirittura un PD del nord, entita' separata non si sa bene come in relazione con l'assetto gia' federalista del nuovo partito. Una proposta simile, per ora fortunatamente accantonata, presupponeva il riconoscere, incentivare e baloccare il bisogno di autonomia delle regioni settentrionali, inseguendo le destre e la lega su questi temi, appiattendo il dibattito e dando unicamente corda alle spinte centrifughe da ogni lato. Come se non bastassero le strutture federali gia' previste dal PD per minimizzare l'impatto centralista nelle decisioni e nelle strutture regionali e locali, se non bastassero le primarie per scongiurare le cooptazioni Romane sulle candidature, come se delle strutture dirigenti decenti non abbiano mostrato gia' in passato e nelle scorse elezioni che in molte regioni del nord il PD c'e' e guadagna consenso.
Comunque sia, questo acceso dibattito sul nord sta, a mio modo di vedere, facendo perdere di vista quale sia il vero nodo territoriale e geografico irrisolto dell'Italia: l'irrisolta, anzi negli anni aggravata, questione meridionale che rappresenta la vera spaccatura nella nostra storia unitaria. Ed e' questa che ha generato negli ultimi due decenni una reazione di rigetto nel Nord, che si e' visto lentamente diventare una miniera di denaro da convogliare nel buco nero di molte amministrazioni del sud. Scriveva qualche giorno fa Marco Simoni:

Il problema dell'Italia e’ il Sud, non è il Nord. E’ il Sud ostaggio della criminalità, sono le tecniche di governo da signorotti feudali meridionali che sono state importate nella gestione delle università e dello Stato, è il Sud dove non si può aprire un negozio o un’impresa neanche ad averci i soldi, è il Sud dove vengono umiliate centinaia di migliaia di intelligenze, opportunità e possibilità ogni giorno, oppresse da una rete di potere che pare invincibile.
E’ il Sud il problema. Il Nord sta bene, ha i problemi qualsiasi di un mondo sviluppato, vota un po’ più a destra e da qualche parte a sinistra (quando ha una classe dirigente decente, come Piemonte, Liguria), ed ha sacche di alienazione post-industriale a cui la Lega dà un senso di appartenenza e comunità cavalcandone le paure, che sono paure tipiche della globalizzazione: l’immigrato, il cinese, il diverso. Paure che aumentano all’aumentare del reddito, ma che ovviamente riguardano anche gli operai che sentono una maggiore precarietà.
Se il Sud fosse un posto meno disperato, anche queste pressioni del Nord sarebbero meno forti. Ci sarebbero più soldi, ci sarebbe più civiltà. Basta con questa storia che il Nord è il problema, andate piuttosto a cercare un lavoro a Vibo Valentia.

Se da una parte e' sacrosanto riconoscere al nord il diritto di verificare e di pretendere che le risorse provenienti dalle loro regioni siano utilizzate in modo efficiente e mirato e per promuovere sviluppo, se e' necessario pretendere che i beneficiari di queste risorse siano davvero responsabili del loro uso e consapevoli della loro non illimitatezza, e' tuttavia essenziale non perdere di vista il problema vero. Che e' al Sud, con le sue amministrazioni clientelari, con una rete di potere alternativa e in contrapposizione a quella dello stato a tutti i livelli, che pare impossibile da abbattere e superare, con una gestione scellerata e irresponsabile delle risorse, delle persone, del territorio. Questa e' la questione irrisolta e intoccata dall'unita' d'Italia ad oggi, di cui nell'altra meta' della penisola in tempo di crisi globale si e' necessariamente cominciato a non poter sopportare e finanziare. E' tuttavia quella la questione che va analizzata, capita e risolta. Non fermandosi alle spinte centrifughe da essa provocate. E allora ben venga un federalismo fiscale capace di responsabilizzare gli amministratori del sud, pur senza ignorare il divario di sviluppo purtroppo ancora presente nelle diverse parti della penisola, per cercare di colmarlo a poco a poco. Ben venga un autonomia capace di focalizzare gli interventi su certi settori alle esigenze diverse del territorio, pur mantendo un contatto costante con ogni periferia e tutelando l'unita' indissolubile del paese. Ben venga un partito a struttura federale capace di individuare le migliori risorse sul territorio e valorizzarle, mettendo in campo amministrazioni decenti non perche' fatte di amici di amici ma perche' formate da persone capaci e non sottratte alle loro responsabilita'. Ben venga una autonomia solidale, ma inseguire la lega sui fucili beceri e sulla sacralita' del Po vuol dire ridursi a una strategia del disperato capace solo di inseguire in un terreno sconosciuto e profondamente ingiusto, egoista e miope.

mercoledì 2 aprile 2008

Parole e immagini


Prima di andare a letto ho trovato sul blog di Gennaro Carotenuto la traduzione di un servizio ricavato da un libro del fotografo Peter Menzel, Hungry Planet, quello che il pianeta mangia, poi pubblicato anche su Time. Quando si discute di nord e sud, di squilibri, di 20% che si pappa l'80% delle risorse mondiali, invece di mille parole basterebbero immagini come queste. Basterebbe un viaggio in 14 paesi del mondo per vedere cosa mangia e quanto spende una famiglia in una settimana. Ecco il link.

Ma anche le parole possono pesare e spostare montagne. Poco fa ho investito le poche energie rimaste da una lunghissima giornata di lavoro per guardarmi Roberto Saviano, interessantissimo ospite a "Che tempo che fa". Quando lo leggo o quando lo ascolto mi lascia sempre la stessa sensazione: che ci sono problemi cosi' enormi, come quello di cui sopra, che non si riesce neanche a concepirne la gravita' e le dimensioni, che paiono senza via d'uscita. Ma che c'e' speranza anche per quelli, perche' ci sono persone come lui che hanno dedicato la vita per raccontarli. Perche' c'e' chi, come lo scrittore russo Shalamov citato dallo stesso Saviano, ha il coraggio e l'orgoglio di dire "No, l'anima non ve la do". Una cosa cosi' non puo' che fare un poco ottimisti.

martedì 26 febbraio 2008

Fitzcarraldo


Tra una bega e l'altra dell'organizzazione dell'incontro tra i candidati al Consiglio Comunale di Garching e i cittadini UE residenti (oggi tra l'altro telefonata dal marito di un'ex ministra tedesca che dava per scontato che avrei riconosciuto subito il cognome, e giornalista del Süddeutsche Zeitung che dava invece per scontato il mio tedesco), continua il mio viaggio cinematrografico attraverso il sudamerica. Dopo "Il viaggio", passando per "The Mission" - che vale anche solo per le cascate di Iguazu', anche se appare un po' preconfezionato - arrivo a Fitzcarraldo. Il film di Werner Herzog, mio "concittadino" di Monaco, e' un delirio nella trama e nella realizzazione, vero e proprio monumento alla sua concezione epica e assoluta del cinema. Costato tre navi, due morti e tutti gli averi del regista, narra la storia di un visonario commerciante di Iquique, interpretato dall'allucinato Klaus Kinski, che decide di costruire nella nascente cirttadina nella giungla un grande teatro dell'opera, da far inaugurare nientemeno che a Caruso. Per recuperare le risorse necessarie, si imbarca in un'impresa folle e geniale. Per realizzarla dovra' far passare una nave da una collina, e Herzog lo imita per filmare delle sequenze piu' vere possibili. Il film e' un omaggio al sogno e alla visione da perseguire ad ogni costo: "chi sogna può muovere le montagne". Animato dalla contrapposizione tra chi crede solo nel concreto e chi vive la vita semplicemente come un sogno, e si basa sull'intuizione per quanto folle, il film ricarica l'ottimismo e la voglia di prendere semplicemente la vita, dove non conta vincere ma perseguire le proprie aspirazioni. Anche se si finisce per rotolare tra le rapide. Un balsamo.

venerdì 22 febbraio 2008

El viaje


Approfittando della febbre che mi ha tenuto sotto le coperte per tutto il giorno, mi sono dedicato al sonno e al cinema. E devo dire che sono stato fortunato: "Il viaggio" di Fernando Ezequiel Solana (1992) e' uno di quei film che riescono ad unire satira grottesca e lirismo, che fanno lavorare il cervello e viaggiare la fantasia. Nonostante l'offuscamento della febbre non mi faccio spaventare dalla versione originale in spagnolo, e faccio bene perche' non mi perdo la babele di accenti e inflessioni di questo straordinario viaggio attraverso il continente sudamericano.
Martin Nunca , ragazzo di Ushuaia, la citta' alla fine del mondo in
Patagonia, monta in bicicletta e parte per raggiungere il padre, disegnatore di fumetti, che non vede da anni. Attraverso paesi letteralmente alla deriva, in ginocchio o a tirare la cinghia, taglieggiati dal Fondo Monetario Internazionale, Martin pedala all’inseguimento di tutte le storie che il padre gli ha raccontato attraverso i suoi fumetti. Passando per le splendide tavole disegnate da Alberto Breccia, (quello della seconda versione de l'Eternauta) finisce per incontrare anche nella vita reale i personaggi del padre, le diverse culture e anime del continente assieme ai loro regimi e classi dirigenti, messe di fronte alle loro responsabilità e a quelle del liberismo selvaggio attraverso grottesche metafore. Che costarono al regista, poi candidato anche alle ultime presidenziali argentine, anche un tentato omicidio e due pallottole. Consigliatissimo, anche solo per i panorami mozzafiato e la voglia di viaggiare che ti mette addosso.

mercoledì 23 maggio 2007

Pubblicita' & Progresso


Oggi, a sorpresa, faro' pubblicita', ma un tipo che ha a che vedere col progresso.

I paesi in via di sviluppo sono flagellati da malattie infettive come tubercolosi, malaria, polmonite, diarrea, AIDS e HIV, in gran parte ormai debellate nei paesi industrializzati. Le morti da esse provocate sono milioni ogni anno, ma la mancanza di infrastutture, carenze logistiche e i costi dei trattamenti sono troppo elevati per le popolazioni di questi paesi.

Nel 1997 il Sudafrica, incapace di fronteggiare la situazione di emergenza sanitaria, pubblica il Medical Act, legge che rende le cure per le malattie infettive accessibili grazie alla produzione di farmaci generici, esenti dal pagamento dei brevetti all’interno del proprio territorio. Ma 39 case farmaceutiche, considerando questa presa di posizione come una lesione dei loro profitti, insorgono e fanno causa al governo sudafricano. La denuncia sarà ritirata solo nel 2001, grazie alle forti pressioni internazionali e di associazioni non governative. Da quell'anno i Paesi gravati da una situazione di emergenza sanitaria in grado di produrre farmaci hanno la facolta' di produrli con licenza obbligatoria, ossia con una momentanea sospensione dei diritti del detentore del brevetto. Tuttavia, nonostante l'accordo di Ginevra nel 2003, i paesi privi di industrie farmaceutiche hanno comunque grossi problemi a importare a basso costo farmaci da altri paesi.

Il 15 Maggio pero' la nota azienda farmaceutica tedesca Boehringer Ingelheim ha comunicato attraverso il suo sito che rinuncia ai brevetti sul suo farmaco anti-Hiv Nevirapina nei paesi in via di sviluppo. I brevetti sulla Nevirapina non saranno in vigore in questi paesi, dove si potra' produrre la versione generica del farmaco anti-Hiv senza costi aggiuntivi per diritti di brevetto o altre tasse.

L'azienda ha anche deciso di portare a 0,6 dollari il prezzo del farmaco da loro stessi prodotto sui mercati dei 78 paesi a basso reddito secondo la banca mondiale, e in altri 67 paesi tra Centro-Sud america ed Est Europa il prezzo del trattamento giornaliero verrà ridotto a 1,20 dollari americani, con uno sconto superiore al 90% rispetto al prezzo del trattamento nei paesi ad elevata industrializzazione.

Il Dr. Alessandro Bianchi (italiani all'estero, che strano!!), presidente del Comitato Direttivo della Boehringer ha spiegato che "i prezzi preferenziali sono l'unico modo in cui possiamo affrontare entrambi i bisogni della lotta all'AIDS: possiamo finanziare i costi della ricerca e dello sviluppo di trattamenti innovativi con i prezzi in vigore nei paesi industrializzati, e possiamo offrire medicinali a prezzi accessibili nei paesi poveri che altrimenti non potrebbero permetterseli. Inoltre per garantire ancora maggiore accesso alla Nevrapina, la Boeringher offre a ogni azienda prequalificata produttrice di medicinali nei paesi in via di sviluppo una liberatoria per i diritti di licenza. Il problema dei lbrevetti non sara' di impedimento per le persone piu' povere che hanno bisogno di cure."

Dopo quanto accaduto per la malaria, un altro esempio senz'altro da seguire, e un successo per le rivendicazioni di tutte le associazioni "no-global" che spingono da tempo in questa direzione. Un'altro mondo e' pian piano possibile.